Il tema scelto per la Giornata Mondiale dell’Acqua 2017 è incentrato sulle acque reflue. In particolare l’ONU invita a riflette sulla sollecitazione “Why waste water?” Questa domanda può essere letta in molti modi: perché sprechiamo l’acqua; perché non depuriamo l’acqua prima di immetterla nell’ambiente, perché non valorizziamo elementi contenuti nelle acque reflue (nutrienti, sabbie, calore, ecc.). Inoltre, visto che l’acqua presente in natura è il bene comune (non quello che scorre nei tubi), traendo spunto da una interessante discussione avviata dal collettivo di scrittori Wu Ming, che ricorda che il termine latino commūnis significa "comune"/"pubblico" e che il temine mūnĭa significa "doveri”, acqua “bene comune” significa, oltre al diritto di poterne usufruire, anche il dovere di ciascuno a tutelarla e a restituire alla natura l’acqua come è stata prelevata.
Il tema proposto quest’anno è un invito a declinare il paradigma della “circular economy” al ciclo dell’acqua. Se ci riferissimo al solo ciclo idrico integrato, il settore della depurazione non verrebbe più visto come la soluzione finale all’uso dell’acqua per i diversi scopi, ma una fase di un ciclo idrico ampio, volto a reimmettere nell’ambiente acqua pulita e a recuperare materie prime. Tuttavia la strada da percorrere per avviare un modello dell’economia circolare applicato alle acque a scala nazionale è lunga. Siamo ancora carenti nella depurazione dei reflui. Su quest’ultimo segmento del servizio idrico integrato, l’Italia registra un ritardo infrastrutturale grave e persistente, che si configura come una vera e propria emergenza nazionale. Numerosi Comuni italiani sono infatti sprovvisti di adeguate reti fognarie e di impianti per il trattamento dei reflui. Circa l’80% degli utenti risulta non allacciato ad un depuratore e, nel caso vi sia l’impianto, in molti casi il trattamento risulta inadeguato. Per questo motivo, l’Italia è soggetta a tre procedure di infrazione relative alla violazione della disciplina europea in materia di acque reflue urbane (Direttiva 91/271/CEE). L’8 dicembre 2016 il Collegio dei Commissari UE ha deciso, infatti, di deferire l’Italia innanzi alla Corte di Giustizia chiedendo l’applicazione di una sanzione forfettaria una tantum di circa 62 mil di euro. La Commissione ha proposto, inoltre, una sanzione giornaliera pari a circa 347.000 euro qualora la piena conformità non sia raggiunta entro la data in cui la Corte emetterà la sentenza. Considerando solo la multa annua (circa 120 mil. euro/anno), ogni italiano pagherà circa 2 euro/anno, oltre alla multa una tantum di 1 euro.
Secondo le stime di Utilitalia, per portare il servizio idrico integrato italiano ai livelli degli standard dei paesi più progrediti (come ad esempio l'Inghilterra), si dovrebbero investire circa 90 euro per abitante/anno. Ipotizzando che per la fognatura e la depurazione si debba investire tra il 60 e il 70% di tale somma, la quota sarebbe pari a circa 60 euro/anno. Potrebbe sembrare che convenga fare i furbi. Tuttavia, troppo spesso nelle valutazioni economiche in settori che coinvolgono l’ambiente viene dimenticata la quantificazione del danno ambientale. Una stima preliminare di tale danno per un’insufficiente depurazione, ottenuta proiettando i risultati di uno studio effettuato per l'Emilia Romagna a tutta Italia, è pari a circa 60 euro per abitante/anno. Dunque il conto per ciascun italiano, seppur grossolano, è presto fatto: 62 euro/anno per ogni anno di ritardo contro 60 euro/anno di investimenti.
Sebbene i risultati siano molto simili, bisogna tenere in conto gli effetti positivi che potrebbero generare gli investimenti in termini di posti di lavoro. Lo studio Sustainable Water Jobs del Pacific Institute ha stimato che, negli USA, ogni milione investito in strategie di gestione sostenibile delle risorse idriche in senso ampio (dalla gestione del servizio idrico urbano a quello irriguo, dalla gestione delle acque meteoriche alla riqualificazione, ecc.) possa generare dai 10 ai 20 posti di lavoro per ciascun settore investigato.
Per avviare la circular economy al settore del servizio idrico integrato, le tecnologie per l’estrazione delle svariate risorse sono per lo più disponibili sul mercato. Esistono tuttavia delle barriere normative. A livello europeo, nel Circular Economy Pack, i fanghi di depurazione non sono menzionati come fonte di nutrienti riciclabili nel progetto di revisione della Commissione europea del regolamento di fertilizzanti. A livello italiano la classificazione dei prodotti della depurazione come rifiuti non facilita la loro valorizzazione, scoraggiando anche i più determinati gestori. Infine, i limiti per il riuso delle acque di scarico dei depuratori per scopi irrigui sono i più stringenti a livello mondiale. Dunque per stimolare la gestione più sostenibile delle acque reflue, è necessaria una rilettura delle norme per favorire il recupero e il riuso, assicurando la tutela dell’ambiente e della salute umana.