In questi ultimi anni, il settore dei biocombustibili per trasporti ha visto fiorire in tutto il mondo numerose iniziative, sia a livello industriale che di ricerca di base e fondamentale. Tuttavia, mentre la componente tecnologica ha mostrato estrema vivacità, dal lato delle policy di settore la situazione è stata molto più complessa e faticosa. Su questi aspetti torneremo probabilmente in futuro: in questa sede ci limitiamo ad osservare come la ricerca, la dimostrazione ed il trasferimento tecnologico risentano necessariamente della dinamica delle politiche, essendo l’ambito dei biofuel un settore chiaramente policy-driven. Relativamente alla definizione di combustibili avanzati, inoltre, dobbiamo necessariamente osservare come, ad oggi, in Europa questa sia riferita esclusivamente alle tipologie di materie prime utilizzate nel processo, così come riportate nel ben noto Annesso IX della Direttiva RED e nella successiva Direttiva ILUC, e non alle caratteristiche tecnologiche dello stesso. In realtà, molti dei processi a cui ci riferiremo in questo articolo rappresentano soluzioni altamente innovative, di tipo pilota, dimostrativo, first-of-its-kind ed in continuo sviluppo. Una parte di questi potrebbe quindi non essere inclusa nella categoria dei biofuel avanzati al variare della materia prima utilizzata e della regione del mondo esaminata.

Le principali filiere tecnologiche e di processo

Mentre i cosiddetti biocombustibili convenzionali sono prodotti da materie prime oleaginose o zuccherine/amidacee, quelli avanzati tipicamente ricorrono a feedstock quali biomasse lignocellulosiche, alghe, residui, rifiuti, e simili. In realtà, esistono anche processi sicuramente di tipo avanzato che utilizzano lipidi, acidi e grassi, come vedremo più avanti. Tipicamente, nella prima categoria troviamo il biodiesel ed il bioetanolo di prima generazione; tra i secondi, il biometano, il bioetanolo lignocellulosico, il DME (Dimetiletere) ed i liquidi Fischer-Tropsch (tra cui il FT-Diesel). Riteniamo comunque opportuno includere nel novero delle tecnologie avanzate anche il processo di hydroprocessing degli oli vegetali, in quanto in grado di fornire idrocarburi di origine biologica, miscelabili in qualsiasi percentuale con i combustibili fossili (drop-in). È ragionevole prevedere come l’affermarsi di questi nuovi biocombustibili per trasporti determinerà necessariamente delle variazioni rispetto allo scenario di mercato attuale sia dei prodotti che delle materie prime: l’obietto generale comune di tutte le filiere sarà comunque quello di migliorare la sostenibilità e rendere più competitivi economicamente i prodotti.

  • Il bioetanolo da lignocellulosico. Questa filiera consiste nel ricavare zuccheri fermentabili dall’emicellulosa e dalla cellulosa presenti nella biomassa, mentre il terzo principale polimero contenuto nella biomassa, la lignina, non essendo composto da zuccheri, viene inviato alla generazione di energia o a bioprodotti/biochemicals. Il prodotto è bioetanolo, avanzato in quanto prodotto da materie lignocellulosiche e non zuccherine/amidacee: va comunque osservato che a differenza di molte delle filiere di seguito descritte, il prodotto è in ogni caso un combustibile ossigenato (contenente cioè ossigeno), con tutte le limitazioni in termini di volume miscelabile con i fossili che ciò comporta.
  • La pirolisi, la gassificazione ed i processi di sintesi di biocombustibili liquidi. Nel processo di gassificazione la biomassa solida viene scomposta ad alta temperatura in gas, i cui prodotti principali, CO ed H2, vengono successivamente utilizzati in processi di sintesi catalitica di combustibili liquidi. Tra questi menzioniamo principalmente il processo di Fischer-Tropsch, che fornisce varie tipologie di idrocarburi, tra cui il FT-Diesel, quelli che portano alla produzione di Dimetiletere (DME) e benzina (MTG, Methanol To Gasoline), e quello che realizza la reazione di Metanazione, dove essenzialmente CO e CO2 sono convertite in metano per via termochimica. Nel caso della pirolisi, invece, la biomassa viene convertita - in totale assenza di ossigeno ed a temperature tipicamente di 450-550 °C - in un liquido altamente ossigenato, viscoso ed acido che può essere a sua volta convertito in idrocarburi tramite successivi trattamenti termochimici oppure inviato in co-raffinazione con i prodotti fossili.
  • Il biometano. Si tratta probabilmente della filiera più conosciuta anche ai non specialisti e, a differenza delle precedenti, può essere condotta in impianti anche di piccola o media taglia. Il prodotto è metano, ma a differenza della soluzione (termochimica) precedentemente illustrata, qui il metano viene semplicemente separato e ripulito dalla corrente di biogas provniente dagli impianti di digestione anaerobica (processo di tipo biologico).
  • Gasolio e kerosene da lipidi. In questo caso, la tecnologia di processo consiste essenzialmente in due step, entrambi catalitici: la prima fase è quella detta HDO (HydroDeOxygenation, cioè rimozione dell’ossigeno tramite idrogeno), la seconda è chiamata HDI (HyDroIsomerization, cioè isomerizzazione finalizzata a migliorare le caratteristiche chimico-fisiche della miscela di idrocarburi generata). Il prodotto è anche chiamato HVO (Hydroprocessed Vegetable Oil) o Green Diesel.

Stato dei principali impianti industriali innovativi in Europa

Non ci soffermiamo in questa sede sulla filiera del biometano, ma ci limitiamo ad osservare la grande potenzialità che offre in quanto da un lato può integrarsi in modo eccellente in una gestione sostenibile agricolo-aziendale, dall’altro può contare sia su un parco impianti di biogas esistenti estremamente ampio in Europa ed in Italia, nonché su una tecnologia di utilizzo nei veicoli ampiamente nota e diffusa.

Nel campo dell’etanolo da lignocellulosico, tra i principali impianti dimostrativi (ancorché industriali) esistenti, troviamo certamente quello realizzato dal gruppo Mossi & Ghisolfi presso Crescentino (Vercelli), il più grande al mondo al momento della sua realizzazione (40.000 ton./a di capacità produttiva). Esistono tuttavia altri impianti dimostrativi in Europa basati su questa rotta di processo, quali ad esempio: Clariant (Germania), Dong (Danimarca), Sekab (Svezia), Abengoa (Spagna) ed St1 (Svezia). In realtà, le difficoltà vissute dal settore dei biofuel nel corso degli ultimi anni hanno portato ad interrompere l’esercizio di questi numerosi primi impianti, o addirittura ad uscire per il momento dal campo dei biofuel avanzati, da parte di alcune di queste aziende, con l’eccezione del gruppo Mossi & Ghisolfi che ha invece continuato ad ottimizzare la produzione di bioetanolo lignocellulosico a Crescentino, rafforzando la sua posizione di leader nel settore. Questa filiera è comunque quella in cui sono stati ottenuti i risultati più promettenti e significativi nella direzione di una piena maturità industriale e l’Italia è certamente in una posizione di rilievo nel contesto globale.

Relativamente alla gassificazione ed alla sintesi di biocombustibili liquidi, numerose iniziative sviluppate negli anni passati si sono concluse con difficoltà di vario genere, sia tecnologiche che finanziarie (Choren, Germania; Chrisgas, Svezia; Chemrec, Svezia; Forest-BTL, Svezia). D’altronde, le difficoltà tecniche connesse alla produzione di un gas di sintesi di elevata qualità e privo di contaminanti, nonché gli investimenti connessi alla realizzazione di questi impianti (tipicamente di grande taglia), rappresentano certamente le principali criticità. Nonostante ciò questa filiera è in grado di produrre gasoli di elevata qualità, un prodotto di estremo interesse per il mercato UE. Altre iniziative industriali sono in via di predisposizione e probabilmente vedranno la luce nei prossimi anni.

Nel campo della pirolisi esistono, invece, due principali istallazioni industriali in Europa: quella dell’azienda BTG-Bioliquid, in Olanda, e quella della Fortum/Valmet in Finlandia. Tuttavia, occorre sottolineare come nessuna delle due sia destinata alla produzione di combustibili per trasporti, ma piuttosto alla generazione di energia termoelettrica o termica. Esiste, infine, un progetto pilota/dimostrativo in Germania, presso il Karlsruhe Institute of Technologie, di nome BIOLIq, destinato ai trasporti.

Per quanto concerne l’HVO/Green Diesel, i principali attori industriali europei sono Neste Oil (Finlandia), ENI (Italia) e TOTAL (Francia), i primi due con impianti già realizzati e funzionanti. In qualche modo “parente” di questo processo è quello dell’azienda finlandese UPM, multinazionale della carta, che produce gasolio avanzato da Crude Tall Oil (CTO): un olio generato dalla biomassa lignocellulosica e disponibile in grandi quantità in quanto materiale di scarto ricavato nell’ambito del processo di produzione della carta. Un cenno, infine, al settore dei carburanti per aviazione. Ad oggi il processo da fonti rinnovabili che maggiormente ha servito il settore è quello dell’HVO, dove il biojet, separato dal Green Diesel, è chiamato HEFA. Ormai numerosi voli commerciali sono stati effettuati in tutto il mondo con questo combustibile (anche nell’ambito del progetto Europeo FP7 ITAKA). La questione, quindi, in questo caso, è essenzialmente di carattere economico e, conseguentemente, di ottimizzazione economico ed ambientale della filiera.

Riassumendo, nel corso degli ultimi anni lo sviluppo tecnologico, la ricerca ed il trasferimento dei risultati in impianti pilota, dimostrativi e first-of-its-kind è stata sicuramente di assoluto rilievo, grazie anche all’impulso dei programmi comunitari in ambito R&D. Le prospettive sono dunque estremamente promettenti, da lato tecnologico, pur richiedendo a nostro avviso un significativo lavoro di messa a punto e sviluppo delle filiere di approvvigionamento. Tutto ciò però dipenderà dalle politiche energetiche ed industriali che verranno attuate dall’Unione Europea nel corso dei prossimi anni e post-2020.

* (RE-CORD -Consorzio per la Ricerca e la Dimostrazione sulle Energie Rinnovabili) e CREAR (Centro di Ricerca interdipartimentale per le Energie Alternative e Rinnovabili), Dipartimento Ingegneria Industriale, Università degli Studi di Firenze