L’Asia è destinata a fungere da pivot energetico delle rinnovabili nel futuro prossimo. Già il rapporto del 2013 della International Energy Agency (IEA), la cui tendenza è stata confermata nel rapporto 2016, segnalava come la traslazione del centro di gravità della domanda energetica dai paesi occidentali verso l’Asia stesse coinvolgendo anche il settore delle rinnovabili.

L’ultimo vertice dei ministri dell’Energia dei 21 Paesi APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation) ha suggellato tale tendenza, palesando l’intenzione degli stati membri di incrementare lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Anche a livello ASEAN (Association of Southeast Asian Nations) è recentemente emersa la volontà di portare la quota delle rinnovabili al 23% entro il 2025, rispetto al 9,4% del 2014.

Un altro fattore a sostegno di siffatta propensione è la crescita dell’occupazione nel settore, come rilevato dall’International Renewable Energy Agency nel suo Annual Review 2016: il 60% degli occupati è concentrato nel continente asiatico, trainato dal ruolo dominante cinese con oltre 3,5 milioni di addetti nelle varie filiere.

Tra i contributi più rilevanti vanno annoverati i due paesi più popolosi del pianeta, Cina e India, che in particolare sono stati coinvolti dalla più grande espansione del fotovoltaico, in termini percentuali.

Nel 2015 la Cina ha superato la Germania come paese detentore della maggior capacità fotovoltaica (43 GW), primeggiando già nella produzione e nell’utilizzo di tecnologie smart grid e nella detenzione delle risorse eoliche mondiali. In termini comparatistici, Pechino produce pressoché la stessa quantità di energia idrica, eolica e solare di quanta ne generano Francia e Germania insieme e, secondo Bloomberg New Energy Finance, investe a livello domestico il doppio degli Stati Uniti e il quintuplo rispetto al Regno Unito.

Allo stato dell’arte, l’ex Celeste Impero produce il 63% del fotovoltaico solare globale, è il maggior possessore di utility per la distribuzione dell’energia elettrica (nonostante manchi ancora una rete di distribuzione nazionale unificata) e detiene cinque delle sei maggiori aziende globali di produzione di moduli solari, oltre a essere il più grande produttore di turbine eoliche (dal 2010) e di batterie agli ioni di litio (Li-Ion, impiegate nell'elettronica di consumo, soprattutto laptop, cellulari e auto elettriche). Per quanto attiene quest’ultimo punto, esemplificativa è la recente acquisizione, da parte di Tianqi Lithium, del controllo del 25% (2,5 mld. doll.) di una miniera di litio in Cile. Nel settore biocarburanti e biomassa, le sostanze a base di etanolo rappresentano attualmente il 20% del consumo totale di carburante per autotrazione sull’intero territorio nazionale.

Senza contare che la Cina sta consolidando la sua egemonia globale nelle rinnovabili e nelle tecnologie connesse anche mediante robusti investimenti esteri, come riconosciuto dall’Institute for Energy Economics and Financial Analysis. Tra i grandi investimenti del 2016 risaltano quelli in Australia (accordo della China Light & Power da 1,1 mld. doll.), Germania e Brasile, oltreché in Cile, Indonesia, Egitto, Pakistan e Vietnam.

In prospettiva, nel prossimo quinquennio Pechino ha reso noto di voler investire 2,5 trilioni di yuan (361 mld. doll.) nella produzione energetica da rinnovabili, creando altri 13 milioni di posti di lavoro. Nel documento rilasciato dall’Amministrazione Nazionale per l’Energia si prevede peraltro che entro il 2020 le fonti pulite (eolica, idrica, solare e nucleare) provvederanno a coprire la metà della produzione elettrica nazionale. Nello specifico, la Commissione per le Riforme e lo Sviluppo Nazionale intende destinare un trilione di yuan al solare, cercando di aumentare di cinque volte la produzione, che secondo gli esperti dovrebbe corrispondere a un aumento di circa mille grandi impianti fotovoltaici.

Nel complesso, con l’entrata in vigore dell’ultimo piano energetico, il governo di Pechino prevede di portare al 15% l’apporto delle rinnovabili rispetto al consumo energetico totale, una percentuale ancora esigua rispetto alla preponderanza del carbone. Ciò nondimeno, questa recente svolta riflette il proposito di ridurre il consumo dei combustibili fossili, decisivi per l’imponente crescita economica dell’ultimo decennio ma responsabili dell’alto livello di inquinamento delle aree più densamente popolate della Cina. Secondo gli esperti, entro il 2050 la produzione energetica fornita dalle centrali a carbone dovrebbe ridursi sino al 30-50% del fabbisogno totale, laddove il rimanente 50-70% dovrebbe essere coperto dalla combinazione di altre fonti fossili (petrolio, gas naturale) e non fossili (idroelettrico, nucleare, solare, eolica, biomassa).

Dal canto suo l’India è stato il primo paese al mondo a istituire una Commissione (1981), poi divenuta Ministero (1992), per le risorse energetiche non convenzionali, a carico della quale rientra la competenza per le energie rinnovabili. Secondo il nuovo rapporto “Financing India’s Clean Energy Transition” della Bloomberg New Energy Finance, il tasso di crescita delle rinnovabili nell’ultimo triennio (2013-2016) ha raggiunto il 15% annuo, sopravanzando quello relativo alle centrali a carbone (12,5%).

Ad oggi il 61% delle rinnovabili indiane deriva dall’eolico, mentre l’apporto del solare si attesta intorno al 19%. Il crescente sostegno governativo all’eolico ha trasformato l’India nel quarto paese al mondo per capacità installata. La bozza del documento contenente il nuovo piano elettrico nazionale – pubblicato a dicembre 2016 – prevede di raggiungere la quota del 57% di rinnovabili sulla capacità elettrica totale, ben oltre la soglia del 40% (entro il 2030) auspicata dall’Accordo di Parigi sul clima (novembre 2015). Qualora realizzato, un simile piano condurrebbe il paese a collocarsi tra i leader mondiali nel settore rinnovabili. Lo stesso documento stima che non saranno necessarie, da qui al 2027, nuove centrali a carbone.

Entro il 2022 Nuova Delhi mira ad accrescere massicciamente il contributo delle fonti non fossili nella produzione elettrica, nonché a raddoppiare il già cospicuo apporto dell’eolico e ad aumentare di almeno 15 volte la produzione di energia solare rispetto ai livelli registrati ad aprile 2016. Nell’ottemperanza di quest’ultimo obiettivo, l’India ha auspicato e propiziato la nascita dell’International Solar Alliance, un’iniziativa intergovernativa che coinvolge 121 nazioni geograficamente situate tra i due Tropici, le quali nel novembre 2016 hanno firmato un Accordo Quadro teso a promuovere globalmente lo sviluppo dell’energia solare. Il dinamismo propositivo del Primo Ministro Narendra Modi e la scelta di istituire il Segretariato ad Interim e - prossimamente anche il quartier generale dell’International Solar Alliance -  presso la sede del National Institute of Solar Energy a Gwalpahari indicano l’importanza che le nuovi classi dirigenti indiane attribuiscono alla tematica. La dichiarazione di voler ridurre le emissioni del 33-35% entro il 2030 e il possibile coinvolgimento della Banca Mondiale nel mobilitare 1.000 mld. doll. in investimenti per l’impiego massiccio del fotovoltaico conferiscono all’iniziativa indiana il rango di efficace strumento di soft power in campo energetico.

Un riscontro è stato fornito dai paventati nuovi investimenti nel settore. La giapponese Softbank si è impegnata a investire 20 mld. doll. nel solare indiano, congiuntamente alla taiwanese Foxconn e all’indiana Bharti Enterprises. Lo scorso settembre è stata la francese EDF ad annunciare di voler investire 2 mld. doll. nel solare indiano, citando “l’enorme domanda prevista nel subcontinente e il fantastico potenziale delle sue radiazioni eoliche e solari”.

A favorire un simile contesto, secondo l’Institute for Energy Economics and Financial Analysis, ha contribuito il progresso tecnologico che ha cagionato un ribasso del prezzo dell’energia solare dell’80% negli ultimi cinque anni.

Sebbene i combustibili fossili non siano ancora suscettibili di soppiantamento in toto, le recenti tendenze in Asia – con Cina e India a fungere da traino – evidenziano come attraverso una concreta spinta propulsiva da parte governativa sia possibile potenziare progressivamente l’apporto delle fonti rinnovabili rispetto al consumo energetico totale.