Nel corso del 2016 (vedi Preconsuntivo) i mercati petroliferi internazionali hanno mostrato un andamento altalenante che ha però inciso positivamente sui costi di approvvigionamento delle materie prime necessarie a soddisfare la domanda di energia italiana. Il prezzo del petrolio (Brent Dated), pur passando dai 26 dollari/barile (doll./bbl) di gennaio ai 53 di dicembre (+103%), in media annua si è infatti attestato a 44 doll./bbl, un valore inferiore del 18% rispetto al 2015 e del 60% rispetto al 2014, non lontano peraltro dal limite inferiore della forchetta indicata per il 2016 nell’edizione 2015 del Preconsuntivo (vedi Preconsuntivo 2015).
Ciò non ha tuttavia favorito una ripresa dei consumi di energia totali che, nell’anno che sta per concludersi, non hanno mostrato sostanziali variazioni rispetto a quello precedente: -0,2%, ammontando a 163 milioni di Tep (mil. tep), un livello inferiore di oltre 20 mil. tep rispetto al 2010 (-11%).
Complessivamente, il mix italiano non ha evidenziato particolari novità, confermando il petrolio nel ruolo di prima fonte nel soddisfacimento della domanda di energia italiana, con una quota superiore al 36%. A seguire il gas (peso 35,4%) che, in netta controtendenza rispetto alle altre fonti, ha riportato un incremento del 4,3% a seguito della fermata dei reattori nucleari francesi che ha spinto al rialzo la produzione termoelettrica nazionale nella seconda parte dell’anno. Frenano, invece, per il secondo anno consecutivo le rinnovabili il cui peso è sceso sotto la soglia del 17%, soprattutto per il minor apporto dell’idroelettrico. Nell’insieme, le fonti fossili (carbone, gas naturale e petrolio) hanno continuato a soddisfare circa il 79% del totale, una quota ancora rilevante sebbene inferiore all’85% del 2010.
Fig.1 – Domanda di energia in Italia per fonte
Fonte: Stime UP su dati MISE
Tutto ciò, come accennato in apertura, si è tradotto in un beneficio netto per la fattura energetica italiana - il costo che sosteniamo per approvvigionarci di energia dall’estero - che è passata dai circa 35 miliardi di euro (mld. euro) del 2015 ai 24 del 2016, circa 11 in meno (-31%) con la componente petrolifera che ha contribuito con oltre 4 mld. Altra nota positiva è la sua sempre minore incidenza sul PIL, scesa all’1,4% rispetto al 4% di soli quattro anni fa, tornando sui valori del 1997.
Fig. 2 – Andamento fattura energetica e peso sul Pil
Fonte: Elaborazioni UP su dati ISTAT
Dopo la fiammata del 2015, che con un +4% fece registrare il primo e unico incremento dopo 14 anni di ininterrotte riduzioni, i consumi petroliferi totali sono tornati a segnare il passo attestandosi a circa 60 milioni di tonnellate (mil. ton.), che è più o meno il valore dello scorso anno ma inferiore di oltre 27 mil.ton. (-31%) rispetto a dieci anni fa.
Segnali positivi si sono rilevati, in particolare, per i prodotti destinati ai trasporti, soprattutto carboturbo (+8,1%), bunker (+13,6%) e GPL (+2,2%), mentre prodotti come l’olio combustibile o il gasolio da riscaldamento hanno proseguito la loro inesorabile discesa, arrivando a coprire poco più del 4% del totale rispetto al 13% del 2005. Naturalmente a detenere il primato sono ancora benzina e gasolio che, sebbene in leggera contrazione, hanno continuato a rappresentare il 52% dei consumi totali e ben il 93% nel settore dei trasporti dove si confermano essenziali in attesa di alternative altrettanto valide e sostenibili sia da un punto di vista economico che tecnologico.
Il gasolio resta il principale prodotto per l’autotrazione, con un peso sul totale di quasi il 40% e volumi vicini a quelli del 2005, a differenza della benzina che nello stesso periodo ha invece perso oltre il 40% delle vendite. è altresì interessante rilevare come anche nel 2016 il consumatore italiano abbia scelto principalmente auto alimentate a gasolio e benzina, il cui peso sulle nuove immatricolazioni è infatti salito dall’86,6 al 90%, con un parco auto totale che complessivamente risulta ancora composto per oltre il 45% da veicoli ante euro 4 (di cui circa i due terzi euro 0, 1 e 2).
Fig. 3 – Consumi petroliferi in mil.ton
Fonte: Elaborazioni UP su dati MISE
Consumi sostanzialmente stagnanti non hanno favorito la raffinazione che in termini di capacità da un paio d’anni si è stabilizzata intorno a 87,2 mil. ton. dopo la lunga fase di contrazione che dal 2010 ad oggi ha portato alla chiusura di 5 raffinerie e ad un taglio di circa 20 mil. ton. di capacità (-18%), che tuttavia non ha permesso di riassorbire il persistente eccesso di capacità.
Le lavorazioni sono scese a 70,8 mil. ton. (-2,6%), con un tasso di utilizzo degli impianti dell’82%: le lavorazioni di greggio – che rappresentano il 90% del totale – sono state pari a 64,4 mil. ton. (-3,6%), mentre i semilavorati esteri a 6,4 mil. (+8,5%). Sebbene in un contesto competitivo internazionale reso molto difficile dalle forti asimmetrie normative e di costi rispetto ai paesi extra-Ue, nel complesso i margini di raffinazione sono risultati ancora positivi, per quanto inferiori a quelli del 2015.
Il nodo della competitività dei nostri prodotti sui mercati internazionali resta per molti versi irrisolto e solo recentemente sembra avere trovato una maggiore attenzione da parte della Commissione europea che, in una comunicazione ufficiale, ha affermato il carattere strategico della raffinazione e la volontà di convocare a febbraio 2017 una nuova riunione del Refining Forum. L’obiettivo è monitorare la situazione in vista delle prossime scadenze normative (ETS, IMO, IED, BIOFUEL) che avranno un ruolo decisivo nel disegnare il futuro dell’industria della raffinazione europea e quindi italiana.
Altro elemento che non è mutato, semmai è leggermente peggiorato, è la dipendenza dal greggio importato che arriva in Italia da oltre 28 paesi diversi. Nei primi 10 mesi del 2016 tale dipendenza è infatti salita al 93% in ragione della forte contrazione della produzione nazionale (-42%) dovuta soprattutto all’interruzione della produzione in Val d’Agri che si è protratta da metà aprile fino alla metà di agosto. La sorpresa quest’anno è sicuramente rappresentata dall’Iraq che per la prima volta dal 1955 è diventato il principale fornitore dell’Italia con un peso di circa il 21%; di conseguenza, l’area mediorientale è diventata il nostro principale mercato di approvvigionamento con un’incidenza di oltre il 37% (10 punti percentuali in più rispetto al 2015), superando i paesi dell’exUrss (Russia, Azerbaijan, Kazakistan) che invece sono scesi dal 39% al 35%.
Il minore costo del greggio importato, sostanzialmente a parità di cambio rispetto al 2015, ha consentito un risparmio di circa 4 mld. sulla fattura petrolifera, passata da 16,2 a 12 mld. euro (-26%), che rappresenta l’esborso più basso dalla fine degli anni ‘90, sia in termini reali che nominali. Un beneficio che è stato interamente trasferito ai consumatori finali che per fare rifornimento nel 2016 hanno complessivamente risparmiato 5 mld. (tenendo conto dei risparmi del 2015 pari a 7 mld., il beneficio del 2016 rispetto al 2014 sale a 12 mld).
Rispetto allo scorso anno i prezzi al consumo sono, infatti, risultati mediamente inferiori di quasi 10 centesimi euro/litro per la benzina e di circa 13 per il gasolio, mentre quelli industriali (al netto delle tasse) rispettivamente di 8 e 10 centesimi, inferiori anche a quelli medi europei. Unica nota negativa l’aumento del peso percentuale delle tasse, salito nel 2016 in media al 69% per la benzina e al 65% per il gasolio (rispetto ad una media europea rispettivamente del 66% e 60%): la ragione è essenzialmente legata alla riduzione del costo industriale, data l’attuale composizione del prezzo finale. Ciò ha prodotto un gettito fiscale totale degli oli minerali di 38,8 mld. euro, in calo di oltre 1 mld rispetto al 2015, per la riduzione della componente IVA legata appunto all’andamento dei prezzi dei carburanti.
Quanto alla situazione sulla rete di distribuzione carburanti, va rilevato il permanere di molte criticità nonostante nel 2016 il numero dei punti vendita sia leggermente sceso da 21.000 a 20.750 (-250), con una altrettanta lieve ripresa dell’erogato medio stimato intorno a 1.365 mc/anno (+1,5%). Un dato che, in un contesto di consumi che negli ultimi dieci anni sono diminuiti del 20% sulla rete totale, con punte del 60% in autostrada, resta comunque più basso del 50% di quello spagnolo ed è circa un terzo di quello del Regno Unito.
Complessivamente, negli ultimi 10 anni il numero dei punti vendita totali è diminuito di circa l’8%, quale saldo della riduzione di quelli di proprietà delle compagnie e l’aumento di quelli di terzi, portando ad una proprietà divisa a metà tra compagnie associate ad Unione Petrolifera e altri operatori. Nello stesso periodo si è assistito ad un forte incremento di impianti “no-logo”, passati da poco più di 1.100 a 4.200 (+253%), che però hanno perso parte delle loro caratteristiche iniziali. Ai punti vendita a più alto erogato della GDO e delle pompe bianche più strutturate, si sono infatti affiancati migliaia di impianti – circa 2.600, pari ad oltre il 12% del totale – che avendo un erogato medio annuo di circa 500 mc hanno portato ad una significativa riduzione dell’efficienza della categoria degli indipendenti: questi ultimi, al netto della GDO, presentano erogati inferiori del 20% rispetto alla cosiddetta rete “colorata”.
Oggi, la rete distributiva italiana risulta quindi caratterizzata da un’estrema polverizzazione cui si aggiunge il dilagare dell’illegalità in tutte le sue articolazioni. Un fenomeno che negli ultimi anni ha assunto dimensioni veramente preoccupanti come dimostrano le numerose operazioni della Guardia di Finanza che, nei primi 10 mesi di quest’anno, ha effettuato complessivamente oltre 3.100 interventi, accertando prodotti energetici consumati in frode per oltre 141 milioni di kg.
L’inefficienza della rete distributiva, unita alla sua scarsa redditività, rende pertanto difficile il reperimento delle risorse necessarie per gli investimenti di manutenzione, ordinaria e straordinaria, e di modernizzazione che si renderanno indispensabili nei prossimi anni, anche per sviluppare la distribuzione dei carburanti alternativi (come previsto dalla direttiva DAFI- Directive Alternative Fuel Initiative), diffondere maggiormente le attività non-oil e rendere l’intero sistema più efficiente e sostenibile.
Fig. 4 – Confronto erogato medio per operatore in Italia mc/a
Fonte: Elaborazioni UP