Dopo l’elezione di Donald Trump, tra i settori in cui maggiori potrebbero essere gli effetti dirompenti dello status quo e di tendenze date per consolidate, come la super attenzione all’ambiente, quello dell’energia occupa senza dubbio un posto di primo piano. Non a caso, infatti, è subito partita la ridda di indiscrezioni su nomi legati al mondo degli idrocarburi per posti chiave nella nuova amministrazione statunitense. Dall’ex governatrice dell'Alaska, Sarah Palin, nota sostenitrice dello slogan "drill, baby, drill", per l'Agenzia delle Risorse Naturali ad Harold Hamm, fondatore di Continental Resource, la compagnia che estrae gas e petrolio dal giacimento non convenzionale di Bakken, e Forrest Lucas di Lucas Oil per le deleghe come Segretari agli Interni e, proprio, all’Energia.
La passione degli Stati Uniti per gli idrocarburi, tuttavia, non solo è di lungo corso ma ha proprio negli ultimi anni riacquistato notevole vigore. L’estrazione massiva del cosiddetto gas e del petrolio di scisto, infatti, ha modificato il profilo energetico degli Stati Uniti, portando il paese a ridurre sensibilmente le proprie importazioni e a competere con la Russia per il primato nella produzione di gas. É stata anche ipotizzata una possibile condivisione dei benefici con il Vecchio Continente, da sempre impegnato nella diversificazione dei propri approvvigionamenti energetici.
Pur non trattandosi di nuove scoperte, tali riserve erano state poco sfruttate in passato per via degli elevati costi di estrazione. Nel 2008 l’effetto combinato degli alti prezzi del metano americano e dei notevoli progressi delle tecniche di produzione ha permesso a questo nuovo mercato, ben supportato dal credito bancario, di rafforzarsi ed espandersi.
I cambiamenti del biennio 2014-2015 riflettono le tendenze di lungo termine: il consumo di energia primaria è leggermente diminuito, con una rilevante flessione nell’uso del carbone, superiore agli aumenti di gas naturale, petrolio e rinnovabili.
Figura 1- Consumo di energia primaria USA (2014-2015)
Fonte: EIA (2016)
Nel 2015, il consumo di gas naturale è aumentato più di qualsiasi altra fonte, arrivando al 29% del consumo totale di energia primaria. La produzione di metano non convenzionale domestico ha mantenuto livelli record e i prezzi sono rimasti bassi. Come è lecito immaginarsi, tale circostanza ha portato al maggior ricorso ad impianti a gas nella generazione elettrica.
Quasi esclusivamente destinato alla produzione di elettricità, il carbone ha fornito il 16% del consumo totale di energia primaria degli Stati Uniti lo scorso anno, in calo rispetto al 18% del 2014. Nel biennio in esame, la domanda di questa fonte è diminuita di oltre il 12%, toccando il suo livello più basso dal 1982.
È invece cresciuto il consumo di petrolio, dal momento che nel 2015 i più bassi prezzi di benzina e diesel hanno portato ad un aumento dell’utilizzo delle autovetture. L’esportazione di prodotti petroliferi continua a crescere trainata in gran parte dalla domanda del Centro e del Sud America, così come segnano un aumento le esportazioni di petrolio greggio che hanno toccato una media di 458.000 barili giorno (bbl/g).
Volgendo lo sguardo al brevissimo termine (2016-2017), il Dipartimento per l’Energia statunitense (DOE) avanza ipotesi sulle tendenze produttive delle fonti energetiche. Probabilmente anche grazie all’attenzione ricevuta durante l’amministrazione Obama, continua ad aumentare la quota di rinnovabili soprattutto nel settore dell’energia elettrica. La generazione da questo tipo di fonte (idroelettrico escluso) raggiunge una quota del 7,3% nel 2015, e – fino ad oggi - è prevista in crescita anche per il 2016 e 2017 (8,2% e 9,2%). L’incremento registrato compensa in parte la contrazione segnata dall’idroelettrico, ridottosi per il quarto anno consecutivo a causa delle condizioni di siccità della costa occidentale. Quanto al nucleare, anche il prossimo biennio sarà caratterizzato da una stabilità produttiva in linea con il recente passato.
Relativamente alle fonti fossili, nonostante la produzione media 2016 di gas sia attesa portarsi a 77,3 miliardi di piedi cubici1 al giorno (mld. pc/g) – vale a dire una crescita minore rispetto agli anni precedenti - le stime indicano un trend di ripresa per il 2017. Per contro, si prevede una riduzione della produzione di carbone del 17% nell’anno in corso, raggiungendo il livello più basso dal 1978; una lieve ripresa, intorno al 3%, è invece attesa nel 2017.
Da ultimo, l’output petrolifero – dopo aver raggiunto i 9,4 milioni di barili al giorno (mil. bbl/g) nel 2015, con un incremento di circa il 7% rispetto all’anno precedente (v. figura 2) – è ora atteso in calo: a circa 8,8 mil. bbl/g nel 2016 e a 8,7 mil. bbl/g nel 2017, in ragione del forte taglio degli investimenti conseguente al calo delle quotazioni avviatosi a fine 2014. Tuttavia, il settore ha mostrato un’evidente resilienza grazie ai significativi guadagni conseguiti in termini di efficienza e produttività.
Figura 2 – Variazione annuale produzione petrolio e combustibili liquidi (2014-2017) - USA
Fonte: Short Term Energy Outlook, EIA DOE, novembre 2016
Le tendenze di breve termine descritte potrebbero, tuttavia, subire un cambio di corso in ragione della recentissima vittoria di Trump alle elezioni presidenziali, le cui idee in materia di energia sono completamente diverse da quelle del suo predecessore. Monitorare i rapporti previsivi del DOE nei mesi a venire potrà dar conto di se e come i trend al momento ritenuti più probabili potranno essere sovvertiti dal nuovo Presidente.
1 1 piede cubico è pari a 0,028 metri cubi