Le Alpi, da sempre percepite come un baluardo di stabilità, sono in realtà una delle regioni del pianeta più vulnerabili ai cambiamenti climatici, vere e proprie "sentinelle del clima". I dati scientifici confermano che l'arco alpino si sta riscaldando a un ritmo doppio rispetto alla media dell'emisfero settentrionale, con un aumento di circa 2 gradi Celsius registrato negli ultimi 120 anni. Questa "febbre" sta innescando una ritirata dei ghiacciai che, sebbene iniziata con la fine della Piccola Età Glaciale intorno al 1850, ha subito una notevole accelerazione a partire dagli anni '80, trasformando una lenta contrazione in un vero e proprio collasso strutturale.  

La scala del fenomeno è impressionante. Dalla metà dell'Ottocento, i ghiacciai dell'arco alpino hanno perso circa il 60% della loro superficie totale. L'accelerazione recente è senza precedenti: nel solo biennio 2022-2023, i ghiacciai alpini hanno perso circa il 10% del loro volume residuo, una riduzione equivalente a quella registrata nei tre decenni tra il 1960 e il 1990. La causa principale risiede in estati sempre più torride, che hanno spinto lo zero termico a quote record (5.328 metri nell'estate 2023 ed oltre i 5.000 m nel giugno 2025), esponendo quasi l'intero arco alpino a una fusione ininterrotta, persino di notte. A questo si aggiungono meccanismi che si autoalimentano, come l'effetto "darkening": la superficie glaciale, annerita da detriti rocciosi e inquinanti atmosferici, assorbe più radiazione solare, accelerando ulteriormente la fusione. Il risultato è che i ghiacciai non si stanno semplicemente ritirando, ma si frammentano e si assottigliano, entrando in uno stato di totale disequilibrio con il clima attuale.  

La Marmolada è un simbolo tragico di questa crisi. La sua riduzione è documentata da dati schiaccianti: la sua superficie è passata da 5,16 km² nel 1905 a soli 1,47 km² nel 2021, mentre il volume di ghiacciaio è crollato da 181 milioni di metri cubi a 19 milioni nello stesso periodo. Complessivamente, dal 1888 il ghiacciaio ha perso oltre l'80% della sua area e più del 94% del suo volume. Con uno spessore massimo residuo di appena 34 metri nel 2024, la previsione è una sentenza: la sua scomparsa totale è prevista entro il 2046.

La scomparsa di giganti come la Marmolada non è una mera perdita paesaggistica, ma innesca una cascata di conseguenze. Il ritiro del ghiaccio e il degrado del permafrost aumentano drasticamente la frequenza di frane e crolli. In un contesto in cui la risorsa idrica estiva deriva principalmente dalla fusione della neve invernale, i ghiacciai assumono un'importanza fondamentale come riserva strategica. Essi, infatti, trattengono le precipitazioni e le rilasciano gradualmente nei mesi più caldi, svolgendo un ruolo di compensazione cruciale quando la neve si è esaurita e la domanda d'acqua è più alta. La loro progressiva riduzione minaccia quindi la stabilità di approvvigionamento per l'agricoltura e la produzione idroelettrica. Entrambi i settori dipendono da un flusso d'acqua costante che, senza l'apporto dei ghiacciai, non sarà più garantito, specialmente durante le estati più secche.

Su scala globale, il fenomeno assume proporzioni ancora più vaste. Tra il 1961 e il 2016, la perdita di massa glaciale ha raggiunto i 10.000 miliardi di tonnellate, contribuendo da sola a un innalzamento del livello del mare di 27 mm. Questo processo è uno dei tre motori dell'innalzamento degli oceani, insieme all'espansione termica e alla fusione delle calotte polari.

Le proiezioni scientifiche delineano due percorsi divergenti. In uno scenario di alte emissioni di gas serra, l'Italia si troverebbe a perdere il 94% della sua superficie glaciale entro il 2100, con la quasi totale scomparsa dei ghiacciai sotto i 3.500 metri già nei prossimi 20-30 anni. Secondo le previsioni dell'IPCC  (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico - Intergovernmental Panel on Climate Change), in uno scenario ad alte emissioni, l'innalzamento complessivo del livello del mare potrebbe raggiungere tra 0,63 e 1,01 metri entro il 2100. Con un riscaldamento globale di 2,7° C (in linea con le attuali promesse climatiche), circa il 50% dei ghiacciai esistenti scomparirà entro il 2100 (100.000 ghiacciai). Regioni come Europa Centrale, Canada Occidentale e Nuova Zelanda potrebbero perdere fino al 100% della copertura glaciale entro il 2100. Rispettando gli obiettivi dell'Accordo di Parigi si potrebbe salvare circa un terzo del volume attuale dei ghiacciai, un patrimonio comunque ridotto ma vitale.

La crisi colpisce anche gli ecosistemi, con la distruzione di habitat unici tutelati a livello europeo  e l'economia delle comunità montane. Il turismo invernale, basato sullo sci, affronta la crescente incertezza della neve, rendendo insostenibili molti impianti a bassa e media quota. Allo stesso tempo, il turismo estivo e l'alpinismo classico perdono la loro "materia prima", con itinerari storici che diventano impraticabili e pericolosi, minando l'identità culturale e l'attrattiva di intere vallate.  

L'analisi scientifica è chiara: una parte significativa della fusione è ormai inevitabile a causa delle emissioni passate. La sfida, oggi, è duplice e non più rimandabile. Da un lato, è necessaria un'azione climatica globale, ambiziosa e immediata, per ridurre drasticamente le emissioni e salvare il salvabile, come previsto dagli Accordi di Parigi. Dall'altro, è improrogabile l'adattamento per gestire un cambiamento che è già in corso e che renderà l'ambiente montano più instabile. Questo significa ripensare la gestione delle risorse idriche, potenziare i sistemi di monitoraggio dei nuovi rischi naturali e riconvertire i modelli socio-economici delle comunità alpine. Il 2025, dichiarato dalle Nazioni Unite Anno Internazionale della Conservazione dei Ghiacciai, deve rappresentare il punto di svolta: il momento in cui la narrazione del lutto si trasforma in un programma di azione responsabile, per governare la transizione verso il nuovo, e incerto, futuro delle Alpi.