Il Green Deal europeo, applicato secondo il modello Timmermans, si è dimostrato estremista e ideologico, mancando di un'analisi costi-benefici e ignorando le conseguenze sui sistemi industriali. Con la formazione della nuova Commissione europea e le riflessioni emergenti, sarà necessario riaffrontare il tema con maggiore pragmatismo. Confindustria ha elaborato una sua agenda, che necessita di alleanze poiché in Europa le decisioni si prendono a maggioranza qualificata. Senza l'accordo con grandi paesi industriali come Germania, Francia o Spagna, nessuna misura potrà essere assunta.

La preoccupazione generale è che, senza politiche industriali europee coordinate, gli Stati nazionali agiscano da soli, creando asimmetrie. Gli Stati ricchi come la Germania, e in misura minore la Francia, adottano politiche industriali a sostegno delle proprie imprese, mettendo a rischio il mercato unico. Il sistema industriale italiano, forte e resiliente, potrebbe entrare in crisi poiché le risorse del bilancio italiano non sono paragonabili a quelle della Germania o della Francia. È fondamentale discutere di "più Europa" per contrastare le politiche industriali nazionali e sostenere una politica industriale europea unitaria.

Un punto cruciale è il sistema ETS, in vigore da vent'anni, che si è trasformato in una tassa ambientale significativa senza una chiara valutazione dell'efficacia per la decarbonizzazione delle imprese. I proventi delle aste ETS, che dovrebbero supportare i processi di decarbonizzazione, sono gestiti dai singoli Stati, creando disparità. La Germania, per esempio, ha ottenuto 3 miliardi di euro all'anno per tre anni per compensare i costi ETS delle sue imprese, mentre l'Italia destina solo una frazione di questi proventi alle proprie imprese. È quindi necessario analizzare l'efficacia del sistema ETS dopo vent'anni di implementazione.

Un altro punto di grande importanza è la revisione della tassonomia. La tecnologia della carbon capture è stata inclusa solo dopo una lunga battaglia, ma il gas naturale, fondamentale per la transizione energetica italiana, è praticamente escluso dalla tassonomia. Anche l'utilizzo delle biomasse per produrre idrogeno non è consentito. Inoltre, il phase-out del motore endotermico entro il 2035 richiede un intervento deciso. Il nuovo presidente di Confindustria, Orsini, ha dichiarato di essere contrario a questa eliminazione e favorevole alla riapertura del dibattito sul nucleare. Confindustria si impegnerà a lavorare su questi punti, cercando di raggiungere accordi con gli altri industriali europei.

La revisione della CBAM presenta ulteriori criticità. La richiesta di un tracciamento carbonico dettagliato dei fornitori è complessa e quasi paranoica, rendendola inattuabile per molte PMI e aumentando il rischio di falsificazioni. Dal 2026, senza conformità a questo regolamento, non sarà possibile esportare. È essenziale che le normative siano realistiche e tengano conto dell'impatto reale sulle imprese.

In Italia, la siderurgia è il settore più decarbonizzato al mondo, con l'85% della produzione di acciaio effettuata tramite forni elettrici. Stiamo lavorando intensamente per raggiungere una produzione di acciaio totalmente decarbonizzato entro il 2030. Sosteniamo la decarbonizzazione, ma chiediamo che venga attuata con tempi e modi razionali, pragmatici e non ideologici. Proteggere il sistema industriale europeo come bene comune è fondamentale. Se non difendiamo questo bene, il nostro declino economico, demografico e sociale potrebbe diventare molto grave.

In definitiva, l'attuale situazione richiede una riflessione profonda e un approccio più equilibrato. Il Green Deal europeo deve essere riformulato per essere più inclusivo e meno punitivo verso le industrie. È essenziale che le politiche di decarbonizzazione non compromettano la competitività industriale europea. Solo attraverso una cooperazione efficace tra gli Stati membri e una politica industriale europea unitaria possiamo sperare di raggiungere gli obiettivi di sostenibilità senza sacrificare la nostra competitività economica.