1957: pochi anni dopo essere stato messo a capo dell’Agip, Enrico Mattei fonda a Milano la Scuola di Studi Superiori sugli Idrocarburi. L’obiettivo era colmare una lacuna nell’offerta formativa del nostro paese, che tradizionalmente non prevedeva il settore energetico tra gli argomenti principali.  Fu uno dei primi esempi di formazione post-laurea in Italia, sicuramente il più longevo: la scuola esiste ancora oggi e subito dopo la morte del suo fondatore venne rinominata Scuola Mattei. L’evoluzione del suo programma didattico negli anni può essere un buono spunto di partenza per riflettere su cosa è cambiato nel legame tra energia e formazione.

Leggendo il bando del primo anno accademico e quello del corrente anno accademico, risulta evidente l’eredità che la scuola custodisce ancora oggi: l’internazionalità e la multidisciplinarietà. Il settore dell’energia già 70 anni fa era caratterizzato da questi due elementi. Anche se il mondo del 1957 era molto lontano dalla globalizzazione e dal livello di interconnessione di oggi, il settore energetico era per sua natura internazionale, e questa componente non poteva mancare nella formazione delle persone. Questa fu sicuramente una delle grandi intuizioni di Enrico Mattei, insieme all’idea che “per fare ciò che ho in mente mi servono persone complete”, affermazione che allude alla trasversalità del progetto formativo. Dimostrazione di quanto Mattei tenesse a questo aspetto di “completezza” è l’abbonamento alla Stagione della Scala di Milano che donava agli studenti della Scuola nei primi anni. Non solo ottimi profili tecnici, dunque, ma persone curiose e aperte, in grado di dialogare tra loro superando le differenze personali, professionali e culturali.

Internazionalità e interdisciplinarità sono due valori preziosi, che la scuola non ha mai abbandonato, anzi nel tempo sono cresciuti di importanza. Gli oltre 3.000 ex allievi sono per il 57% non italiani, provenienti da 111 diversi paesi. Dal 1991 il programma didattico ha iniziato a includere formalmente le tematiche ambientali ed il corso è stato rinominato Master MEDEA - Management ed Economia Dell’Energia e dell’Ambiente.  67 anni accademici sono tanti, ma la Scuola è un organismo vivo che evolve continuamente, adattandosi al contesto. Tra l’altro, il mondo dell’energia è in perenne mutazione ed estremamente stimolante.

Dall’osservatorio privilegiato della Scuola Mattei ho potuto osservare un intreccio complesso di diverse trasformazioni nel legame tra energia e formazione. Il primo e forse il più rilevante è stato sicuramente la crescita dell’importanza dei temi ambientali. Inizialmente, questi argomenti costituivano una sorta di piccolo mondo parallelo alle attività aziendali: lentamente sono cresciuti e hanno ramificato, tanto che oggi sono completamente integrati nel business e ne sono parte inscindibile. La sostenibilità, l’economia circolare, gli ESG, le attività di offset, la cattura e stoccaggio della CO2 sono argomenti quotidiani in azienda e le attività di formazione ne sono pervase di conseguenza. Conoscere questi temi, nel giro di pochi anni, è passato da rappresentare un vantaggio competitivo ad essere un requisito essenziale nel mondo professionale.

Una delle attività formative che proponiamo agli studenti del Master MEDEA rappresenta bene questa “fusione” tra energia e ambiente: la Climate Action Simulation. Si tratta di un gioco di ruolo i cui partecipanti impersonano leader globali invitati ad un summit delle Nazioni Unite per concordare una strategia di mitigazione del cambiamento climatico. Le leve a disposizione sono a tutti gli effetti politiche energetiche: tassare o sussidiare le diverse fonti di energia, migliorare l’efficienza energetica di industria e residenziale, elettrificare i trasporti ecc… Le delegazioni riunite rappresentano settori differenti (commercio, settore alimentare, politica, agricoltura, attivisti, settore automotive…) ma tutti sono chiamati ad agire per uno scopo comune. Le diverse proposte vengono testate con il supporto di un modello di dinamica dei sistemi in grado di simulare scenari climatici al 2100, restituendo l’impatto delle decisioni sulla temperatura, l’innalzamento del mare, ma anche il costo dell’energia, il fuel mix e decine di altre variabili. La visione sistemica di questi temi è estremamente utile per considerare e sfruttare le interconnessioni e le sinergie che esistono tra le variabili. La formazione deve puntare anche a sviluppare nelle persone questo approccio “multisolving”.

Spesso, quando incontro i giovani in iniziative di orientamento, mi domandano cosa è meglio studiare o verso quali ambiti lavorativi devono indirizzarsi per dare un contributo concreto ai temi del clima e della transizione. Non credo esista una risposta, perché oggi “every job is a green job”: questa affermazione vale non solo nel settore energetico, ma anche al di fuori di esso. La maggior parte dei ruoli professionali contiene ormai una componente legata ai temi della sostenibilità. Dare alle persone gli strumenti per capire, coinvolgersi e agire (testa, cuore, mani) in questo nuovo contesto è la sfida di questi anni per chi lavora nella formazione in tutti gli ambiti.

Una recente indagine di Kite Insight  ha coinvolto oltre 7.000 lavoratori in America, Europa e Asia in 15 settori industriali, per valutare la loro conoscenza dei temi di cambiamento climatico e il suo impatto sull’economia e sulla società. Dai risultati emerge la convinzione dei lavoratori che le aziende abbiano la responsabilità morale di agire contro la crisi climatica e che essi sono pronti a fare la propria parte. Tuttavia, il report evidenzia anche un forte scostamento tra la loro disponibilità ad agire e la capacità di farlo, non possedendo le conoscenze e gli strumenti. Per realizzare i propri obiettivi di sostenibilità, dunque, le aziende devono prima di tutto lavorare per colmare questo gap interno, soprattutto investendo in formazione.

Questo ci porta al secondo cambiamento epocale, che si intreccia al primo: la mutata percezione del ruolo del lavoro nella vita delle persone. Non mi riferisco solo al ridimensionamento del peso del lavoro («la mia vita non coincide con il lavoro»), ma anche a quello che si ricerca nella sfera lavorativa («il lavoro è parte della mia vita e quindi dev’essere in sintonia con i miei valori»). Questo secondo aspetto tocca da vicino il mondo dell’energia, poiché si trova al centro di alcuni temi sempre più sentiti dalle persone.

La formazione riveste un ruolo cruciale anche in relazione a questo cambiamento. Per trarre vantaggio dalla attuale dinamicità del mercato del lavoro, è essenziale possedere un bagaglio di conoscenze e competenze adeguate e aggiornarsi costantemente lungo l'intero arco della vita professionale. Inoltre, la formazione si deve adattare alle carriere non lineari, in cui il sapere si aggiorna costantemente e si arricchisce nel corso della carriera professionale, consentendo un percorso articolato e variegato.

In conclusione, perché la transizione energetica abbia successo occorre costruire una cultura dell’energia. Questo coincide con il costruire una cultura dei temi ambientali e della sostenibilità, ormai inscindibili dall’ambito energetico. Tutti questi temi sono per loro natura interdisciplinari: non dobbiamo pensare che riguardino solo gli ambiti STEM, ma coinvolgono aspetti legali, economici, sociali e molto altro.

Anche per questo, adottare un approccio olistico deve essere il faro guida dei progetti formativi. Le sfide che ci troviamo ad affrontare sono complesse e richiedono la capacità di pensare per sistemi, di vedere non solo i singoli alberi ma la foresta: comprendere le interconnessioni tra gli elementi è indispensabile per prendere le giuste decisioni, per adottare comportamenti trasformativi che possano generare un cambiamento vero e durevole.

Le opinioni espresse nell’articolo sono personali dell’autore e non possono essere attribuite all’azienda per cui lavora.