Un nuovo documento pubblicato dalla Commissione Europea “raccomanda” di ridurre le emissioni del 90% entro il 2040, in accordo con l’Accordo di Parigi, affinché l’UE continui a fare da apripista nell’azione internazionale sul clima, creando allo stesso tempo opportunità per l’industria europea di prosperare in nuovi mercati globali, soprattutto in ambito di tecnologia pulite. Affinché ciò accada, la strategia di crescita sostenibile, il Green Deal, dovrebbe diventare “un accordo di decarbonizzazione industriale”.

Lungi dal fissare già da ora un target vincolante, la raccomandazione passerà al vaglio di tutti gli stakeholder interessati, mentre una decisione finale non è attesa prima del prossimo anno. Tuttavia, come era inevitabile che fosse, ha suscitato un vivace e divisivo dibattito, tra chi ne apprezza la portata, chi ritiene ambizioso l’obiettivo di riduzione ma richiede cautela, e chi invece lo ritiene ancora troppo timido e poco efficace.

La proposta è stata particolarmente apprezzata da una parte del mondo politico: secondo Jennifer Morgan, segretario di stato tedesca per la politica climatica “costituisce una pietra miliare nel processo di modernizzazione dell’economia europea, atta a garantire nuovi posti di lavoro, energia pulita, giustizia sociale e un futuro climate-neutral”, mentre per Wopke Hoekstra, Commissario europea per l’Azione per il Clima, è un invito all’azione urgente per contenere i devastanti effetti della crisi climatica sulle vite umane e gli enormi costi che da questo discendono. E ancora per Leonore Gewessler, Ministro federale per la protezione del clima, l'ambiente, l'energia, la mobilità, l'innovazione e la tecnologia dell’Austria, il target è in linea con le politiche ambientali di Vienna che punta a raggiungere la neutralità carbonica già al 2040.

All’insegna della cautela, invece, sono le posizioni del mondo industriale tedesco, ma anche europeo in generale, preoccupato che obbiettivi così ambizioni possano mettere le aziende dell’UE in una posizione di svantaggio a livello internazionale.  "La fattibilità tecnica, l'efficienza economica e la sicurezza dell'approvvigionamento devono essere al centro della politica europea", sostiene Holger Lösch, vicedirettore dell'associazione industriale BDI, che ribadisce inoltre come la transizione verso la neutralità climatica richiede enormi investimenti in un lasso temporale molto breve. Per il capo dell'associazione dell'industria chimica VCI, Wolfgang Große Entrup, un’Europa climaticamente neutrale presuppone un’industria forte: posizione da cui muove la necessità di un accordo industriale che segua il Green Deal. Bisogna garantire alle imprese l’accesso all’energia green a prezzi competitivi, a finanziamenti intelligenti e a un quadro giuridico sicuro. Maggiore pragmatismo, invece, viene richiesto dall’Associazione Industriale bavarese (vbw), che oltre all’espansione delle fonti rinnovabili guarda anche allo sviluppo più rapido dell’idrogeno.

A non essere invece pienamente soddisfatto del nuovo target è il mondo ambientalista e quello che ruota intorno alle ONG. La prima critica afferisce al “quantum”: il target di riduzione del 90% è ritenuto troppo poco ambizioso e si colloca nell’estremo inferiore dell’intervallo 90-95%, una delle tre opzioni individuate dall’European Scientific Advisory Board on Climate Change (ESABCC). Per Michael Bloss, partito dei Verdi tedesco e membro del Parlamento europeo, la raccomandazione "gratta appena la superficie di ciò che la scienza ci dice sia necessario” richiedendo un impegno di riduzione di almeno il 95%. Per Lutz Weischer di Germanwatch la proposta della Commissione è “only the absolute minimum of what is necessary”, mentre sarebbe stato più opportuno puntare al taglio del 95% così da rafforzare la leadership tecnologica e la sovranità energetica dell’UE. Per Cosimo Tansini di EEB, invece, la soglia del 90% “non solo non è sufficiente per mitigare gli impatti del cambiamento climatico, ma dimostra che l’UE continua a fare affidamento sull’utilizzo di tecnologie sottosviluppate per raggiungere i suoi obiettivi, quando invece dovrebbe puntare sulla riduzione della domanda, sullo sviluppo della rete e sull’accelerazione della diffusione delle energie rinnovabili”. Per WWF Germany, addirittura, bisognerebbe già puntare alla completa neutralità al 2040, in un tentativo di accelerare invece che di frenare la transizione.

 

Anche il “come” traguardare il target non ha trovato il plauso di tutti gli attori coinvolti. La Commissione sostiene che il Green Deal debba diventare un accordo di decarbonizzazione industriale che potenzi i settori già ad oggi avviati, come l’energia eolica, idroelettrica ed elettrolizzatori, e continui ad aumentare la capacità produttiva nazionale in settori in crescita come batterie, veicoli elettrici, pompe di calore, solare fotovoltaico, biogas e biometano ed economia circolare e CCU/CCS. Proprio su quest’ultimo punto muovono diverse critiche: a chi contesta gli ingenti investimenti fatti per una tecnologia non provata, si affianca chi sostiene l’opportunità di investire per preservare e ripristinare i nostri pozzi naturali di carbonio, delle nostre foreste e dei nostri suoli.

Se si trova, poi, convergenza sulla necessità di espandere le rinnovabili, il mondo ambientalista non si accontenta della riduzione del consumo di combustibili fossili dell’80% entro il 2040 e del completo phase-out dal carbone, puntando piuttosto, per quella data, a una riduzione totale di queste ultime.   

Primo passo di una discussione più ampia che potrà trovare concretezza solo a valle delle elezioni per il Parlamento europeo, seguite dalla nomina di una nuova Commissione, la raccomandazione costituisce l’ennesima occasione per riflettere “sul mix di politiche e investimenti per trasformare l’Europa in un’economia competitiva e sostenibile che contribuisce alla qualità della vita delle persone e della società”.

L’articolo è la sintesi di un’analisi più ampia dal titolo “EU sets focus on climate-friendly industry in 2040 climate target proposal” comparsa su Clean Energy Wire