The times they are a-changin’, anche nella distribuzione gas. Quando, nel 2000, il Decreto Letta diede inizio alla riforma del settore e all’apertura alla concorrenza, la prospettiva era di un fabbisogno sempre crescente. Pochi anni dopo, nel 2011, l’Agenzia internazionale dell’energia preconizzava una “golden age of gas”. Di conseguenza, le gare per l’assegnazione a nuovi operatori della gestione delle reti gas vennero concepite con l’obiettivo principale di promuovere la metanizzazione del paese e adeguare le infrastrutture a un consumo maggiore. Il tempo si è incaricato non solo di smentire, ma addirittura di rovesciare questa prospettiva. Oggi, il futuro delle reti gas è dominato da un grande punto di domanda: quanto gas dovranno trasportare? E quali gas? Gli imperativi della transizione energetica assegnano infatti a queste infrastrutture obiettivi del tutto nuovi, che non hanno più a che vedere con la connessione delle aree oggi poco o per nulla servite, ma con l’utilizzo delle reti in modo coerente con la decarbonizzazione.

Ciò significa, nella sostanza, che non solo il volume, ma anche la tipologia degli investimenti necessari dovrà cambiare. Anziché dell’estensione lineare dei tubi, i nuovi gestori dovranno occuparsi, da un lato, del miglioramento della performance (a partire dalla riduzione delle perdite), dall’altro dell’adeguamento delle reti gas a ricevere sempre meno metano di origine fossile, e sempre più biometano, idrogeno verde o metano sintetico. Ciò ha impatti sia sui materiali e la gestione delle infrastrutture, sia sul loro stesso funzionamento. La bidirezionalità, che finora aveva travolto le sole infrastrutture elettriche, è ormai una questione concreta anche nel mondo del gas. Mentre nel passato le reti gas dovevano prelevare metano dalla rete di trasporto e veicolarlo ai consumatori finali, la proliferazione di impianti distribuiti sul territorio per la produzione di gas low carbon fa sorgere l’esigenza di inviare gas in controflusso verso le reti di trasporto stesse (e quindi, potenzialmente, verso gli stoccaggi). Non solo: il ruolo ormai da protagonista delle fonti rinnovabili nella generazione elettrica implica che alcuni periodi di sovraproduzione si alterneranno ad altri in cui il sistema elettrico si troverà “corto”. Da ciò segue l’enorme attenzione che c’è per lo sviluppo di adeguati sistemi di accumulo. Ecco: le reti gas possono fungere da sistema di accumulo, per così dire, naturale, in grado di ricevere l’energia elettrica in eccesso (sotto forma di idrogeno o metano di sintesi).

In questo contesto tanto diverso, è inevitabile che cambi anche l’obiettivo assegnato ai gestori delle reti e, con esso, il disegno delle gare per selezionarli e le caratteristiche che essi devono avere per poter svolgere correttamente le nuove mansioni. Lo spostamento da obiettivi quantitativi di sviluppo delle reti a obiettivi qualitativi relativi alle loro prestazioni comporta, anzitutto, che il meccanismo di gara deve essere ripensato per selezionare gli operatori che più mettono a fuoco questa esigenza: le bozze di revisione del DM Criteri circolate l’anno scorso muovono dei passi in questa direzione. Ne diventa pertanto urgente l’adozione così come l’approvazione di piani di sviluppo che guardano in una direzione diversa da quella oggi ritenuta desiderabile.

Questa differente articolazione del sistema implica anche che la tipologia di investimenti necessaria è caratterizzata da maggiore complessità tecnologica e maggiore assorbimento di capitale: le economie di scala sono, dunque, più importanti ed evidenti oggi di quanto fossero in passato. In questo senso, la frammentazione del settore appare tuttora rilevante, con poco meno di 190 operatori che tra l’altro gestiscono reti distribuite a macchia di leopardo sul territorio, poiché all’interno del medesimo ambito convivono svariati operatori. Il corretto svolgimento delle gare è necessario, quindi, anche a rimettere ordine e razionalità nel sistema, garantendo l’applicazione del principio secondo cui all’interno di ciascuno dei 177 ambiti deve essere attivo un solo gestore. Viene anche da chiedersi se il numero dei 177 ambiti – che quando venne individuato appariva come un ragionevole compromesso – non sia oggi eccessivo. Per certi versi questa è una domanda che non può avere risposta, anche se il raffronto col mercato contiguo dell’energia elettrica – dove un unico operatore serve circa l’85 per cento dei clienti – fa emergere una asimmetria che è resa stridente dall’eccesso di frammentazione da un lato, di concentrazione dall’altro.

Nella direzione di promuovere quei processi di aggregazioni necessari a supportare il fabbisogno di investimenti per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione europei va senza dubbio apprezzato il nuovo regime di regolazione ROSS (Regolazione per Obiettivi di Spesa e di Servizio) che ha il vantaggio, tra gli altri, di favorire una maggiore efficienza non più solo sui costi operativi ma anche sui costi di capitale.

Una maggiore razionalizzazione del settore della distribuzione gas è, in ultimo, elemento essenziale di ogni iniziativa di sector coupling con il settore elettrico. Ciò affinché un eventuale coordinamento tra i due settori avvenga su condizioni di partenza paritarie e necessarie a favorire una efficiente allocazione di risorse verso quegli investimenti che permettono di conseguire gli sfidanti obiettivi di decarbonizzazione a cui l’Europa si è impegnata, a costi sostenibili per il sistema.

Se l’Italia vuole giocare la sua partita anche sul piano industriale della transizione energetica, e confermarsi tra le best practice regolatorie europee, è tempo di scelte coraggiose: salvaguardare ciò che di positivo vi è nell’attuale disegno complessivo del settore, superarne le fragilità, e affrontare con coraggio le sfide e le criticità che tutto ciò che è nuovo, e quindi sconosciuto, porta sempre con sé.