Il 2023 si chiude con una sostanziale conferma delle previsioni formulate al termine dello scorso anno. In estrema sintesi, alla fine del 2022 ci si aspettava che il nuovo anno avrebbe portato con sé un alleggerimento delle tensioni inflazionistiche nei mercati energetici, ma che le bollette sarebbero state comunque pesanti. Il rallentamento macroeconomico e condizioni climatiche favorevoli hanno alleviato le difficoltà dei consumatori europei, in un anno sconvolto dagli orrori di nuovi conflitti. Con il 2023, inoltre, si conclude l’esperienza terrena di Robert Solow, premio Nobel per l’Economia nel 1987 per i suoi contributi alla teoria della crescita economica. Il ricordo del grande economista americano rappresenta, per chi scrive, il carburante di una macchina del tempo che lo riporta agli anni della laurea. Ma la vasta produzione scientifica di Solow offre spunti di riflessione utili ad interpretare i prossimi andamenti dei mercati energetici, a dispetto della rarità di riferimenti all’energia nella sua opera.
Ad esempio, sono soloviane le previsioni di crescita formulate dall’economista cinese Justin Yifu Lin e criticate in un recente articolo per Project Syndicate da Yi Fuxian. Secondo Lin, la Cina sarebbe in grado di raddoppiare il proprio PIL pro capite tra il 2020 e il 2036, sorpassando così il PIL pro capite degli Stati Uniti a partire dal 2030, con le chiare conseguenze per la domanda energetica. Tale previsione trova fondamento - implicito - nell’ipotesi di convergenza, una delle principali implicazioni del modello di Solow: la rapidità con cui un’economia alla frontiera tecnologica (gli USA) viene raggiunta da un’economia emergente (la Cina) dipende positivamente dal divario iniziale tra i rispettivi PIL pro capite (77,4% nel 2019, a parità di poteri d’acquisto). La stessa confutazione da parte di Fuxian si affida, tra le righe, alla letteratura che a partire dagli anni ’80 ha arricchito il modello di Solow, introducendo nuove variabili esplicative che condizionano le capacità dell’economia emergente di raggiungere l’economia leader. Fuxian sostiene che il governo cinese attui una sistematica sovrastima delle aspettative di crescita, un sospetto corroborato da Moody’s, che prevede un rallentamento della crescita cinese al 4% nel 2024.
I potenziali effetti di un divario tra la realtà e gli scenari del governo cinese, a causa di previsioni troppo ottimistiche, sono di ovvio interesse anche per le sorti dei nostri mercati energetici. La Cina è dominante sullo scenario globale per quanto riguarda il consumo di carbone (55,5% nel 2023) e la produzione (50,7% nel 2023); rappresenta un polo di attrazione crescente per le produzioni petrolchimiche e ospita una quota consistente della capacità produttiva globale di energia eolica, fotovoltaico e batterie.
La decisione del nostro governo di non estendere il memorandum sulla nuova Via della Seta oltre la scadenza del marzo 2024 non è una mera scelta di campo geopolitica, ma riflette le manifeste incertezze sulla crescita economica cinese. Peraltro, si inserisce nel complessivo riposizionamento che l’Unione Europea sta operando nelle catene globali del valore, il cui primo esempio è fornito dalle misure di emergenza approvate nel 2022 per affrontare la crisi energetica. Se il REPowerEU aveva lo scopo di preservare la sicurezza delle forniture di gas naturale, con l’approvazione del Critical Raw Materials Act da parte del Parlamento Europeo (12 dicembre 2023) la UE stabilisce target riguardanti l’estrazione, la lavorazione e la raffinazione delle materie prime critiche per la produzione di turbine eoliche, pannelli fotovoltaici e sistemi di accumulo, al fine di costituire una autonoma capacità produttiva e innovativa entro i confini dell’Unione. Analogamente, le misure di protezione previste dalla European Wind Charter, firmata il 19 dicembre da 26 Paesi della UE, contrastano la concorrenza dei componenti prodotti a basso costo in Cina, ove si presume che il basso costo rifletta violazioni dei princìpi di sostenibilità ecologica e sociale propugnati dall’Unione. Coerente con il riposizionamento dell’Unione è anche il Carbon Border Adjustment Mechanism, di cui il 31 gennaio 2024 si chiuderà la fase transitoria di applicazione; una misura in cui la penalizzazione dei Paesi free riders nella lotta al cambiamento climatico e la protezione delle industrie europee si sovrappongono in maniera esemplare.
Valutare l’idoneità di queste misure a calmierare i prezzi dell’energia elettrica non può prescindere da considerazioni sulla tempistica degli effetti, destinati ad emergere a lungo andare, ma circondati dall’incertezza. Nel frattempo, gli elevati tassi di interesse che caratterizzano l’attuale politica monetaria europea stanno già esercitando una pressione talvolta insostenibile sui progetti dedicati all’energia verde. Tale pressione penalizza oltremodo imprese che già affrontano la dura concorrenza del gigante asiatico: i prezzi dei moduli solari cinesi sono calati del 42% nel 2023 rispetto all’anno precedente. Non a caso, la Commissione Europea nelle sue valutazioni sui piani nazionali integrati energia-clima, pubblicata il 18 dicembre, ha evidenziato diversi ritardi nella realizzazione degli obiettivi. Carenze nelle basi di conoscenza tecnologica necessarie ad effettuare fasi delle catene del valore finora dominate da Paesi extra-europei potrebbero gravare sulla capacità di compensare gli alti costi di finanziamento dei progetti, almeno nel breve termine. Ciò nonostante, una politica industriale che stabilisca una chiara direzione di sviluppo tecnologico è un passo strategicamente necessario. In tal senso, è pienamente condivisibile la critica mossa dalla Commissione Europea al nostro PNIEC, quando rileva la vaghezza delle disposizioni sulla ricerca e sviluppo. Solo attraverso investimenti finalizzati all’individuazione di un nuovo paradigma tecnologico o di una nuova traiettoria tecnologica potremo ambire a ridisegnare i confini geopolitici delle catene del valore a cui partecipano le nostre aziende energetiche.
La crisi del gas ha peraltro stimolato ipotesi di riforma dei mercati per l’energia elettrica, nella convinzione che si possa in tal modo sganciare il costo dell’elettricità dai prezzi internazionali del gas in attesa che il progresso tecnico offra soluzioni endogene ai fabbisogni energetici dell’Unione. Questo è lo spirito che anima la riforma comunitaria del mercato elettrico, su cui il Consiglio e il Parlamento Europeo hanno raggiunto un accordo provvisorio nel dicembre 2023, così come altre proposte di riforma discusse da chi scrive in un articolo per Rivista Energia (marzo 2023). Il 2024 non vedrà ancora gli effetti di una riforma i cui contorni devono ancora essere delineati con precisione, ma che ha già suscitato dibattiti ampiamente documentati nel numero di novembre 2023 di Rivista Energia. Resta da capire se la protezione dagli shock esterni a cui punta la riforma sarà sufficiente a favorire l’ulteriore diffusione delle rinnovabili, rafforzando un ben noto effetto calmierante sui prezzi.
Per il momento, le previsioni disponibili (ENEA, Nomisma) con le regole di mercato esistenti indicano un PUN tra i 90 e il 95 €/MWh, in calo rispetto al 2023, ma ancora alto rispetto ai livelli dell’ultimo anno pre-pandemico. Su tali previsioni peraltro pesano gli attacchi dei militanti Houthi nel Mar Rosso, che minacciano di sconvolgere le rotte del commercio globale. I mercati del gas e del petrolio sono già in fibrillazione.
Produrrà, invece, effetti relativamente rapidi sulle tariffe al dettaglio la riforma del regime di maggior tutela. Effetti che sono paventati non soltanto dall’uomo della strada, ma anche dalle ricerche in corso, come quelle svolte dall’Osservatorio Nazionale Federconsumatori, che stima un incremento pari a +8,5% per le bollette dell’energia elettrica. È peraltro consolidata nella letteratura accademica sul tema l’evidenza di una certa ritrosia da parte degli utenti a cambiare gestore, pur in presenza di vantaggi di prezzo. Almeno nel 2024, dunque, potrebbe prevalere il ricorso al Servizio a tutele graduali per i circa 4,5 milioni di utenze attualmente in regime di maggior tutela, ma non considerate vulnerabili.
E’ lecito domandarsi se la combinazione di misure contraddittorie, analoga a quella denunciata da Pianta e Lucchese nella loro valutazione dello European Green Deal, non tradisca obiettivi diversi da quelli dichiarati. Gli appelli alla sostenibilità ecologica e sociale perdono vigore se le famiglie già provate dal caro vita vengono esposte ai venti della liberalizzazione, in anni che si preannunciano bui per gli investimenti pubblici dopo l’approvazione del nuovo patto di stabilità e crescita.
Sembrano trasparire convinzioni radicate in un’idea del processo di crescita economica che collima con gli interessi delle industrie estrattive. Lo stesso modello di Solow fu aspramente criticato per aver trascurato i limiti fisici alla crescita fondata sulle risorse esauribili.Quel dibattito di 50 anni fa tra Solow e Georgescu-Roegen suona sinistramente attuale se si ripensa alle critiche suscitate dalla COP28. Del resto, il modello su cui si sono formate generazioni di economisti e decisori politici fornisce ulteriore sostegno a posizioni controverse sulla de-carbonizzazione, ad esempio per le sue implicazioni sul postulato di Khazzoom e Brookes, anche detto rebound effect, secondo cui ogni incremento autonomo dell’efficienza energetica (per es. indotto da politiche tecnologiche) comporta in ultima analisi un aumento del consumo di energia. Inoltre, il modello di Solow a certe condizioni implica la cosiddetta curva di Kuznets ambientale, che attribuisce ai Paesi a medio reddito pro capite la massima incidenza sulle emissioni pro capite di gas climalteranti, de-responsabilizzando le economie più ricche nei confronti del cambiamento climatico a discapito delle economie emergenti.
In conclusione, sembra che almeno per il 2024 difficilmente il calo nei costi delle materie prime potrà compensare gli elevati costi di finanziamento per i nuovi progetti di impianti a fonti rinnovabili. Nuovi picchi di prezzo dei combustibili fossili su cui si basa il PUN difficilmente saranno compensati dall’effetto calmierante delle rinnovabili. Inoltre, nel segmento retail è presumibile che si manifesteranno rincari nonostante la nutrita concorrenza tra le offerte. In attesa degli sperati effetti stabilizzanti della riforma del mercato elettrico, per ottenere risparmi nella bolletta elettrica gli utenti finali dovranno portare pazienza; analoga pazienza e anche una buona dose di lungimiranza sarebbero auspicabili da parte di chi governa l’Unione, affinché le regole fiscali non impediscano l’ottenimento di una sovranità tecnologica nelle catene del valore green.