A pochi mesi dalla scomparsa di Franco Nanni, storico Presidente del ROCA, l’associazione dei contrattisti offshore di Ravenna, mi piace ricordare il nostro incontro di una decina di anni fa per una intervista sullo sviluppo del distretto energetico di Ravenna negli anni 60-70.  Franco Nanni era il primo che intervistavamo per ricostruire la storia della Ravenna di quel tempo e delle sue imprese energetiche che ancora oggi sono presenti sul territorio. “Di tre fornelli accesi, uno era di Ravenna”, esordì Nanni parlando dell’epoca d’oro della produzione di gas italiana: gli anni ’70, appunto, quando un terzo del gas consumato dalle famiglie italiane veniva estratto nel mar Adriatico dall’Agip.  

Iniziò il suo racconto parlandoci proprio dell’Offshore Mediterranean Conference (OMC) come fiera internazionale e vetrina di primo piano per l’impiantistica offshore e la città di Ravenna. D’altronde, OMC nacque proprio da una intuizione sua, allora Presidente di Rana Diving, e di Pietro Baccarini, allora Presidente della Camera di Commercio di Ravenna, che immaginarono il distretto ravennate come punto d’incontro tra l’Europa e i paesi produttori del Nord Africa e Medio Oriente. A tal fine, si rendeva necessario organizzare una fiera internazionale sulla falsariga delle grandi manifestazioni del Mare del Nord – l’Offshore Europe ad Aberdeen e l’Offshore Northern Sea a Stavanger – in grado di riunire i grandi players mondiali, focalizzando l’attenzione su tematiche e problematiche dell’industria O&G nel bacino del Mediterraneo.

Su queste premesse, le realtà associative locali e nazionali – ROCA (che nasce nel 1992 proprio allo scopo di promuovere l’internazionalizzazione delle aziende del distretto) ed Assomineraria (oggi Assorisorse) – assieme alla Camera di Commercio di Ravenna inaugurarono nel 1993 la prima edizione di OMC. I numeri rivelarono un successo inatteso: 55 stand per 196 aziende e qualche migliaio di visitatori, un risultato che apriva le porte dell’internazionalizzazione all’industria para-petrolifera italiana. L’ultima edizione del 2019 ha registrato numeri record con 600 aziende espositrici da 33 paesi e 23.400 presenze. Quest’anno ricorrono i trent’anni dalla nascita e si prevede una grande affluenza e un rinnovato interesse per una manifestazione che nel tempo si è evoluta per rispondere alle richieste del mercato energetico globale e ai prioritari obiettivi climatici e ambientali.

A partire dal 2012, OMC ha organizzato ad anni alterni una manifestazione sorella, la Renewable Energy Mediterranean Conference and Exhibition (REM), che guardava in modo approfondito al settore delle energie rinnovabili e allo sviluppo di nuove tecnologie meno impattanti per l’ambiente. Poi, l’impegno di cogliere opportunità industriali nei futuri scenari energetici e dare risposta al cruciale trilemma sicurezza- sostenibilità-competitività, ha portato negli anni OMC ad attivare importanti sinergie e partnership con diversi settori dell’energia, consolidando così il suo ruolo catalizzatore. In particolare, gli accordi siglati negli ultimi anni con Elettricità Futura, Fondazione Enrico Mattei e ANEV testimoniano l’impegno di promuovere uno scambio costruttivo di expertise e tecnologie tra le diverse realtà industriali in un’ottica di decarbonizzazione.  

La transizione energetica è un’opportunità per rilanciare la capacità tecnologica e industriale delle imprese nazionali e, in particolare, per quelle del distretto emiliano-romagnolo, eccellenze internazionali ma con un forte radicamento territoriale. L’impulso che portò le imprese del ravennate ad avventurarsi nel settore O&G, ed in seguito ad espandersi all’estero, le spinge oggi allo sviluppo e alla ricerca nel settore rinnovabili con l’ambizione di trasformare l’attuale distretto O&G in un distretto energetico a 360 gradi. Come sempre, sono le mani operose e le menti creative che fanno la differenza e il territorio emiliano-romagnolo, a partire da personalità come Franco Nanni, le ha sapute valorizzare facendone il perno della sua ricchezza.

Confidiamo che anche il sistema-paese e il mondo politico possano salvaguardare questo bacino di eccellenza nostrana, evitando che la crescente concorrenza internazionale le costringa a ridimensionarsi o delocalizzarsi. Un’eventualità che rappresenterebbe una grave perdita per il nostro Paese, non solo occupazionale ed economica ma anche di quel sapere tecnico-scientifico e di quella “atmosfera culturale” che si respira tipicamente nei distretti industriali.