Hanno indubbiamente avuto una grande eco le recenti dichiarazioni del Presidente Prodi in merito alla transizione all’elettrico nei trasporti. La questione verte non solo sull’impatto socioeconomico, ma sulla tesi che le istituzioni europee non abbiano trattato in modo equilibrato le diverse opzioni tecnologiche necessarie per la transizione. La ben nota “neutralità tecnologica” più volte discussa è il reale oggetto del contendere, in effetti. Il tema è in realtà noto e dibattuto da anni tra gli esperti del settore ed i ricercatori, ma probabilmente mai come adesso la discussione si è realmente accesa, a valle della decisione di Bruxelles relativa al sostanziale phasing out dei motori a combustione interna.

Detto che la (giustissima) ambizione ambientale europea è talmente elevata da richiedere di non escludere alcuna soluzione possibile, la difficoltà è quella di integrare in modo efficiente tutte le opportunità che la tecnologia offre. Innanzitutto, il contesto: il trasporto privato è solo una parte del totale. Sicuramente rilevante, e certamente il comparto più adatto ad essere elettrificato, a differenza di altri quali aviazione, marittimo ed heavy duty (detti per questo hard to abate). Nonostante ciò, la conversione all’elettrico anche nel trasporto privato richiede una serie di azioni e passaggi che non sono esattamente semplici da realizzare, dove il propulsore in sé è solo una parte della questione.

Per introdurre a larga scala ed in modo sostenibile veicoli elettrici, infatti, sarà quantomeno necessario:

  • ridurre i costi dei BEV (Battery Electric Vehicles) per renderli accessibili ai consumatori (il che significa anche favorire l’impiego di veicoli di dimensioni inferiori e massa minore);
  • risolvere il problema dei materiali critici per lo stoccaggio dell’energia a bordo, riducendo al minimo la dipendenza dalle importazioni e diversificando le catene di approvvigionamento;
  • convertire le aziende ed i sistemi produttivi, con azioni di formazione di upskilling e reskilling del personale tecnico e del management d’impresa, nonché di innovazione e trasferimento tecnologico;
  • disporre di energia elettrica rinnovabile in grande scala;
  • sviluppare in modo diffuso le infrastrutture di ricarica dei mezzi elettrici, tenendo anche conto del contesto storico ed edilizio tipico del nostro Paese;
  • risolvere le criticità relative al bilanciamento della rete elettrica in presenza di un massiccio flusso di energia elettrica rinnovabile di tipo variabile (solare ed eolico);
  • realizzare in concreto il passaggio ad una diversa tipologia di mobilità urbana, favorendo il trasporto pubblico e promuovendo un reale behavioural change nel consumatore in grado di ridurre la domanda di trasporto privato.

La condizione essenziale per il passaggio alla mobilità elettrica è dunque quello che questa sia effettivamente sostenibile, ma ciò dipende da tutti i fattori appena esposti. Il passaggio è cioè certamente possibile, ma non semplice da attuare nei tempi brevi dettati dall’Unione Europea, e prevede costi significativi. Purtroppo, però, l’emergenza climatica richiede di introdurre rapidamente sistemi in grado di ridurre le emissioni, ed in questo la Commissione e le Istituzioni Europee hanno certamente ragione a tenere alto il livello degli obiettivi.

Le due cose non sono semplici da mettere assieme e la vera sfida è quella di creare una roadmap industrialmente, socialmente ed ambientalmente credibile e realistica. Questo richiede appunto la valorizzazione di tutte le opzioni che la tecnologia offre: e qui sia i biocombustibili, che gli eFuels ed i recycled carbon fuels offrono una soluzione sostenibile ed immediatamente spendibile, che può affiancare ed essere complementare al trasporto elettrico, senza impatti dirompenti sulla filiera industriale dell’autoveicolo e delle infrastrutture.

Lo studio dell’Università di Monaco, citato dal Presidente Prodi, confronta emissioni di veicoli a trazione puramente elettrica (BEV) e veicoli mossi da moderni motori a combustione interna (ICE). In realtà, altri lavori scientifici, come ad esempio quello dei prof. Andersson e Börjesson dell’Università di Lund del 2021, mostrano chiaramente come la combinazione di combustibili sostenibili e moderni sistemi di propulsione possano produrre benefici (relativamente alle emissioni gas serra) superiori ai BEV. Ancor più se si ricorre a soluzioni ibride, che massimizzano i benefici di una parziale elettrificazione dei mezzi (e quindi con batterie di ridotte dimensioni) con propulsori di ultima generazione. Ciò riduce anche la necessità di intervento sulla rete delle infrastrutture di distribuzione e ricarica, moderando la necessità di intervento in tempi così rapidi.

Il punto, dunque, è che non è scientificamente corretto considerare l’unica opzione sostenibile quella della elettrificazione. Tuttavia queste valutazioni di merito non hanno trovato lo spazio che avrebbero meritato nella discussione politica, che avrebbe richiesto un approccio più equilibrato e neutro. Questa situazione forse ha anche preso origine dallo studio “Net Zero” della IEA, che, in modo probabilmente eccessivamente ottimistico, ha ipotizzato la transizione al puro elettrico entro il 2035, trascurando gli impatti e non approfondendo adeguatamente le alternative.

Addirittura – caratteristica pressoché unica dei biocombustibili “ben fatti” – le filiere bio possono 1) essere carbon negative, e non solo carbon neutral, come invece è la maggioranza delle altre opzioni (e nei casi più ottimistici), e 2) aiutare il settore primario food/feed tramite filiere e modelli agronomici sostenibili: e questo è decisamente necessario, se si intende veramente seguire le indicazioni emerse sin dalla COP21 di Parigi. In Italia abbiamo un brillante esempio nel modello Bioags Done Right, dove il biometano può arrivare ad essere prodotto senza spostare un solo ettaro dall’uso per la filiera food/feed, ma anzi sostituendo l’uso della chimica in agricoltura con fertilizzanti di natura organica (e sequestrando carbonio).

Nel campo della produzione dei combustibili alternativi sostenibili il nostro Paese dispone delle tecnologie di produzione, già sviluppate a scala pienamente industriale, ed al contempo, ha un comparto produttivo automotive di grande importanza nazionale, europea e globale. Da tutte queste considerazioni derivano le reazioni in Italia alla decisione di Bruxelles, tra cui – oltre a quella del governo – quelle del mondo industriale e dei sindacati. Forse un momento di riflessione ed un confronto più pacato ed oggettivo potrebbe aiutare a combinare nel modo migliore ed ottimale il portafoglio di soluzioni sostenibili innovative a cui possiamo attingere, preservando al contempo il comparto produttivo nazionale ed evitando impatti sociali rilevanti.