“Gli è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare” diceva Gino Bartali dei problemi del ciclismo su strada, espressione ormai divenuta popolare e che ritorna buona anche per la nuova direttiva sulla prestazione energetica degli edifici. Il 9 febbraio 2023 la Commissione ITRE - Industry, Research and Energy del Parlamento Europeo ha discusso e approvato la nuova versione della Direttiva EPBD sulla prestazione energetica degli edifici. Il relatore e rapporteur Ciaràn Cuffe ha dichiarato: «L'aumento dei prezzi dell'energia ha spostato il focus sulle misure per l'efficienza e risparmio energetico degli edifici così da ridurre le bollette energetiche e la dipendenza dalle importazioni di energia. Vogliamo che la nuova direttiva EPBD riduca la povertà energetica, abbassi le emissioni e migliori la salubrità per garantire la salute della popolazione. Queste sono strategie di crescita che consentiranno maggiore occupazione nel settore delle costruzioni, delle fonti energetiche rinnovando, migliorando il benessere delle persone negli edifici in Europa.»

La Direttiva rientra, a pieno titolo, tra le azioni per raggiungere gli obiettivi previsti dall’Unione Europea nel “Fit for 55 Package” che fissa un target di riduzione delle emissioni nette di gas climalteranti del 55% entro il 2030, e dalla Legge Europea sul Clima (European Green Deal) .

Il prossimo step sarà la discussione in Assemblea nella sessione di martedì 13 marzo 2023 a Strasburgo durante l’Assemblea Plenaria del Parlamento Europeo, dove Ciaràn Giuffre illustrerà il Rapporto finale della commissione ITER alla Commissione Europea.

Burocrazia. Seguire gli iter di discussione e approvazione dei provvedimenti normativi è, soprattutto per i tecnici, complicato. Lo è, ancor più nell’ambito delle istituzioni europee, composte da Commissione, Parlamento, etc. con le quali si ha meno dimestichezza rispetto a quelle italiane. Inoltre, la nuova Direttiva sulla Prestazione Energetica degli edifici (EPBD recast), giunta al suo quarto aggiornamento (2002/91/CE, 2010/31/UE e 844/2018/UE) è stata oggetto di un acceso dibattito pubblico sui giornali e non solo su quelli specialistici. A memoria personale non ricordo altrettanti dibattiti pubblici, così accessi, sulle precedenti versioni della direttiva, soprattutto sul lato politico. Dibattito che solo il recente provvedimento sul termine della cessione del credito previsto dal Superbonus ha messo in secondo piano.

La dichiarazione di Ciaràn Cuffe sottolinea i tre fulcri della direttiva: povertà, emissioni e salubrità degli ambienti. Il legislatore ha ben chiaro quanto sia mutato il contesto economico, energetico e politico, da un anno a questa parte, e mentre nelle precedenti direttive il fulcro era la riduzione delle emissioni, ora è il costo dell’energia e il suo legame con le dinamiche geopolitiche. Ridurre i consumi per ridurre le bollette. A questo si aggiunge che se la direttiva del 2010 si riferiva alle nuove costruzioni, che costituiscono circa l’1% dell’intero patrimonio, e per le quali poteva richiedere che fossero a energia zero, la direttiva del 2018 e ancor più questa in discussione nel 2023 si rivolgono al restante 99% dell’edificato.

Chiariti gli obiettivi occorre scendere nel dettaglio del come e del cosa, ovvero di quali sono gli strumenti e le scadenze previste dal testo in discussione. Partiamo dai contenuti.

L’articolo 3 prevede che gli Stati Membri debbano prevedere un Piano nazionale di rinnovamento degli edifici, mediante una roadmap, che includa gli edifici residenziali e non residenziali, pubblici e non pubblici. Il Piano deve essere in grado di de-carbonizzare lo stock degli edifici esistenti entro il 2050.

L’articolo 5, invece, fissa i requisiti minimi di prestazione energetica degli edifici. Nel definire tali  requisiti gli Stati Membri devono adottare l’approccio costi benefici (art.6), e prevedere esclusioni, come già previsto nelle precedenti direttive e nei provvedimenti attualmente in vigore in Italia (Dlgs 192/2005 e smi).

L’articolo 7 è dedicato alle nuove costruzioni. I governi dei 27 paesi membri devono assicurare che gli edifici di nuova costruzione dal 2030 (2027 per gli edifici pubblici) siano a “zero-emission building” (edificio a zero emissioni, nel quale il fabbisogno di energia è interamente coperto da fonti rinnovabili generate in loco). Il mercato Italiano, grazie al Dlgs 192/2005 e smi e alle politiche incentivanti, si può ritenere pronto. L’impatto sulla filiera delle costruzioni vedrà, probabilmente, una diffusione di soluzioni impiantistiche del tipo pompe di calore elettriche + fotovoltaico; per quanto riguarda il processo di progettazione il ruolo del termotecnico diventerà – ma già lo è stato con l’Ecobonus e poi con il Superbonus – centrale nella definizione delle scelte progettuali e costruttive. Inoltre la soluzione “tutto elettrico” potrà favorire le Comunità Energetiche.  

L’articolo 8 è dedicato agli edifici esistenti. Gli Stati Membri devono assicurare che gli edifici sottoposti a maggiori rinnovazioni soddisfino i requisiti minimi (art.5). La legislazione italiana e regionale già prevede diversi requisiti minimi nel caso di intervento di ristrutturazione importante, di primo o secondo livello, o di riqualificazione energetica degli edifici; requisiti che, si presume, saranno oggetto di aggiornamento verso obiettivi più stringenti (vedi articolo 9).

L’articolo 9, invece, fissa i  minimum energy performance standards e alcune scadenze riferendole alle classi energetiche minime degli edifici esistenti. Ad esempio gli edifici residenziali devono essere in classe F a partire dal 2030 e in classe E a partire dal 2033. Aspetto quest’ultimo che ha acceso il dibattito pubblico!

A tal proposito si ritiene di sottolineare due aspetti: 1) tali “classi energetiche minime” devono far parte della roadmap di cui all’articolo 3, quindi il come e il quando saranno definiti dagli Stati Membri, così come, si presume, saranno adottati strumenti e incentivi (art.15) perché tali obiettivi siano raggiunti o raggiungibili. Quindi non vi è nessun obbligo di classe energetica minima per la compravendita, o almeno non è scritto così, perché non si fa riferimento agli attestati di prestazione energetica (art. 16) i quali dovranno essere, entro il 2024, aggiornati e armonizzati. 2) La “classe energetica” è un range di valori espressa in kWh/m2anno di energia primaria, e i criteri per determinare tali range variano da Stato a Stato: nel caso dell’Italia, ad esempio, sono classi mobili e riferiti all’edificio di riferimento. Non esiste quindi (ancora) certezza su quale sia la classe energetica minima europea e vi sono tutti i margini per discutere e definire range e classi aderenti.  A dare contezza sulla babele europea delle classi energetiche è lo studio dell’European Dataware house, però non disponibile alla consultazione.

Tuttavia, una focalizzazione esclusiva sull’articolo 9 e sull’obbligo di rispettare la classe energetica minima, ha messo in cattiva luce la nuova direttiva con le relative barricate. Al contrario, tale direttiva presenta altri aspetti positivi come l’introduzione del “Passaporto di ristrutturazione” (art.10): documento redatto da esperti qualificati, i cui contenuti sono da definire e che, dal 2024, dovrà riportare i possibili interventi per migliorare la prestazione energetica, la salubrità degli ambienti e ridurre le emissioni. Si tratta di una sorta di upgrade degli “interventi migliorativi” attualmente presenti nell’attestato di prestazione energetica.

In ultimo, l’articolo 15 tratta degli incentivi finanziari e barriere del mercato e prevede che gli Stati Membri dovranno adottare provvedimenti finanziari per raggiungere gli obiettivi previsti nella roadmap entro il 2050. L’articolo sembra aprire a nuovi finanziamenti per le riqualificazioni energetiche, anche se le forme, i modi così come le modalità di finanziamento di tali agevolazioni, sono da definire. In altri termini può essere l’occasione per far tesoro delle esperienze positive degli incentivi Ecobonus e Superbonus e metterli a sistema in maniera tale da non gravare sulla finanza pubblica.  Tali incentivi, riporta il comma 12 dell’art. 15, dovranno dare la priorità alle abitazioni vulnerabili, con persone e famiglie in condizioni di povertà energetica o persone che vivono nell’edilizia sociale. Tema questo della povertà energetica che, purtroppo, non riesce a “bucare” lo schermo del dibattito pubblico.

Dopo il 13 marzo, vi saranno molte questioni da discutere per l’attuazione della Direttiva e credo l’Italia abbia persone e competenze per far valere le richieste e necessità specifiche del settore delle costruzioni, delle professioni tecniche e del patrimonio immobiliare italiano. Sperando non sia necessario fare come durante la Conferenza di Pace di Parigi nel 1919, nella quale si delineava la nuova Europa dopo la prima guerra mondiale, quando la delegazione italiana, per protesta contro le decisioni prese, abbandonò le trattative che, invece, continuarono.