Potremmo dire che il 2022 è stato un anno difficile per l’ambiente; tuttavia, pensandoci bene, l’ambiente siamo noi. A volte, parlare dei problemi ambientali rischia di porci in una posizione pericolosamente distaccata: sarebbe il momento di comprendere che non stiamo parlando di qualcosa che è altro da noi, bensì di noi stessi, del nostro stile di vita e delle nostre scelte, presenti e future. Quindi, accertato il sillogismo, il 2022 è stato un anno difficile per Sapiens: dal punto di vista dei mancati passi avanti delle politiche ambientali internazionali, ma soprattutto dal punto di vista delle condizioni climatiche estreme che si sono susseguite in giro per il mondo.
Il dato principale cui tutto va ricondotto sono le emissioni di CO2: il 2021 ha segnato un nuovo record, che sarà presto soppiantato dai dati definitivi del 2022. Maggiori emissioni implicano maggiore concentrazione in atmosfera, con una serie di impatti non lineari sul clima, a partire dall’aumento della temperatura del Pianeta: la media del periodo 2013-2022 è stata stimata in 1,14° C superiore alla linea base dal 1850 al 1900 (Sesto Rapporto dell’IPCC). Dinamica non lineare si registra anche per l’innalzamento del livello del mare, raddoppiato dal 1993: gli ultimi due anni rappresentano da soli il 10% dell'aumento complessivo da quando sono iniziate le misurazioni satellitari (circa 30 anni fa). La situazione forse più drammatica è quella dei ghiacci: l'estensione del ghiaccio in Antartide a febbraio 2022 è scesa a 1,92 milioni di km2, il livello più basso mai registrato. Anche più vicino a casa nostra, i dati non sono incoraggianti: nel 2022 in tutto l'arco alpino sono state misurate perdite medie di spessore dei ghiacciai comprese tra i 3 e 4 metri, nettamente superiori a quelle registrate nel precedente anno record, il 2003. In Svizzera, per la prima volta nella storia, la neve non ha superato la stagione estiva nemmeno nei siti di misurazione più alti. Secondo il WMO (World Meteorological Organization) tra il 2001 e il 2022 il volume dei ghiacciai svizzeri è sceso da 77 a 49 km3.
Oltre a queste tendenze di lungo periodo (pericolosissime, ma impercettibili nel quotidiano di Sapiens), il 2022 è stato l’anno degli eventi climatici estremi che hanno avuto un costo immediatamente tangibile sulla società e sull’economia. Questa estate, mentre India e Cina soffrivano un’ondata di calore estremo e cercavano refrigerio bruciando ancora più carbone, un terzo del Pakistan era sommerso da inondazioni, che causavano 1.700 morti e lasciavano senza casa quasi 8 milioni di persone. In Italia, secondo un report dell'Osservatorio Cittàclima di Legambiente, gli eventi meteo-idrogeologici sono aumentati del 55% rispetto allo scorso anno: sono stati registrati 310 fenomeni meteorologici che hanno provocato danni e 29 morti. Siccità, grandinate, trombe d’aria e alluvioni hanno riportato l’incremento maggiore. Senza dimenticare le temperature primaverili di novembre che, sebbene gradevoli e utili contro l’emergenza gas, non erano certo un buon segnale.
Sul fronte geopolitico, legato a doppio filo al mercato energetico e quindi, indirettamente, anche al clima, l’invasione dell’Ucraina ha esacerbato le tensioni sui prezzi delle fonti fossili. Questa crisi ha messo in luce come la transizione energetica proceda su binari fragili: l’Unione Europea, paladina del green, si è vista costretta a sostituire una parte del carissimo gas naturale con il carbone, sostenendo che in situazioni come questa “non esistono tabù”. Sebbene questo fuel-switch sia da considerare temporaneo, esso costituisce evidenza del fatto che i tempi non sono ancora maturi per abbandonare il fossile. Con quale credibilità possiamo sederci al tavolo delle COP e chiedere ai paesi a basso reddito il phase out del carbone, se siamo i primi a ripescarlo dal cilindro quando siamo in difficoltà? Il mercato del carbone ha vissuto un 2022 di fermento: i flussi commerciali tradizionali si sono interrotti, con un’impennata dei prezzi e la domanda in crescita dell'1,2%, raggiungendo il massimo storico e superando per la prima volta gli 8 miliardi di tonnellate. L’aumento più forte si registra nella generazione elettrica (2%) per sopperire al calo dell’idroelettrico (derivante dal perdurare della siccità) e del gas naturale (diventato troppo caro). In termini geografici, l’incremento deriva dalla generazione elettrica in India e nell'Unione Europea e solo in minima parte dalla Cina.
Dobbiamo renderci conto che siamo di fronte a sfide altamente complesse. Purtroppo, ancora una volta, la politica mostra di mancare di un approccio sistemico nell’affrontarli: il riduzionismo, che porta a risolvere le questioni un pezzetto alla volta, difficilmente può funzionare. Le misure messe in atto sembrano dire “prima risolviamo la questione del gas naturale, pensiamo a scaldarci per l’inverno, poi ci preoccuperemo di emissioni e clima”, senza tenere conto del fatto che tutto fa parte del medesimo ingranaggio: le scelte fatte oggi per tamponare la crisi avranno inevitabilmente ricadute sul raggiungimento degli obiettivi del Fit for 55.
Sul fronte degli accordi internazionali, il 2022 si è chiuso con due segnali positivi: a dicembre è stato firmato un accordo storico per tutelare la biodiversità e l’UE ha raggiunto un’intesa sul meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM). Con il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, firmato nell’ambito della COP15, i Paesi partecipanti hanno concordato una tabella di marcia per proteggere il 30% della biodiversità delle terre e il 30% dei mari entro il 2030 e sostenere con 30 miliardi di dollari in aiuti annuali la conservazione nei Paesi poveri. Il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere dell’UE riguarda invece le importazioni di prodotti ad alta intensità di carbonio. L’obiettivo è evitare, nel pieno rispetto delle norme commerciali internazionali, che gli sforzi di riduzione delle emissioni europee siano vanificati da un aumento delle emissioni al di fuori dei suoi confini, attraverso la delocalizzazione della produzione in Paesi dove le politiche ambientali sono assai meno ambiziose.
Cosa aspettarci, dunque, per il 2023? In questo inizio d’anno, nelle stanze della politica internazionale si aggirano due elefanti: il primo rappresenta le evoluzioni del conflitto ucraino mentre il secondo le prospettive di ripresa dei consumi cinesi. Fatto salvo il ruolo di queste grandi incognite, che da sole possono capovolgere l’equilibrio precario dei mercati, proviamo a fare una breve lista di motivi per essere ottimisti:
1- È ragionevole aspettarsi un nuovo record di investimenti in clean energy: nello scenario Stated Policies dell’AIE gli investimenti globali in energia pulita saliranno a oltre 2 trilioni di dollari all'anno entro il 2030, con un aumento di oltre il 50% rispetto a oggi. Sincronizzare lo sviluppo delle rinnovabili con un ridimensionamento dei combustibili fossili costituisce la soluzione più solida alla crisi energetica di oggi e permetterebbe di evitare picchi dei prezzi.
2- Stiamo iniziando a sfruttare il potenziale dell’efficienza energetica. L'attuale crisi ha finalmente puntato i riflettori sulla domanda di energia e non più solo sull’offerta. L'efficienza riveste un ruolo fondamentale nel contenimento della bolletta per famiglie e imprese e comporta vantaggi in termini di sicurezza energetica, riducendo le tensioni sui mercati e la necessità di investimenti in nuove forniture.
3- Solare ed eolico sono ormai una realtà consolidata nella generazione elettrica; occorre far crescere queste fonti anche nel settore industriale e nel riscaldamento, per svincolarsi progressivamente dal predominio fossile.
4- Il 2023 sarà un anno decisivo per la climate finance: sulla scia dell’accordo su Loss and Damage raggiunto alla COP27, l'attenzione si sposta ora sul come rendere questo fondo operativo e in grado di ricevere contributi per adempiere al suo ambizioso compito. Senza dimenticare il precedente impegno alla mobilitazione di 100 miliardi di dollari all’anno per i Paesi poveri, deciso a partire dal 2020 e ancora mai raggiunto.
Insomma, il futuro del clima (ovvero di Sapiens) non è roseo, ma nemmeno totalmente compromesso: la finestra, come mostra l’eloquente copertina dell’ultimo Emissions Gap Report dell’ONU, si sta per chiudere. C’è ancora uno spiraglio: se vogliamo mantenerlo aperto occorre agire subito, senza perdere altro tempo.
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