Il piano di contenimento dei consumi gas varato in settembre dal Mite prevede di ridurre la domanda di oltre un miliardo e mezzo di metri cubi tra agosto 2022 e marzo 2023, aumentando al massimo la produzione delle centrali a carbone. Una “massimizzazione” di fatto dell’utilizzo delle ultime centrali a combustibili solidi in Italia, del resto, era in gran parte già in atto da mesi per ragioni commerciali, tanto che l’entrata in vigore dell’obbligo non sembra aver modificato molto il quadro.    

Nel 2022 la capacità a carbone installata in Italia da grandi impianti di generazione è scesa a circa 5,5 GW, dai circa 6,3 dell’anno precedente e i circa 8 GW di cinque anni fa, frutto della progressiva uscita dal sistema degli impianti più vecchi e inquinanti – gli ultimi a chiudere definitivamente i battenti erano stati due gruppi a Fusina (VE) e l’ultimo gruppo di La Spezia, entrambe centrali Enel.

Tra i grandi impianti, restano operativi tre gruppi della centrale Federico II (BA) per circa 1,8 GW, due a Fusina per 560 MW, due a Monfalcone (GO) per circa 310 MW, tre a Torrevaldaliga Nord per altri 1,8 GW, che i proprietari Enel e A2A si sono impegnati a dismettere entro il 2025 come previsto dal Pniec.

A questi vanno aggiunti quattro gruppi in Sardegna tra le centrali di Sulcis e Fiumesanto, per quasi 1 GW, che secondo i piani di Terna i proprietari Enel e EP Produzione non potranno smantellare del tutto fino alla piena entrata in esercizio nel 2028 del cavo Tyrrhenian Link.

A dispetto della progressiva riduzione della capacità installata, nel 2022 si è però registrato un deciso rimbalzo della produzione degli impianti superstiti. Secondo i dati comunicati da Terna all’associazione europea dei gestori di rete Entso-E e indicizzati dal Fraunhofer Institut, nei primi nove mesi dell’anno la loro produzione ha superato i 15 TWh contro i 12,5 TWh circa dello stesso periodo del 2019, a fronte di consumi nazionali più bassi di circa 1 TWh.

Produzione e capacità installata a carbone Italia 2012-22

Fonte: Staffetta su dati Terna, Entso-E, Fraunhofer Institut

Come si può vedere dal grafico qui sopra, e ancor più dal successivo che confronta i totali mensili dell’ultimo biennio, la ripresa è cominciata ben prima del 19 settembre scorso, quando l’indicazione ministeriale di massimizzare la produzione a carbone è diventata operativa.

Produzione lorda centrali a carbone italiane (TWh)

Fonte: Staffetta su dati Terna, Entso-E, Fraunhofer Institut

Di fatto, sia la produzione che i tassi di utilizzo della capacità disponibile hanno iniziato a invertire la tendenza al declino degli ultimi anni già dall’autunno 2021, quando cioè il rally dei prezzi del gas naturale ha iniziato a premere in modo crescente sui costi variabili e quindi sui margini di generazione delle centrali a metano, da anni la tecnologia maggioritaria nel mix elettrico italiano.

A luglio scorso, mese in cui la domanda elettrica è solitamente la più alta dell’anno, la produzione a carbone ha superato i 2 TWh, quasi il doppio di un anno prima.

A trainare l’incremento, come nei mesi precedenti e successivi, è stato principalmente un fattore commerciale: i minori costi hanno imposto di diritto la produzione a carbone nell’ordine di merito, portandola già non lontana dal massimo possibile, almeno nei limiti delle indisponibilità, programmate e non, segnalate nel contempo dai titolari degli impianti.

Il grafico successivo mostra l’andamento dei margini di generazione a carbone e a gas negli ultimi anni al netto dei costi per i permessi di emissione: evidente la sproporzione tra le due tecnologie.

Clean spark e dark spread mensili (€/MWh)

Fonte: Staffetta su dati Alba Soluzioni 

Insomma, se gli elevati fattori di carico di questi mesi stanno già contribuendo a contenere la domanda di gas, non sembra restare grande spazio per miglioramenti ulteriori nei prossimi mesi, come testimoniano le modeste variazioni viste a partire dal 19 settembre, s’intende a meno di richiamare in esercizio gruppi dismessi (es. La Spezia o Fusina), ipotesi che finora il governo ha escluso.

Del resto il potenziale contributo del carbone, che nel 2013 copriva da solo il 16% del mix nazionale, è ormai in buona parte irreversibilmente ridotto: in termini percentuali la generazione da combustibili solidi ha coperto nei primi 9 mesi dell’anno solo poco più di un 6% dei consumi elettrici italiani, contro poco più del 5% nel 2019, toccando il “picco” del 7,2% nel mese di settembre. Una quota ridotta, come si vede, anche se in situazioni di emergenza anche questi numeri possono fare la differenza.