In seguito all’attacco russo all’Ucraina, la Commissione Europea ha proposto un piano per limitare drasticamente le importazioni di energia dalla Russia: il REPowerEU Plan, presentato in due comunicazioni pubblicate l’8 marzo e il 18 maggio 2022. Benché complesso e articolato in numerose aree e strategie, il REPowerEU può essere riassunto in tre obiettivi centrali: risparmio ed efficientamento energetico; diversificazione delle importazioni di fonti fossili, gas in particolare; accelerazione della transizione energetica.

Il primo e il terzo obiettivo seguono le logiche tracciate prima della guerra dalle politiche climatiche europee, e dal programma ‘Fit for 55’ in particolare, che viene reso ancora più ambizioso con nuovi target per l’efficientamento energetico e la produzione da fonti rinnovabili. Si propone di raddoppiare la produzione di solare fotovoltaico entro il 2025 e di quadruplicarla entro il 2030; al contempo, si introduce l’obbligo di installare pannelli solari in alcune categorie di edifici. Altrettanto notevoli sono i piani riguardanti il biometano, la cui produzione dovrebbe essere più che decuplicata entro il 2030, e l’idrogeno verde, il cui uso dovrebbe raggiungere le 20 milioni di tonnellate entro lo stesso anno (per metà prodotte nella UE, mentre il resto verrebbe importato).

Attuando queste misure, secondo la Commissione Europea, sarà possibile eliminare una buona parte delle importazioni di gas dalla Russia. Tuttavia, gli stessi calcoli fatti a Bruxelles prevedono che almeno 60 miliardi di metri cubi di gas importato dalla Russia vengano sostituiti da altre importazioni, prevalentemente gas naturale liquefatto (GNL). La diversificazione delle importazioni è dunque una parte essenziale del REPowerEU. Benché i documenti pubblicati dalla Commissione tendano a minimizzare, i costi e l’impatto ambientale di tale diversificazione sarebbero notevoli.

Innanzitutto, i Paesi UE dovrebbero competere sul mercato globale per ottenere gli approvvigionamenti di GNL, che negli ultimi anni sono tendenzialmente risultati più cari rispetto a quelli via gasdotto. Ad esempio, per assicurarsi i quantitativi necessari, l’Europa si troverebbe a competere con grandi importatori asiatici come la Cina e svilupperebbe una nuova dipendenza energetica dagli Stati Uniti, che presumibilmente diventeranno il principale esportatore di GNL nel mercato europeo. In breve, in campo energetico il rapporto di interdipendenza con la Russia (che esporta nella UE energia e importa prodotti del settore manufatturiero) verrebbe sostituito da rapporti di concorrenza o dipendenza con due competitor industriali. Sarebbero, inoltre, necessarie nuove infrastrutture per il GNL, come nuovi porti, rigassificatori e interconnettori, che comportano nuovi costi e il rischio del carbon lock-in.

Da un punto di vista climatico, la sostituzione di importazioni via gasdotto con GNL rappresenta un passo indietro. A causa dei processi di produzione, liquefazione e rigassificazione e del trasporto via tanker su lunghe distanze (ad esempio, da Qatar e USA), il GNL è più impattante per quantitivi di emissioni rispetto alle importazioni via gasdotto da Paesi prossimi alla UE. L’import dagli USA sarebbe per altro gas di scisto, prodotto con la fratturazione idraulica (fracking), una tecnica molto impattante sull’ambiente che è vietata in alcuni Paesi UE. Le esigenze politiche del momento hanno portato a trascurare queste questioni nelle discussioni attuali, sebbene spesso si parli di investimenti con un orizzonte di anni, se non decenni.

Secondo i calcoli della Commissione, per finanziare il REPowerEU saranno necessari 210 miliardi di euro fino al 2027, in aggiunta alle spese già previste per attuare il programma Fit for 55. Questi costi dovrebbero essere coperti con l’aggiustamento di finanziamenti già stanziati, in particolare la Recovery and Resilience Facility; circa 20 miliardi di euro arriverebbero dalla vendita di quote di emissioni aggiuntive – il che comporterebbe però emissioni di gas serra più elevate. D’altra parte, la Commissione sostiene che l’attuazione del REPowerEU e del Fit for 55 permetterebbe un risparmio di oltre 90 miliardi di euro da qui al 2030, derivante dalle minori importazioni di combustibili fossili.

Nel complesso, il REPowerEU può rappresentare un’accelerazione della transizione energetica in Europa, soprattutto se conduce concretamente a maggiori investimenti nell’efficientamento energetico e nelle energie rinnovabili. La parte del piano riguardante la diversificazione delle importazioni, in particolare quelle del gas, è invece più controversa e dettata da logiche politiche più che climatiche o commerciali. Se la grave crisi nei rapporti con la Russia rende queste misure necessarie, è comunque essenziale parlare chiaramente delle conseguenze.

È inoltre importante sottolineare anche alcuni aspetti critici delle politiche ‘verdi’ raccomandate nel REPowerEU. Oltre all’accelerazione e alla semplificazione dei processi burocratici (aspetti evidenziati nel piano), è necessario un eccellente sistema di governance e di monitoraggio degli interventi di efficientamento e di installazione delle rinnovabili, con particolare riguardo all’uso dei fondi e agli impatti ambientali. La transizione energetica deve avvenire in modo equo, limitando le sperequazioni economiche e sociali.

Infine, l’installazione di energie rinnovabili su larga scala prevista dal REPowerEU ridurrà complessivamente la dipendenza energetica europea dall’estero, ma non la eliminerà. Allo stesso tempo, questa creerà alcune nuove forme di dipendenza. Oltre alle già citate importazioni di idrogeno, l’UE dovrà assicurarsi l’accesso ai minerali critici e alle terre rare essenziali per le tecnologie delle energie rinnovabili (come impianti eolici, pannelli fotovoltaici, megabatterie), così come per la transizione digitale. La strada della decarbonizzazione è quella giusta, ma le insidie nel percorso sono numerose.