Riflettere su cosa sia la fiscalità ambientale significa chiedersi se l’ordinamento giuridico tributario italiano conosca norme dedicate all’ambiente (nelle sue diverse declinazioni) ed alla sua tutela quale elemento del presupposto di un tributo. Fino a poco tempo fa (ma il fenomeno è ancora presente) si è sempre ritenuto che l’unico modo per utilizzare la norma tributaria fosse quella di far pagare più imposte (sul reddito, sugli scambi e sulla fabbricazione) agli operatori che svolgessero attività economiche inquinanti seguendo il principio comunitario del “chi inquina paga”…I tempi sono ora maturi per una diversa prospettiva.
La fiscalità ambientale deve essere intesa come l’insieme delle norme che valorizzano, all’interno di uno specifico presupposto impositivo, una relazione “virtuosa” tra attività economica (impresa, lavoro), investimenti e proprietà di beni immobili e l’ambiente nelle sue più ampie accezioni.
Ad oggi questa nuova prospettiva non è stata ancora seguita dal legislatore il quale si è limitato a interventi episodici, per settori molto ristretti, attraverso l’introduzione di misure agevolative estemporanee, prive di qualsiasi ambizione sistematica e di stabilità. Per far pagare meno imposte a chi inquina di meno o non inquina affatto occorre una scelta coraggiosa che sia seguita da disposizioni destinate a durare se non abrogate, efficaci in quei settori in cui la tecnologia, gli investimenti e la transizione ecologica sono più importanti e urgenti e, quindi, tali da orientare le scelte dei produttori e consumatori eliminando qualsiasi incertezza e provvisorietà del regime.
La fiscalità ambientale, per non restare un semplice esercizio di stile cui dedicare vane energie, richiede da subito definizioni normative tecnico-giuridiche, sostenute da una concreta e immediata prassi illustrativa, che consentano di fissare i concetti di sviluppo sostenibile, inquinamento, risparmio energetico, rifiuto, etc. anche seguendo il processo regolamentare di origine comunitaria di recente dedicato alla c.d. tassonomia ambientale. Perseguire un tale obiettivo non può prescindere dall’esistenza di una serie di dati normativi positivi che stabiliscano la nozione degli elementi sui quali si basano la sostenibilità e gli strumenti per raggiungerla.
La transizione verso un’economia sostenibile ha senza dubbio dei costi economici e finanziari: non sempre l’obiettivo, ad esempio, della riduzione dell’inquinamento o dell’adozione di modelli gestionali idonei a creare meccanismi di circolarità e riutilizzo è raggiungibile in tempi rapidi. È però vero che il processo trasformativo non è rinviabile.
Contemperare le diverse esigenze è possibile attraverso una normativa che apprezzi in modo specifico, ad esempio, il “valore” degli investimenti green oriented in termini di iperammortamento fiscale, l’ “utilità” della destinazione di utili prodotti e non distribuiti per sostenere gli oneri degli investimenti con riduzione dell’aliquota Ires e la natura green dei beni e servizi offerti con un’aliquota Iva minima soprattutto nelle operazioni B2C (Business to Consumer).
Non trascurabile anche il settore della fiscalità del lavoro dipendente in quanto gli obiettivi della sostenibilità si potranno raggiungere solo con il fattivo concorso dei dipendenti a favore dei quali andrebbe valorizzato l’esito virtuoso dell’iniziativa economica alla quale gli stessi partecipano attraverso idonei green job bonus parzialmente detassati.
Il cambiamento deve, però, interessare anche quelle generiche forme di sussidio fiscale (agevolazioni fiscali in tema di imposte sul reddito, sul valore aggiunto, sulle accise, etc.) che non discriminano la natura green dell’operatore e dell’attività economica; poiché l’eliminazione di tali sussidi, come ad es. i s.a.d, avrebbe evidenti effetti finanziari che potrebbero creare non pochi problemi ai soggetti che dovessero riorientare le loro scelte. Sono necessari interventi sistematici (cioè anch’essi definitivi come l’eliminazione dei s.a.d.) tali da garantire una transizione il meno costosa possibile nel breve-medio periodo attraverso una disciplina fiscale stabile per l’impresa green oriented.
Gli obiettivi fissati a livello comunitario relativi alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica nonché quelli fissati dal PNRR rimarcano ancora di più l’urgenza di una scelta innovativa che si affianchi alle misure di incentivazione di natura premiale proposte dall’Ocse per chi riduce le emissioni (i c.d. contracts for carbon differences). In questi termini si segnala il contenuto de “Il Libro Bianco della transizione ecologica” che contiene le proposte del gruppo di studio del Ministero dell’Ambiente e del mare (ora Ministero per la Transizione Ecologica) elaborate all’esito dei lavori svolti nel corso del 2020. In particolare si segnalano gli interventi indirizzati alle imprese che realizzino investimenti in aree a maggiore concentrazione di polveri sottili o in siti inquinati, alla regolamentazione fiscale del riutilizzo di beni riciclabili da considerarsi non più come meri rifiuti, alla previsione, in coordinamento con la comunità europea, di un’aliquota Iva ridotta per beni e servizi “verdi” e per la cessione di quelli riciclabili, alla fiscalità locale immobiliare che dovrebbe essere attenta alle ricadute ambientali della gestione degli immobili e alla riconversione urbana nonché alla possibile istituzione di zone franche verdi e ambientali.
È, infine, da ricordare che ad ogni vantaggio ambientale corrisponde un minor fabbisogno finanziario per lo Stato al quale spetta l’onere della tutela e del risanamento utilizzando le entrate tributarie pagate dalla collettività: ad un minor “consumo” dell’ambiente corrisponde, infatti, un minor fabbisogno di incassi tributari e, quindi, una minore pressione fiscale generalizzata.
Valerio Ficari, Ordinario di diritto tributario Università di Roma Tor Vergata, Avvocato