Il 7 dicembre è diventato legge il primo di alcuni Atti Delegati della Commissione europea, contenente una lista di attività definite “green”. Una serie inspiegabile di commenti positivi si sono susseguiti alla notizia: l’approvazione è stata definita un momento storico, un punto di riferimento per orientare i capitali verso investimenti verdi, un modello seguito dai leader illuminati del mondo (come Putin e Xi Jinping), mentre i suoi (indefiniti) autori sono stati indicati addirittura come "eroi" verdi.

Questi commenti non reggeranno la prova del tempo, perché la verità sulla tassonomia emergerà presto e gli apologeti di questa discutibile lista dovranno inventarsi qualche scusa creativa. La lista approvata, infatti, figlia delle pressioni lobbistiche, è lontana da quella abbozzata nel 2020, che era frutto del lavoro incessante durato tre anni di un nutrito gruppo di esperti.

Ci sono almeno 5 ragioni, ma la lista potrebbe essere ancora più lunga, per cui chi ha a cuore la natura, il clima e il diritto alla trasparenza non può essere contento di quanto sta accadendo.

  1. L'elenco approvato la scorsa settimana include attività che non sono propriamente verdi: il taglio e la combustione del legname (bioenergia), gli autobus alimentati a gas, le navi mercantili con i loro carburanti melmosi e i treni diesel, solo per citarne alcuni. E la lista di attività inquinanti potrebbe aumentare. Grazie alla tassonomia queste attività saranno etichettate come verdi e avranno, quindi, accesso a finanziamenti verdi. In sostanza, sono investimenti che verranno inseriti in portafogli e fondi di investitori ben intenzionati, ma che finiranno per qualificarsi come puro greenwashing. Una truffa.
  2. È vero che nella tassonomia sono stati inclusi veicoli elettrici e le rinnovabili, e questo è un bene, ovviamente. Ma non si tratta di una svolta epocale o pionieristica, né servirà a indirizzare fondi verso le aziende del settore, per il semplicissimo fatto che la comunità degli investitori verdi investe in questi settori da almeno un decennio. Basta confrontare le valutazioni di mercato di Tesla o di una società che si occupa di energia rinnovabile con quelle di Volkswagen e Shell per avere un’idea.
  3. Le implicazioni che queste "imperfezioni" avranno a livello globale saranno di vasta portata. Quello che doveva essere un semplice schema di classificazione è stato distorto e cambiato, rischiando di diventare la "definizione europea di attività economica green" con effetti a cascata in materia di finanza pubblica, politiche di approvvigionamento, sussidi, politica monetaria e molto altro.
  4. I mercati dei capitali probabilmente ignoreranno la tassonomia. Il fatto che la Cina o la Russia abbiano deciso di imitarla è assolutamente irrilevante poiché esiste un solo mercato che potrebbe trasformare la tassonomia in un successo: quello degli Stati Uniti, il più grande mercato di capitali del mondo. Questi ultimi, però, non hanno intenzione di percorrere una strada così complicata e prescrittiva. Le tassonomie sono sempre esistite e sempre esisteranno, e questa, così come concepita in questo momento dalla Commissione, non ha nulla di audace e pioneristico.
  5. Immersi nella battaglia legislativa di Bruxelles, si tende a dimenticare che la tassonomia è solo un'etichetta. La tassonomia non obbliga nessuno a comprare o vendere nulla. La "teoria del cambiamento" alla base della strategia di finanza sostenibile dell'UE è che "se le persone sapessero" quanto sono verdi davvero i loro investimenti verdi, acquisterebbero solo gli asset che la vera tassonomia definisce come sostenibili. Sappiamo quanto sia debole questa teoria del cambiamento. Le pubblicità delle auto devono dichiarare le emissioni, e le sigarette hanno una etichetta che avverte i consumatori contro il cancro. Ciononostante molte persone non fumano solo nei luoghi pubblici dove è illegale, così come continuano ad acquistare fuoristrada non preoccupandosi della qualità dell’aria.

Quali insegnamenti abbiamo imparato per il 2022? Almeno due. Il primo: il greenwashing non è un problema per la transizione verde, ma “IL” problema. Il secondo: non possiamo aspettarci che le istituzioni affrontino la transizione consultando gli stessi lobbisti che stanno combattendo contro di essa. E se le istituzioni non riusciranno ad affrontare il greenwashing, starà a noi, società civile, rimettere a posto le cose. L’orizzonte ha più ombre che luci.

* L’autore è Direttore Finanza Sostenibile presso Transport & Environment, nonchè Membro del gruppo esperti EU Platform for Sustainable Finance