Intervista a Stefano Caserini (Docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano)

Le aspettative sulla COP26 si basano su una visione semplicistica del negoziato sul clima. A sentire alcuni analisti, sembrerebbe che nei 13 giorni del negoziato potrebbero essere prese decisioni in grado di risolvere la crisi climatica. Così non è, ma di sicuro la conferenza sul Clima rappresenta ogni anno un buon momento per interrogarsi sulle dimensioni della sfida climatica. Una sfida che tocca società, informazione e politica. Ne abbiamo parlato con Stefano Caserini, Ingegnere ambientale e dottore di ricerca in Ingegneria sanitaria, autore di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative nonché fondatore e autore del blog climalteranti.it

COP26 e le sfide climatiche al tempo della ripresa. Il mondo si affaccia alla 26° conferenza sul clima nell’anno della ripresa post-covid e dell’aumento dei prezzi del gas, riaccendendo il dibattito su quella che ad oggi sembra una domanda senza risposta: come si coniuga la sostenibilità ambientale con quella economica?

Numerosi studi dimostrano che è possibile ridurre le emissioni di gas serra senza ridurre il benessere della popolazione. Inoltre la mitigazione del riscaldamento climatico e la riduzione delle emissioni può essere un modo per meglio raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile: a questa conclusione arriva anche il rapporto speciale “Global Warming of 1.5°C” pubblicato nel 2018 dall’IPCC, il comitato intergovernativo dell’Onu sul cambiamento climatico, il quale ha mostrato che, agendo in modo efficace, ci sono maggiori possibilità di raggiungere molti degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Ovviamente ci sono anche dei conflitti e alcune politiche sul clima, ad esempio quelle legate all’uso delle biomasse o dei biocarburanti, potrebbero creare povertà e difficoltà di accesso al cibo per alcune popolazioni. Si tratta però di problemi conosciuti e gestibili. Pertanto è una scelta di carattere politico quella di contenere gli effetti del cambiamento climatico e al tempo stesso creare benessere e ricchezza.

Si narra che la reazione di Syukuro Manabe alla notizia del Premio Nobel per la fisica per il 2021 sia stata accompagnata dall’esclamazione “But I’m just a climatologist!” come a sottolineare il ritardo che sussiste tra la ricerca sui cambiamenti climatici e il loro riconoscimento da parte del pubblico e della politica. Lei forse ne sa qualcosa, avendo iniziato a parlare di clima quando ancora il tema era fuori dal dibattito mainstream… A cosa è dovuto questo ritardo?

Il ritardo è imputabile soprattutto alla complessità della questione climatica, alla sua semplificazione e sottovalutazione. Transizione ecologica, negoziati sul clima, target sulle emissioni: ancora oggi i mezzi di informazione non dedicano il giusto spazio di approfondimento alla complessità di alcune questioni che riguardando il mondo intero e il suo sistema economico. A questo si aggiunge il bisogno di cambiare prospettiva e di puntare a scelte politiche di più lungo respiro, che non privilegino il profitto a breve termine, ma piuttosto perseguano obiettivi ispirati al principio di equità, così come indicato nella convenzione sul clima. A tal proposito consiglio un libro - Il tramonto della ragione, di Dale Jamieson - che ha spiegato i tanti motivi per cui la politica è in ritardo e per cui la nostra cultura e la nostra società fanno fatica a metabolizzare un tema come il cambiamento climatico.

Divulgazione. Recentemente il sito che lei ha fondato climalteranti.it ha denunciato un ritardo culturale del giornalismo italiano, incapace di costruire un racconto e un dibattito su un tema complesso che non sia caratterizzato da confusione, approssimazione e una quantità davvero eccessiva di fake news. La pensa anche lei così? Potrebbe spiegarci meglio questa accusa?

Sul cambiamento climatico ruota una grande disinformazione e approssimazione senza che nessuno se ne scandalizzi e i giornalisti sono poco formati e informati. Ancora oggi si verificano molti episodi che hanno dell’incredibile: in trasmissioni televisive in prima serata che hanno un vasto pubblico, anche nelle reti di servizio pubblico, viene dato spazio a pseudo-esperti che senza avere un minimo di competenza avanzano tesi come quella che il cambiamento climatico non è assolutamente di origine antropica. Si tratta di affermazioni che oltre a non avere nessun riscontro scientifico, vengono espresse in dibattitti pubblici senza che vi sia possibilità di replica da parte di climatologi che possano addurre motivazioni per confutarle. In questo modo oltre che disinformazione, vengono seminati dubbi, che come dice Naomi Oreskes nel suo libro “I mercanti di dubbi” è una delle strategie di chi vuole impedire azioni sul clima.

L’impegno dell’Italia. Il 27 ottobre è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il decreto legge sul PNRR, che alla lotta al cambiamento climatico destina il 40% degli investimenti previsti. Come valuta le misure proposte dal Governo e come si coniugano con gli impegni che verranno presi in sede di conferenza delle parti?

Il PNRR è un piano molto complesso e comprende diverse linee di azione, pertanto meriterebbe un’analisi più lunga e approfondita, inoltre dovranno seguire molte azioni attuative, per cui è presto per dare un giudizio. Si possono, tuttavia, fare due considerazioni. La prima: il piano è un passo in avanti rispetto ad altre politiche messe in campo dall’Italia, in cui il tema del cambiamento climatico aveva un ruolo del tutto marginale. Tuttavia, e questa è la seconda considerazione, il PNRR prevede delle misure che sembrano non avere molta correlazione con la riduzione delle emissioni di gas serra. Mi riferisco alle misure relative alle infrastrutture di trasporto, quali alta velocità, che nel breve-medio termine 10-15 anni, mal si conciliano con gli obiettivi di contenimento delle emissioni dei trasporti. Inoltre, non c’è un ruolo centrale per le energie rinnovabili, che dovrebbero essere al centro di tutta la partita della transizione energetica.