L’energia pesa sempre di più e sempre più peserà sui bilanci delle famiglie e sui conti delle imprese. Per due ordini di ragioni. Primo: di carattere congiunturale, ovvero la crisi del mercato del gas indotta dalla famelica domanda dell’Asia disposta a pagare qualsiasi prezzo con rimbalzo immediato sui prezzi europei. Il mercato del gas è ormai globalizzato e ogni stormir di fronde si avverte ovunque. Anche in questo caso l’Europa non conta niente, dipendendo sempre più dagli altri mercati.

Secondo, di carattere strutturale: gli effetti della transizione energetica. Che Parigi non fosse un pasto gratis lo si è detto all’infinito, meraviglia che ora ce se ne renda conto. E, ancor più, che la questione climatica impatti primariamente sul piano sociale. Ne è controprova l’estendersi dell’odioso fenomeno della povertà energetica di milioni di famiglie, costrette a scegliere tra riscaldamento e luce.

Nel momento in cui si scrive i prezzi all’ingrosso del gas naturale in Europa hanno raggiunto la quota record di 70 €/MWh, circa 7 volte in più del settembre dello scorso anno. Nello stesso mese del 2019, pre-pandemia, quotavano 10-12 €/MWh. Il PUN, prezzo medio all’ingrosso dell’energia elettrica nazionale, è di 3,7 volte maggiore dei valori registrati nel settembre 2020. Lo stesso avviene in molti dei sistemi elettrici europei, dove ormai è significativa la quota di penetrazione delle fonti rinnovabili. Nella penisola iberica, ad esempio, le quotazioni sfiorano i 190 euro/MWh, in Germania i 160.

Le responsabilità di questo incremento sono diverse e imputabili a quelli che in gergo vengono definiti “fondamentali di mercato”. Tra essi, perlomeno in Italia, vi sono la domanda, il prezzo del gas, i volumi di fonti rinnovabili immessi sul mercato e i prezzi dei permessi di emissione, che rappresentano un fondamentale “artificiale” del mercato di natura politica, il cui andamento tende a riflettere pertanto anche la “severità” degli indirizzi europei in materia di clima ed energia.

Ipotizzare, come fa la Commissione, che i prezzi dell’energia, anche per effetto di maggiori livelli del carbon price, debbano aumentare ancora sensibilmente, per incentivare la transizione, dà conto di quanto poco a Bruxelles ci si renda conto delle conseguenze delle sue proposte. Ad iniziare appunto da quelle sociali.

Così respingendo l’arroganza del vice-presidente della Commissione di Bruxelles, Frans Timmermans, che ha dichiarato che “il timore di vedere i gilet gialli per strada non deve impedire ai politici europei di agire adesso. Di fronte all’esplosione dei prezzi di gas metano ed elettricità – di un’entità mai osservata dal Secondo Dopoguerra – tutti gli attori si sono trovati impreparati, potendosi invece parlare di ‘cronaca di una morte annunciata’. La gatta frettolosa, recita un detto popolare, fa i gattini ciechi. Così è stato con interventi del Governo che hanno riportato ai famigerati ‘prezzi politici’ di un tempo, con idee attinte da decisioni di altri paesi (specie in Spagna). A partire da chi sostiene che una maggior crescita delle rinnovabili, ancora una volta Timmermans, avrebbe evitato l’aumento della bolletta elettrica perché avrebbe ridotto il ruolo del gas metano. Trascurando il fatto che le fonti rinnovabili, intermittenti e non programmabili, hanno la priorità nella vendita a mercato, con il gas metano che copre il fabbisogno residuo, determinando quindi il prezzo marginale dell’elettricità.

Quel che perdurerà sino a quando la tecnologia degli accumuli non sopperirà ai limiti delle rinnovabili. Quindi molto in là nel tempo.