In vista dell'incontro del G7, l'attenzione degli osservatori si è concentrata in particolare su ciò che il vertice dei leader mondiali avrebbe deciso sul carbone, il principale nemico delle politiche climatiche sia a livello locale che globale. Il Giappone annuncerà un cambio di politica sulle sue centrali? Il comunicato finale stabilirà una data di scadenza per la generazione elettrica da carbone? Si troverà un accordo per porre fine ai finanziamenti che ancora sostengono l’industria carbonifera? Le diverse domande che precedevano il meeting sono rimaste in parte senza risposta e in parte vi sono stati esiti contrastanti. Gli esempi più emblematici riguardano i due osservati speciali: Canada e Giappone.

Ad esempio, è stato raggiunto un accordo sulla fine del finanziamento internazionale all’industria carbonifera nel 2021, ma il Giappone non ha ceduto del tutto e non si è arrivati a fissare una data per una coal-exit a livello globale. Mentre il Canada ha annunciato che le nuove miniere di carbone termico non sono nell'interesse nazionale, ponendo un grosso ostacolo alla proposta di espansione della miniera Vista.

Il Primo Ministro canadese Justin Trudeau, inoltre, ha fatto intendere che le miniere di carbone termico difficilmente saranno approvate. Al contrario, ha segnalato che è improbabile che nuove miniere di carbone termico ottengano il via libera sia approvata l'espansione di quelle esistenti, dal momento che secondo il nuovo indirizzo del governo tali progetti "possono causare effetti ambientali inaccettabili" e non sono compatibili con gli impegni nazionali o internazionali sottoscritti dal Canada per affrontare il cambiamento climatico. La nuova politica permette al Ministro dell'Ambiente e del Cambiamento Climatico di impedire lo sfruttamento di nuove miniere di carbone termico o l'espansione di quelle esistenti dichiarando che non rientrono nell'interesse pubblico. Una politica di dismissione progressiva del carbone, è già riscontrabile nel 2018, quando Ottawa ha introdotto regolamenti per ridurre gradualmente la generazione elettrica a carbone in tutto il Canada entro il 2030. Tuttavia, questo nuovo indirizzo energetico ostacolerebbe i piani dell'azienda privata Coalspur che prevede di espandere una miniera di carbone termico nella provincia occidentale di Alberta. Per dare contezza del ruolo del carbone nel paese, si pensi che nel 2019 il Canada ha prodotto 57 milioni di tonnellate di carbone, pari all'1% del totale globale. Di questo output carbonifero, il 47% era costituito da carbone termico e il 53% da carbone metallurgico.

Sul fronte asiatico, è il Giappone che sembra mettere i bastoni tra le ruote all’intenzione degli altri membri del G7, nonostante il comunicato finale del summit dichiari di "impegnarsi ora a porre fine a un nuovo sostegno governativo diretto per la produzione di energia da carbone termico internazionale senza limiti entro la fine del 2021". Non è ancora chiaro se il Giappone cambierà la sua politica per rispettare l’accordo appena sottoscritto. Per ora il commento del governo è lasciato ad un laconico "qualcosa dovrebbe essere annunciato entro la fine dell'anno".

Quel che è certo è che i leader del G7 non sono riusciti a fissare una data di scadenza (doveva essere il 2030) per la produzione interna di energia da carbone. L’opposizione del Giappone ha portato a un compromesso retorico che prevede "un sistema di energia elettrica fortemente decarbonizzato nel 2030" e un "accelerare la transizione sfruttando il crollo di capacità di generazione elettrica da carbone". Mentre però il governo guidato Suga Yoshihide ribadisce una politica timida, Kimiko Hirata, la fondatrice di Kiko Network, ha ricevuto il Goldman Prize per i suoi 20 anni di difesa dell'energia pulita e per la fine del sostegno del Giappone al carbone in patria e all'estero. Hirata è stata la voce principale in Giappone contro i piani di costruzione di 50 nuove unità a carbone proposte dopo il disastro nucleare di Fukushima del 2011. Negli ultimi anni 13 unità a carbone con una capacità complessiva di 7030 megawatt (MW) sono state cancellate, in gran parte grazie alla campagna lanciata proprio da Kiko Network.

Sul fronte occidentale, il dibattito sul carbone non è unilaterale, specialmente negli Stati Uniti dove la discussione si infiamma ogni qualvolta si accenna ad un’accelerazione della transizione. Joe Manchin, senatore conservatore del West Virginia e presidente della commissione del Senato per l'energia e le risorse naturali, ha espresso dubbi sull'obiettivo dell'amministrazione Biden di porre fine alla produzione di carbone entro il 2035. "Sono preoccupato che il calendario che stanno fissando sia molto aggressivo", ha detto alla conferenza annuale dell'Edison Electric Institute. "Non si può eliminare il modo in cui ci si arriva, (ma) si può innovare il modo in cui ci si arriva". Manchin, che proviene da uno dei principali produttori di carbone degli USA, è stato a lungo un promotore della cattura e dello stoccaggio del carbonio per affrontare il riscaldamento globale, una strategia che ha visto l’assenso dell’industria del carbone.

Nel frattempo, una nuova analisi di CREA che confronta lo stato dei progetti a carbone sostenuti dalla Cina tra il 2017 e il 2021, mette in luce come un'ondata di cancellazioni abbia colpito gli investimenti carboniferi sostenuti da Pechino – con una capacità cancellata o accantonanta che è di  4,5 volte superiore alla nuova capacità in costruzione o realizzata. Un rapporto dell'International Institute of Green Finance, con sede a Pechino, stima inoltre che dei 52 nuovi progetti previsti, otto sono stati cancellati e altri 25 accantonati. E non è escluso che il trend possa essere anche peggiore, dal momento che solo uno dei progetti è stato commissionato finora.

Anche in Europa la guerra al carbone non accenna a rallentare. La Commissione europea sta cercando di unirsi a un'azione legale contro la continuazione del funzionamento della miniera Turow vicino al confine con la Repubblica Ceca, mentre nel Nuovo Galles del Sud, un'agenzia governativa ha raccomandato il rifiuto della proposta della compagnia Hume Coal di estrarre 50 milioni di tonnellate di carbone in 19 anni, perché avrebbe significativi impatti sociali e ambientali negativi.

Nel resto del mondo la situazione non è più rosea.

In India, un nuovo rapporto documenta come lo stato di Maharashtra potrebbe risparmiare miliardi di dollari con la chiusura ordinata delle centrali a carbone più inquinanti e costose e sostituendole con progetti di energie rinnovabili. In Bangladesh sembra improbabile che la nuova centrale di fattura cinese Banskhali S. Alam da 1320 MW possa ricevere il via libera dal punto di vista ambientale. Una valutazione della VIA stima che l'inquinamento prodotto dal nuovo impianto causerebbe circa 30.000 morti premature nei suoi 30 anni di vita. Nel Laos, centinaia di abitanti di due villaggi stanno resistendo alle pressioni per essere trasferiti per far posto all'espansione dell'impianto di lignite di Hongsa da 1878 MW. Intanto al largo della costa della Florida sono state versate nell'oceano oltre 9.000 tonnellate di cenere di carbone da una chiatta che è rimasta bloccata su una spiaggia dello stato da marzo. La chiatta stava trasportando 12.000 tonnellate (10.886 tonnellate) di rifiuti di cenere di carbone da una centrale elettrica a carbone di Porto Rico a un terminale in Florida da dove è stato proposto di trasportarla a una discarica in Georgia.

L’articolo è stato ripreso e tradotto dall’editoriale del 373° numero di CoalWire, consultabile a questo link