Come sia nata la bufala del legame tra 5G e Covid è difficile da capire, perché come tutte le bufale anch’essa affonda le radici nella mancanza di conoscenze scientifiche specifiche. Quel che è certo è che questo nesso causale non esiste e che la fake news è durata il tempo di una veloce verifica dei dati scientifici che hanno escluso qualunque tipo di legame fra la diffusione del virus e l’implementazione del 5G. Tuttavia, va constatato un altro tipo di dato: ossia che il 5G si sta dimostrando uno dei bersagli preferiti da parte di negazionisti e complottisti, con una lista di bufale che via via si fa sempre più lunga. Un paradosso per un paese come l’Italia che si colloca agli ultimi posti della classifica europea sul tasso di digitalizzazione e che sconta un grave gap in termini di digital divide. Piaccia o non piaccia, per curare questo ritardo bisogna passare alla quinta generazione del sistema di telefonia cellulare, e sta a noi che rappresentiamo il mondo scientifico e accademico farci carico delle incomprensioni, dei fraintendimenti, delle preoccupazioni di chi non conosce, per combattere la diffusione di notizie false che creano solo allarmismo e ulteriore disinformazione. Specialmente in un paese come l’Italia dove si parla tanto di futuro, ma dove c’è poca cognizione di cosa significhino realmente “innovazione tecnologica”, “rivoluzione digitale” o “essere connessi”.
Il Covid e il 5G
Partiamo dalla fine. La bufala che attesta un legame tra Covid e 5G si basa sull’ipotesi che l’esposizione ai campi elettromagnetici generati dalla nuova tecnologia provocherebbe una riduzione delle difese immunitarie. Si tratta di un’affermazione non vera per almeno due motivi. Innanzitutto, le frequenze del 5G sono già note e ampiamente utilizzate in altri sistemi di telecomunicazioni: molti dei dispositivi che abbiamo nelle nostre case, come ad esempio il Wi-Fi ma anche i cellulari di generazione precedente, usano frequenze molto simili a quelle del 5G. In secondo luogo, esistono dei limiti di esposizione che tutelano dagli effetti sanitari conseguenti all’esposizione ai campi elettromagnetici, limiti che in Italia sono peraltro molto cautelativi.
C’è poi chi ha tentato di diffondere la bufala evidenziando come a Wuhan, la città cinese dove è scoppiata l’epidemia, ci sia stata la prima massiccia diffusione del 5G, e che in Italia i primi focolai siano scoppiati nel Nord Italia, dove maggiore era ed è la presenza di sorgenti 5G. Ma anche qui si commette un errore: si confonde la contemporaneità di eventi con l’esistenza di una relazione fra di essi. E nel mondo scientifico vige la regola secondo cui “correlazione non significa esistenza di un rapporto causa-effetto”, che in questo caso deve essere ribadita con forza. La maggiore diffusione del Covid che si è avuta, fin dalla fase iniziale, nel Nord Italia, potrebbe essere dovuta alla maggiore densità abitativa di quelle regioni, o alla maggiore significatività di quell’area del Paese quale crocevia internazionale. E che in quella zona, per le stesse ragioni, ci sia un maggior numero di stazioni 5G non lega in alcun modo i due fenomeni. Si tratta, banalmente, di una coincidenza. Per averne prova non bisogna scomodare la scienza: basta osservare come la diffusione del Covid sia stata e sia ancora, purtroppo, ampia anche in zone del mondo in cui lo sviluppo del 5G non è nemmeno allo stadio embrionale.
Campi elettromagnetici e salute
Il 5G, come tutti i sistemi di telecomunicazioni, funziona mediante onde elettromagnetiche che si propagano tra una stazione radio base (il cosiddetto “ripetitore cellulare”) e il terminale mobile (il cellulare). La banda di frequenze delle onde elettromagnetiche usata dal 5G è del tutto analoga, come già detto, a quella impiegata dagli altri sistemi cellulari e dal sistema Wi-Fi. Gli effetti dei campi elettromagnetici sull’uomo sono studiati da diverse decine di anni, e i risultati della ricerca scientifica hanno evidenziato che l’unico effetto accertato delle radiazioni ad alta frequenza tipiche dei sistemi cellulari è il riscaldamento dei tessuti esposti. Ciò vale anche per l’ulteriore banda impiegata dal 5G, centrata alla frequenza di 27 GHz, che, pur essendo di nuova applicazione per il sistema di telefonia mobile, è comunque già stata oggetto di studio dai ricercatori di tutto il mondo, con risultati coerenti con quelli ottenuti per le altre frequenze, più diffuse.
Sulla base degli studi scientifici, l’ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection), organismo riconosciuto ufficialmente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Organizzazione Internazionale per il Lavoro, già nel 1998 ha suggerito all’Unione Europea, attraverso delle specifiche linee guida i cui contenuti sono stati confermati dalla revisione effettuata a marzo 2020, i limiti di esposizione ritenuti ampiamente cautelativi contro gli effetti biologici accertati dei campi elettromagnetici. A fine 2020, dei 27 Stati Membri dell’Unione Europea, 22 applicavano i limiti suggeriti dall’ICNIRP, mentre Belgio, Bulgaria, Croazia, Grecia e Italia applicano restrizioni aggiuntive con valori di riferimento per l’esposizione più bassi. In particolare, l’Italia, fin dal 1998 ha posto il limite a 6 V/m, risultando, ad oggi, il Paese con i limiti di esposizione più bassi insieme alla Bulgaria.
La Scienza, peraltro, smonta anche le fake news che sostengono l’esistenza di un legame certo tra il 5G e il cancro. Le radiazioni elettromagnetiche generate dai sistemi cellulari (e quindi anche dal 5G) rientrano nell’intervallo di frequenze associato alle radiazioni non ionizzanti. Ciò vuol dire che l’energia dell’onda elettromagnetica non è tale da riuscire a ionizzare un atomo, né tanto meno una molecola del corpo umano, e non è, quindi, in grado di provocare una degenerazione del DNA delle cellule come avviene, invece, quando ci si espone alle radiazioni ionizzanti (quelle usate, ad esempio, nelle radiografie). E se è vero che, in termini di rischio, nel 2011 l’OMS ha inserito i campi elettromagnetici nella categoria 2B delle esposizioni possibilmente cancerogene, per un utile confronto vale la pena evidenziare che nella stessa classe di rischio ricadono l’estratto di aloe vera o l’acido caffeico. In categoria di rischio più alta, quella 2A delle esposizioni probabilmente cancerogene, ci sono la carne rossa e le bevande calde oltre i 65 °C. Nella categoria 1, quella nella quale rientrano le esposizioni per le quali il legame con l’insorgenza tumorale è accertato, troviamo il benzene, il fumo di sigaretta, l’alcol, il radon e i raggi ultravioletti. Paradossalmente, ma sarebbe il caso di dire incredibilmente, sembra esserci, nella popolazione, una percezione del rischio più alta laddove il rischio è minore, e più bassa dove invece il rischio è ben più alto.
Danni all’ambiente
Quale impatto avrà il 5G sull’ambiente? Sono in molti a pensare che il 5G porterà vantaggi per l’ambiente. Infatti, la maggiore disponibilità di banda e la migliore qualità del sistema di telecomunicazione daranno vita a servizi che potranno ridurre gli spostamenti: il 5G favorirà, ad esempio, il ricorso al remote work e alla telemedicina, e il minore impiego di mezzi di trasporto costituisce un indubbio vantaggio in termini di sostenibilità ambientale del nuovo sistema e al contributo che esso darà alla tutela dell’ambiente. Vi è, però, chi sostiene che l’installazione delle antenne del 5G richiederà il taglio di alberi per evitare che il fogliame incida negativamente sulla propagazione del segnale. Anche questo non corrisponde al vero. Gli effetti della vegetazione sulla propagazione alle frequenze del 5G di 800 MHz e di 3,7 GHz (quelle che saranno prioritariamente usate in ambito cittadino) sono analoghi a quelli che si hanno sugli altri sistemi cellulari ed essi sono ampiamente tenuti in conto durante la progettazione. I parametri su cui operare sono molteplici: ad esempio, si tende a posizionare le stazioni radio base in aree in cui la densità di alberi sia minore, oppure ai confini dell’area verde; si può, inoltre, porre le antenne su pali più alti delle cime degli alberi; infine, si possono configurare i sistemi di antenna in modo opportuno, indirizzando il fascio verso direzioni lungo le quali sia minore la presenza di vegetazione, cercando, cioè, di sfruttare dei corridoi che siano liberi da ostacoli. Nel complesso, si tiene in conto la presenza di alberi con gli stessi criteri con cui si deve progettare un sistema in una zona in cui siano presenti edifici.
La frequenza di 27 GHz, di nuova introduzione, che aggiunge alla maggiore attenuazione con la distanza una maggiore sensibilità all’attenuazione provocata dalla vegetazione, sarà destinata principalmente alla copertura di ambienti di bassa estensione e posizionando le antenne in luoghi e ad altezze tali da non avere ostacoli lungo il tragitto che il segnale percorre verso l’utente. La naturale collocazione delle antenne per il 27 GHz è, infatti, ad altezze minori e in ambienti per lo più aperti come piazze e strade.
Aumento delle antenne
Con riferimento, infine, al previsto aumento del numero delle antenne dedicate al 5G, è plausibile che ciò avvenga, per motivi squisitamente tecnici. Infatti, per operare secondo gli standard di qualità previsti, soprattutto in termini di velocità di trasmissione, ampiezza di banda, di numero di utenti serviti e quantità di dispositivi connessi, è necessario creare una copertura più capillare del territorio, e ciò può avvenire solo con l’aumento del numero di sorgenti: le antenne, appunto. Quanto significativo sarà l’incremento dipenderà dai piani industriali degli operatori telefonici e dalle specifiche condizioni di propagazione, ovvero delle caratteristiche elettromagnetiche delle aree che dovranno essere coperte dal servizio.