Se prendere coscienza dei problemi è certamente un primo passo per arrivare a risolverli, mettere mano alla normativa e trasformare le possibili soluzioni in provvedimenti legislativi costituisce il vero fattore di successo. Nel caso della “riqualificazione energetica” degli edifici, questo assioma è facilmente dimostrabile, perlomeno in Italia. Nonostante, infatti, se ne parlasse da tempo, il concetto è divenuto tangibile quando, nella Finanziaria 2007, venne introdotta la possibilità di ottenere detrazioni fiscali per migliorare le performance energetiche degli edifici. La stessa cosa vale per la “povertà energetica”: apparentemente un argomento nuovo, ma in realtà noto da almeno 30 anni nell’ambito della ricerca e purtroppo, ancora di più da chi lo subisce sulla propria pelle e sul proprio portafoglio.

Nel 2018 l’Unione Europea ha introdotto la “energy poverty” nei propri provvedimenti e da lì in poi il concetto di povertà energetica è stato inserito in tutta la normativa di riferimento, incluso l’European Green Deal, il Climate&Energy Pack, la 2050 long-term strategy, e i provvedimenti previsti dalla Direttiva 844/2020 sulla prestazione energetica nell'edilizia e l'efficienza energetica.

Ma andiamo per ordine. L’espressione fuel poverty o energy poverty è stata definita attorno al 1991 nel Regno Unito, da Brenda Boardman, come “la condizione nella quale una famiglia spende più del 10% del proprio reddito per la bolletta energetica”. Questa prima definizione chiarisce che si tratta di una povertà relativa, riferita al reddito familiare e non al singolo individuo, e all’energia pagata. Non includendo, quindi, i paesi del terzo mondo o i contesti territoriali dove non è possibile o è difficoltoso l’approvvigionamento energetico.

La povertà energetica, in sostanza, sarebbe una malattia dei paesi occidentali - Europa, Stati Uniti, Canada Giappone, Europa dell’Est – e rientrerebbe tra le povertà relative, come la povertà educativa (chi non ha il reddito per comprare libri o materiale scolastico), la povertà abitativa (chi non può permettersi la casa) o sanitaria (chi non può permettersi le cure). A differenza della povertà assoluta, che esprime una condizione di indigenza afferente a una parte limitata della popolazione (nel 2020, in Italia, è pari a circa il 6% delle famiglie), le povertà relative toccano una fascia più ampia di famiglie. Inoltre, risulta essere una condizione subdola perché è ancora ritenuto “normale” usare la borsa dell’acqua calda se si ha freddo, accendere l’impianto termico solo di sera per risparmiare, o sopportare il caldo nelle stagioni torride.

La definizione della Boardman, tuttavia, non tiene conto di altre condizioni e aspetti econometrici, motivo per cui sono state introdotte altre definizioni, in particolare l’indice LIHC – (Low Income High Cost), indice econometrico determinato a partire della spesa energetica e dal reddito delle famiglie - che misura nuclei familiari con quota spesa per elettricità e riscaldamento troppo elevate e quelli in condizioni di grave deprivazione e con spesa per riscaldamento pari a zero.

La povertà energetica è determinata da tre fattori: (a) il reddito, che dipende da variabili macroeconomiche, dalla condizione economica dei singoli e del paese, dal contesto sociale, lavorativo, etc.; (b) il prezzo dell’energia e delle bollette energetiche, a sua volta dipendente dal mercato dell’energia e delle materie prime, dal regime tariffario ARERA, dall’inflazione etc. e (c) le caratteristiche dell’edificio, dato che la maggior parte della spesa energetica è legata ai costi per la climatizzazione invernale, mentre la spesa elettrica, comunque importante, è legata a illuminazione ed elettrodomestici. Le caratteristiche tecnico-costruttive dell’edificio ne determinano la prestazione energetica e, quindi, ai “poor building” (edifici inefficienti) corrisponde una maggiore bolletta per il riscaldamento, o un minore numero di ore di accensione dell’impianto con la conseguenza che alla condizione di povertà energetica si associano condizioni e patologie sanitarie di varia natura: artrosi, riniti, febbre, etc. in particolare per soggetti deboli, immunodepressi, anziani, etc. Si tratta di un dato importante che consente anche di studiare la le patologie legate alla condizione povertà energetica dal punto di vista epidemiologico.

L’attuale pandemia ha accentuato il problema: a causa del lockdown, infatti, sono aumentate le ore di permanenza all’interno delle abitazioni e quindi i costi energetici, così come il numero di persone che sono rimaste al freddo per ridurre i costi delle bollette.

Alla povertà energetica invernale nei paesi mediterranei occorre aggiungere anche la cooling poverty o povertà per il raffrescamento: a causa dell’aumento della temperatura, delle estati calde e delle ondate di calore il surriscaldamento degli appartamenti può costituire un problema per chi non ha i soldi per far funzionare l’impianto di raffrescamento o non li ha neanche per installarlo, correndo il rischio di dormire in camere con più di 28°C durante la notte: condizione che può comportare danni sul sistema cardiocircolatorio e sul metabolismo, in particolare per i soggetti diabetici.

Per misurare l’incidenza della povertà energetica ci si basa su valutazioni econometriche: l’Unione Europea attraverso l’osservatorio europeo stima che circa 24 milioni di persone (6,9%) si trovino in condizione di povertà energetica, mentre in Italia, il secondo Rapporto OIPE, quantifica in  circa l’ 8,8%,  le famiglie che  si trovano in questa condizione. Il valore di LIHC sale poi al 11,7 % per le famiglie composte da soli anziani e al 12,7% in quelle più numerose.

La Raccomandazione UE 2020/1563 sulla povertà energetica definisce quattro gruppi di indicatori per la valutazione della povertà energetica in base: (a) alla spesa di energia rispetto al reddito; (b) all’autovalutazione delle famiglie mediante interviste o questionari; (c) con indicatori diretti, per esempio della temperatura ambiente; (d) con indicatori indiretti come il numero di bollette non pagate o la sospensione di forniture dell’energia.

Cosa fare per affrontare questa criticità? Le strategie per risolvere il problema interessano diversi settori, le politiche abitative (inclusa l’edilizia residenziale) e il regime tariffario. A tal proposito ARERA già prevede da tempo i bonus gas o altre soluzioni per ridurre o annullare i costi energetici delle famiglie a basso reddito, o intervenendo sulla riqualificazione del patrimonio edilizio.

Il primo passo è stato la presa di coscienza del problema: di povertà energetica si parla nel PNIEC e, grazie al recepimento della Direttiva 844/2018, il concetto è presente nella legislazione italiana. In particolare, il Dlgs 192/2005 e s.m.i. all’art.3-bis punto 2 prevede che siano attivate politiche per alleviare la povertà energetica; il Dlgs 102/2014 e s.m.i. all’art.5 statuisce il miglioramento della prestazione energetica degli immobili della pubblica amministrazione con l’obiettivo di ridurre la povertà energetica, mentre all’art.7 che gli obiettivi obbligatori di efficienza energetica tengano conto della povertà energetica.

Gli immobili della pubblica amministrazione, in particolare l’Edilizia Residenziale Pubblica, rappresentano circa il 4% dell’intero patrimonio edilizio italiano e già si rivolgono a famiglie in condizione di disagio o difficoltà economica.

Dal punto di vista tecnico, poi, le soluzioni per la riqualificazione energetica sono diverse, note e consolidate: dai sistemi di termoregolazione, come le valvole termostatiche, alla sostituzione del generatore di calore o ristrutturazione degli impianti termici con sistemi efficienti, caldaie a condensazione o pompe di calore, fino alla sostituzione degli infissi e/o l’isolamento termico. Al di là dell’esecuzione dei lavori, il settore è attrezzato da tempo in tal senso, anche grazie alle detrazioni fiscali come l’ecobonus.

Inoltre, per l’Edilizia Residenziale Pubblica, la Cassa Depositi e Prestiti ha attivato i Bonus Edilizi per sostenere la riqualificazione energetica mediante la Cessione del Credito di Imposta o “Anticipo di liquidità”  per le imprese e “Prestito Edilizio” per gli enti pubblici.  Lo strumento è nuovo e promette di essere una opportunità per la pubblica amministrazione.

Quel che serve, però, sono i finanziamenti volti a risolvere il problema: servono detrazioni o incentivi fiscali mirati, il conto termico nel caso di immobili che ospitano famiglie in condizione di povertà energetica, oppure altre tipologie di finanziamento che potranno (o potrebbero) essere previste nel Recovery Plan.

Come si dice … ogni lunga marcia comincia con la decisione di fare il primo passo.

*L’autore è architetto, consulente in materia di efficienza energetica in edilizia, povertà energetica, heritage building, comfort indoor e outdoor. Collabora con ART-ER Emilia-Romagna per il SACE. Docente presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna e Abilitato ASN come professore associato area 09/C2.