Il fenomeno del riscaldamento globale è ormai inequivocabile, come confermato dagli ultimi rapporti dell’IPCC (IPCC, 2014; 2018), con cambiamenti in atto che non hanno precedenti su una scala multi-decennale, centenaria o addirittura ultra-millenaria. La temperatura media globale osservata è oggi di circa 1,1°C superiore rispetto ai livelli dell’era preindustriale e questo sta già determinando importanti effetti, tra cui (solo per citarne alcuni) l’aumento di fenomeni meteorologici estremi (ondate di calore, siccità, forti piogge), l’innalzamento del livello del mare, la diminuzione del ghiaccio Artico, l’incremento di incendi boschivi, la perdita di biodiversità, il calo di produttività delle coltivazioni. La regione Mediterranea è considerata uno degli “hot spot” del cambiamento climatico, con un riscaldamento che supera del 20% l’incremento medio globale e una riduzione delle precipitazioni in contrasto con l'aumento generale del ciclo idrologico nelle zone temperate comprese tra i 30° N e 46° N di latitudine (Lionello e Scarascia, 2018).

In Italia, l’analisi dei dati climatici misurati dalle principali reti di osservazione nazionali e regionali ha permesso di osservare un incremento di oltre 1,1°C della temperatura media annua nel periodo 1981-2010 rispetto al trentennio 1971-2000. Gli ultimi anni sono stati comunque caratterizzati da incrementi di temperatura piuttosto elevati. Il 2019 è stato, ad esempio, il terzo anno più caldo dall’inizio delle osservazioni (+1,56°C rispetto al trentennio 1961-1990), dopo i record già registrati nel 2018 e nel 2015. Inoltre, otto dei dieci anni più caldi della serie storica sono stati registrati dal 2011 in poi, con anomalie comprese tra +1,26°C e +1,71°C. Guardando al futuro, l’insieme di diversi modelli climatici ad alta risoluzione valuta un aumento della temperatura fino a 2°C nel periodo 2021-2050 (rispetto al ventennio 1981-2010) e si arriva a prevedere un aumento di 5°C a fine secolo (considerando uno scenario di elevate emissione e nessuna politica di mitigazione), con effetti considerevoli soprattutto per le zone alpine e costiere.

L’andamento storico delle precipitazioni cumulate dalla metà del secolo scorso mostra, invece, un’elevata variabilità su scala nazionale con una diminuzione più marcata rilevata a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90. L’ampia dinamica dei sistemi di circolazione atmosferica e la complessità orografica del territorio nazionale caratterizzano una forte variabilità delle precipitazioni sul territorio con valori più elevati (superiori a 2.000 mm) lungo le zone alpine e prealpine, mentre le precipitazioni medie annue più basse (comprese tra 400 e 600 mm) sono riscontrate principalmente per la Sicilia meridionale, la Puglia, la Sardegna meridionale e, localmente, in Valle d’Aosta e in Alto Adige. Per il futuro si attendono mediamente meno piogge ma più intense, con un aumento del rischio siccità al centro-sud e un generale aumento su scala nazionale della massima precipitazione giornaliera.

Anche sul fronte delle temperature ci si aspettano giorni più caldi e più secchi, con un aumento consistente di giorni con temperatura minima superiore ai 20°C in estate. Tale andamento è confermato anche dagli indici che considerano la variazione del numero delle notti calde (con un aumento di circa 14 giorni in 10 anni) e delle giornate calde (con un aumento di circa 21 giorni in 10 anni).

I cambiamenti climatici stanno interessando in modo crescente anche l’ambiente marino (sia costiero che mare aperto) determinando un aumento delle temperature superficiali e del livello del mare, dell’acidificazione delle acque marine e dell’erosione costiera.

I cambiamenti fino a qui descritti possono essere limitati, limitando i rischi connessi, a seconda di quanto si riuscirà a fare per limitare il riscaldamento globale. Come afferma l’IPCC nel rapporto speciale del 2018, contenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C anziché al di sotto di 2°C può consentire di ridurre in maniera significativa alcuni rischi, permettendo alle persone e agli ecosistemi di avere maggiori possibilità di adattamento alle mutate condizioni climatiche.

I modelli climatici regionali

Grazie al programma mondiale CORDEX, che ha lo scopo di produrre proiezioni tramite modelli climatici regionali in diverse aree del globo, e al suo omologo europeo EURO-CORDEX, è possibile oggi produrre scenari climatici con diversi modelli indipendenti; tali analisi ci permettono, in particolare, di quantificare l’accordo tra i diversi modelli. Inoltre IL CMCC ha pubblicato, a partire dal 2015, delle proiezioni climatiche ad alta risoluzione sull’Italia, che hanno mostrato una soddisfacente capacità di rappresentare il clima attuale, sia in termini di valori medi che estremi.

Andamento temperatura media in Emilia-Romagna (rispetto ai diversi scenari IPCC)

Fonte: dati EURO-CORDEX elaborati da Fondazione CMCC

Le proiezioni su scala regionale sono uno strumento utile per affrontare un ulteriore aspetto cruciale ovvero la necessità di gestirne gli effetti su scala locale già evidenti del cambiamento climatico (adattamento).

Per poter definire delle strategie di adattamento a scala locale è necessario però considerare alcuni elementi essenziali, tra cui, appunto, conoscere le caratteristiche del mutamento a scala locale e le incertezze associate a tali conoscenze; stimare gli effetti che tali mutamenti inducono sulla popolazione, sugli insediamenti, sulle infrastrutture, sulla biodiversità e sull’agricoltura; e, non da ultimo, sensibilizzare la popolazione, le parti sociali e in generale tutti i portatori di interesse sull’importanza dell’adattamento, senza tacere né costi né benefici, in modo che sia possibile effettuare un monitoraggio degli effetti di tali politiche, rivederle ed aggiornarle.

Per quanto riguarda l’analisi e la previsione degli impatti, ci si riferisce agli “effetti sui sistemi naturali e umani di eventi meteorologici estremi e di cambiamenti climatici. Gli impatti si riferiscono generalmente a effetti sulle attività, mezzi di sussistenza, salute, ecosistemi, economie, società, culture, servizi e infrastrutture dovuti all'interazione di cambiamenti climatici o eventi climatici pericolosi che si verificano in un determinato periodo di tempo e alla vulnerabilità di una società o sistema esposto” (IPCC 2014).

I principali impatti del cambiamento climatico attesi sull’area mediterranea sono: la disponibilità ridotta d'acqua, aumento della siccità, grave perdita di biodiversità, aumento di incendi boschivi, turismo estivo ridotto, aumento degli effetti sulla salute delle ondate di calore, espansione degli habitat per i vettori di malattie, energia idroelettrica ridotta, perdita di superficie agricola utilizzabile. Studi di impatti anche più locali sulle regioni italiane, confermano tali scenari. Aldilà delle previsioni, già oggi osserviamo nelle nostre regioni quelli che sono gli impatti dei cambiamenti climatici; la conoscenza di tali scenari, costituisce quindi un ulteriore passo verso la consapevolezza dei cittadini; con la speranza che questa possa tradursi in politiche più lungimiranti.