Il mercato dei «Green Bond» ha ripreso a correre dopo un rallentamento dovuto alla diffusione del Covid. A emettere emissioni verdi sono singole aziende, municipalità e recentemente si sono uniti anche gli Stati. Ai primi di marzo anche il nostro paese ha collocato, con successo, il suo primo Btp Green. Ne abbiamo parlato con il Dott. Davide Iacovoni, responsabile della direzione del Debito Pubblico, presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Il 3 marzo il Tesoro ha collocato sul mercato il suo primo Btp Green con scadenza 30 aprile 2045 fissandone in 8,5 miliardi di euro l’ammontare. Nel giro di pochissime ore, gli ordini hanno superato quota 80 miliardi di euro, quasi 10 volte l’importo emesso. Si aspettava questo successo?
C’era molta attesa. Tenga conto che la decisione di emettere titoli green risale alla Legge di Bilancio per il 2020; poi, nel corso di quell’anno, abbiamo costituito il Comitato Interministeriale per i titoli di Stato verdi previsto nella stessa Legge di Bilancio e questo ha contribuito ad alimentare le aspettative; da, ultimo le Linee Guida del Debito Pubblico 2021, dove un intero paragrafo è destinato alla nostra politica circa questi titoli. Inoltre, sapevamo della ricerca sul mercato di titoli green liquidi (ossia facilmente negoziabili sul mercato secondario) e con un minimo di rendimento: due caratteristiche tipiche che, in questa fase, caratterizzano i titoli di Stato lunghi emessi dall’Italia. Quindi le premesse per il buon esito dell’operazione c’erano tutte, ma i risultati per quantità e per qualità francamente sono andati oltre le aspettative.
Perché l’Italia proprio ora ha deciso di fare il suo ingresso nel mercato del debito sovrano collegato alla finanza sostenibile? Quali spese verranno finanziate grazie a questo debito? Parafrasando Draghi, possiamo definirlo debito “buono”?
È una scelta che si inserisce all’interno dell’adesione dell’Italia al Green Deal europeo annunciato dalla nuova Commissione Europea nel 2019. Proprio nella Legge di Bilancio per il 2020, approvata a fine 2019, l’Italia ha delineato la sua strategia sui temi dell’ambiente e della sostenibilità (il Green New Deal italiano) in piena coerenza con quella europea. Dopodiché i tempi realizzativi non sono stati brevi sia perché la messa in opera della governance che presiede all’emissione di questi titoli è oggettivamente complessa e articolata, sia perché a inizio marzo è scoppiata la crisi dovuta alla pandemia che ha necessariamente ridefinito l’ordine delle priorità nel breve periodo. Ma i lavori del progetto non si sono mai fermati e finalmente negli scorsi giorni abbiamo pubblicato il Framework ed eseguito la prima operazione di mercato.
Come descritto nel Framework, le spese del Bilancio dello Stato sono state raggruppate in 6 macro-categorie:
- spese per aumentare le quote di energia elettrica e termica prodotte da fonti rinnovabili;
- spese per i trasporti (al fine di aumentare la mobilità sostenibile di persone e merci);
- spese per aumentare l’efficienza energetica, ossia l’uso di energia a parità di output soprattutto nel settore edilizio;
- spese per la prevenzione ed il controllo dell’inquinamento nonché per lo sviluppo dell’economia circolare;
- spese per la protezione dell’ambiente e degli ecosistemi;
- spesa per la ricerca volta ad accelerare i processi di innovazione nelle 5 aree di cui sopra.
Si tratta sia di spese in conto capitale che spese correnti ma direi che sono tutte cruciali per garantirci un futuro ecologicamente sostenibile contribuendo alla mitigazione del cambiamento climatico e al suo adattamento, in linea con i goals dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e con gli obbiettivi ambientali della Tassonomia sulla Finanza Sostenibile dell’Unione Europea. In questa prospettiva non c’è dubbio che il debito contratto per coprire queste spese sia un debito “buono”.
La transizione ecologica, così come ci chiede anche l’Europa, implica la trasformazione in senso green delle infrastrutture energetiche e di trasporto e forti investimenti nel patrimonio edilizio e nel settore industriale, per favorirne l’ammodernamento e la sostenibilità. È in questo senso che si inseriscono le sinergie tra pubblico e privato?
Assolutamente sì. Se uno esamina le 6 categorie di spesa di cui sopra si rende conto che si sta intervenendo in tutti i settori nevralgici per garantire questa transizione: penso al risparmio energetico che si ottiene mediante ristrutturazioni edilizie, in cui lo Stato interviene consentendo rilevanti detrazioni fiscali, o al settore dei trasporti dove è in corso una riorganizzazione sistematica in tutto il paese volta a rendere la mobilità di merci e persone sempre meno fattore di generazione di gas serra. Gli incentivi fiscali e l’orientamento della spesa pubblica verso modalità di trasporto sostenibili, per rimanere a questi esempi, stanno spingendo il settore privato, dalle grandi alle medie e piccole imprese, a specializzarsi verso settori su cui si sta spostando la domanda anche per effetto di questi importanti interventi pubblici. Questo a sua volta sta anche riorientando numerose filiere produttive.
Il nostro Paese entra dunque di diritto nel novero degli Stati europei, dopo Germania, Francia e Paesi Bassi ma prima di Spagna, Regno Unito, Danimarca, Ucraina e Slovenia. Poi sarà il turno dei green bond dell’UE?
Si, la Commissione Europea ha già reso noto che per finanziare la componente dei fondi del pacchetto NGEU (Next Generation EU) a copertura delle spese nazionali con positivo impatto ambientale, si avvarrà di green bond. Si tratta di uno sviluppo importante in quanto questo vuol dire che tra pochi anni avremo sul mercato una mole considerevole di questi titoli, europei e nazionali, a tutto vantaggio del suo funzionamento: più il mercato sarà efficiente più saranno gli operatori che vorranno prendervi parte con possibili effetti positivi anche in termini di costo per gli emittenti di questi titoli.
Ma per noi come per gli altri il punto non credo sia tanto quello del costo, quanto quello di diversificare la base degli investitori e, soprattutto, fare emergere le spese ambientali fatte o previste nel proprio bilancio con un impegno al monitoraggio e alla loro rendicontazione che funzionerà come incentivo formidabile ad un’effettiva messa a terra e realizzazione di questo tipo di spese, a tutto beneficio della transizione ecologica.