La Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sin dall’inizio del suo mandato, ha fatto dell'European Green Deal una priorità strategica. La necessità e il valore di un’economia decarbonizzata sono poi cresciuti alla luce dell’emergenza COVID-19: gli investimenti previsti e i fondi di Next Generation EU sono senza precedenti e saranno dedicati a superare l'impatto della crisi su posti di lavoro, redditi e imprese in una logica di just-for-all transition.

Gli obiettivi di sviluppo verso un’economia decarbonizzata sempre più abbinano, agli obiettivi di sostenibilità climatica, una visione di competitività industriale europea in settori ad alto valore aggiunto che contempera anche obiettivi di sostenibilità economica e sociale.

Durante lo Stato dell’Unione del 17 settembre 2020, la Commissione Europea ha presentato il suo piano per ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030, superando de facto l’obiettivo del 40% fissato in precedenza. Una tale ambizione per il prossimo decennio punta a mettere l'UE su un percorso equilibrato per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e stimolare l’industria europea verso la leadership in nuovi settori ad alto contenuto tecnologico.

A fronte di questa “grand vision” le domande che ci si pongono sono, da un lato, se questi obiettivi siano effettivamente raggiungibili, dall’altro, come sia possibile preservare, se non migliorare, gli equilibri economici e sociali.

È utile ricordare che la strategia su energia e clima dell’Unione Europea si compone di un “2020 climate and energy package”, di un “2030 climate and energy framework” e di una “2050 long-term strategy”.

Gli obiettivi al 2020 prevedevano una riduzione del 20% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, il 20% del consumo finale lordo di energia proveniente da fonti rinnovabili (FER) e un miglioramento del 20% dell’efficienza energetica rispetto ai livelli del 1990. Ad oggi, l’UE è sostanzialmente in linea con il raggiungimento di tutti gli obiettivi al 2020, con una lieve eccezione per l’efficienza energetica, come si vedrà più avanti.

Secondo la stessa logica, gli obiettivi al 2030 (antecedenti all’approvazione del target del 55%) prevedevano una riduzione di almeno il 40% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, almeno il 32% del consumo finale lordo di energia proveniente da fonti rinnovabili e un miglioramento di almeno il 32,5% dell’efficienza energetica rispetto ai livelli del 1990.  La Figura seguente mostra lo stato dell’arte e le proiezioni al raggiungimento dei target al 2030.

Lo stato dell’arte e le proiezioni dei target europei al 2030: quota di rinnovabili (FER) sul consumo finale lordo di energia (%), emissioni di gas serra (%, 1990=100) e consumo finale di energia (Mtoe), 1990-2030E.

Fonte: elaborazione The European House – Ambrosetti su dati Eurostat, 2020.

N.B.: I trend tendenziali sono stati calcolati proiettando il CAGR (Compound Annual Growth Rate) di diversi intervalli temporali in base all'indicatore considerato: dal 2013 al 2018 nell'analisi delle rinnovabili, per tenere conto della maturità del mercato dei prodotti rinnovabili; dal 2005 al 2018 nell'analisi delle emissioni di gas serra, per considerare l'evoluzione industriale di ciascun Paese; dal 1990 al 2018 nell'analisi dell'efficienza energetica, per tenere conto dell'orizzonte temporale dell'obiettivo politico.

Risulta evidente come gli obiettivi al 2030 per la penetrazione delle FER e per le emissioni di gas serra fossero sostanzialmente raggiungibili. Tuttavia, risulta altrettanto evidente come l’UE sia attualmente lontana dal raggiungere l’obiettivo fissato per il miglioramento dell’efficienza energetica. In linea con gli impegni assunti dall'Unione per l'attuazione dell’accordo di Parigi, nel novembre 2018 la Commissione Europea ha poi definito la sua visione strategica a lungo termine per una società moderna, competitiva e neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Tuttavia, l'attuale obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra per il 2030 è stato concordato prima che l'obiettivo di neutralità climatica dell'UE al 2050 fosse adottato e si basa, dunque, su un percorso meno ambizioso e potenzialmente insufficiente a tale scopo, come mostra la Figura che segue. 

Stato dell’arte e proiezione delle emissioni di gas serra nello scenario attuale con target -40% al 2030 e con target -55% al 2030 (milioni di tonnellate di CO2 equivalente), 1990-2050E.

Fonte: elaborazione The European House – Ambrosetti su dati Eurostat e European Environment Agency, 2020

Questa incoerenza viene riconosciuta dalla stessa Commissione Europea che dichiara che i target (e le politiche conseguenti) porterebbero ad una riduzione delle emissioni al 2050 di circa il 60% rispetto ai livelli del 1990. Viceversa, una riduzione del 55% al 2030 (includendo le emissioni del settore LULUCF e il carbon capture), consentirebbe di anticipare meglio il cambiamento e orientare ulteriori decisioni di investimento nella direzione auspicata. Saranno pertanto necessarie ulteriori e sostanziali azioni per raggiungere tale obiettivo.

Questo porta ad una ulteriore considerazione: se da un lato, una accresciuta ambizione stimola investimenti in tecnologia e consente maggiore sicurezza nelle operazioni capital intensive a lunga vita utile (quali le infrastrutture di rete), dall’atro, induce anche delle valutazioni in termini di fattibilità e sostenibilità economica e temporale.

In termini di policy, il raggiungimento di un simile target richiederebbe un aggiornamento di tutte le tre direttive che attualmente regolano le emissioni di gas serra, ovvero la EU Emission Trading Directive (EU ETS), la Effort Sharing Regulation (ESR) e la Land Use, Land Use Change and Forestry (LULUCF) Regulation. Per essere effettivamente sostenibili ed attuabili, la ridefinizione di queste policy dovrebbe puntare ad integrare maggiormente tre aspetti fondamentali:

-         la competitività dei settori di utilizzo: gli stimoli e gli obblighi a decarbonizzare, specialmente nel settore industriale, dovrebbero essere bilanciati rispetto a meccanismi di mercato al fine di permettere il mantenimento di condizioni di competitività economica a livello globale. In tal senso, meccanismi ispirati al Carbon Contract for Difference a livello europeo, ed abbinati al sistema ETS, dovrebbero essere assunti come leve di riferimento;

-         la leadership industriale: gli interventi di supporto dovrebbero essere tesi a favorire l’adozione di tecnologie best of breed in modo da stimolare l’innovazione da parte delle industrie europee e disincentivare l’adozione di soluzioni ormai “commoditizzate” e di importazione;

-         l’Economia Circolare: le formulazioni delle politiche dovrebbero essere tali da favorire soluzioni con neutralità climatica lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti (e non solo il fine vita), privilegiando le tecnologie in grado di essere inserite all’interno di modelli circolari by design.

Inoltre, a livello nazionale, occorre agire sulle barriere di mercato per il definitivo decollo dei Power Purchase Agreement e sulla mancanza di incentivi e assetti regolatori adeguati che ostacolano l'ulteriore penetrazione di rinnovabili, attraverso l'elettrificazione e la diffusione di vettori innovativi quali l’idrogeno pulito e i biocarburanti avanzati. Persistono poi anche vincoli di carattere burocratico che ostacolano la realizzazione di progetti di grande respiro (on-shore e off-shore) oltre che l’attrazione di investimenti.

Rispetto all’efficienza energetica, che rappresenta una leva d'azione fondamentale, la più grande sfida riguarda la ristrutturazione degli edifici, considerando che il 75% del patrimonio edilizio europeo ha un basso rendimento energetico e che ogni anno solo l’1% circa di tale stock è oggetto di azioni di rinnovamento e riqualificazione. Con riferimento all’Italia, ad esempio, buone aspettative possono derivare dalle misure previste dal cosiddetto “bonus 110%”, il quale però, a causa della probabile insostenibilità economica da parte dello Stato, può indurre a delle distorsioni causate dalla ridotta finestra temporale di applicazione. L’incertezza rispetto alla durata impedisce infatti la realizzazione di iniziative immobiliari di ampio respiro. Inoltre, la possibile fretta, dettata dalla natura eccezionale e limitata dell’incentivo, potrà causare effetti distorsivi a scapito dell’effettiva qualità degli interventi finanziati.

In conclusione, al centro delle politiche energetiche e climatiche comunitarie, il Green Deal mira a rendere l'Europa neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, la Commissione europea ha posto le basi per un rinnovamento del target sulle emissioni di gas serra al 2030, alzandolo fino a raggiungere una riduzione del 55% rispetto ai livelli del 1990 (contro il 40% attuale), così da tracciare un percorso maggiormente equilibrato, credibile e realistico nel raggiungimento della neutralità climatica al 2050 e garantendo al tempo stesso una maggiore chiarezza e prevedibilità agli stakeholder.

Oltre a un rafforzato impegno da parte degli Stati Membri, la concreta fattibilità di un tale percorso passa attraverso una coerenza di questa visione con gli obiettivi di carattere economico, industriale e le logiche di circolarità capaci di fare dell’evoluzione green un volano per la competitività del sistema produttivo europeo e la sostenibilità sociale ed ambientale.

A monte è necessario un framework di governance e operativo efficace, funzionale a un confronto strutturale tra pubblico e privato, che integri coerentemente la dimensione comunitaria con quella nazionale e consenta alle aziende di investire efficacemente e con tempi rapidi e coerenti nelle direzioni indicate.