Le previsioni del PNIEC (Piano Nazionale Italiano Energia Clima) assumono un aumento della potenza fotovoltaica dai circa 21 GW del 2019 ai 52 GW fissati fra 10 anni. Il che significherebbe dover installare mediamente 3 GW l’anno di nuova potenza FV, rispettoai circa 740 MW del 2019: più o meno “quadruplicare” gli sforzi dell’anno scorso.
Se, come da dibattito in corso, l’obiettivo dovesse essere spostato, da 52 GW a 68 GW di fotovoltaico, per contrastare l’ulteriore avanzata del surriscaldamento atmosferico e allinearsi alla prospettata revisione del target europeo (dal 40 al 55%), l’incremento salirebbe ad oltre sei volte.
Se guardiamo a quest’anno, però, nei primi sei mesi le nuove installazioni FV risultano aumentate del 12% rispetto allo stesso periodo del 2019 (259 MW da gennaio a giugno, elaborazione Anie su dati Terna) e su base annua si prevedono complessivamente nuove realizzazioni pari a circa 0,8 GW (dato variabile, in funzione dei riflessi derivanti da emergenza “pandemia Covid 19”).
La pubblicazione del nuovo Decreto FER 1 del 14 luglio 2019, con la previsione di procedure e tempistiche dei registri e della partecipazione alle gare e l’individuazione delle potenze disponibili, ha rimesso in moto la macchina delle “nuove realizzazioni”, dopo la fase di stallo iniziata dal 2012. Si sono così riaccesi i riflettori sui temi storici di “criticità e confronto”, quali i problemi sull’uso del suolo e le richieste di semplificazione dei processi autorizzativi.
L’asettica lettura dei numeri rileva che nel settore del fotovoltaico, in base allo schema d’aste introdotto nel 2019, sono stati sin qui assegnati solo 25 MW dei 1.000 disponibili per gli impianti di grandi dimensioni.
La coincidenza della Giornata mondiale del suolo, ricorrenza fissata dalla FAO al 5 Dicembre, offre lo spunto per alcune riflessioni sull’importanza, per il settore agricolo e non solo, di questa risorsa, che, troppo spesso, si dimentica essere assolutamente “non rinnovabile e finita” (nel senso di “limitata”), quindi destinata a non poter essere “riproducibile” in caso di consumo.
Senza alcuna pretesa di affrontare il dibattuto tema del rapporto tra fotovoltaico e consumo di suolo (lasciandolo, in tutta la sua complessità di poliedriche sfaccettature, a ben altri più qualificati e deputati consessi), si richiamano di seguito alcuni elementi di base, su cui potranno essere fondate le diverse riflessioni e la dialettica dei ragionamenti.
Un punto di partenza possono essere proprio i temi richiamati quest’anno dalla FAO per "ricordare l'importanza della diversità dei suoli per i sistemi agroalimentari". La concomitante presentazione del rapporto sullo "Stato delle conoscenze sulla biodiversità del suolo" introduce il tema di quest'anno: "Manteniamo il suolo vivo, proteggiamo la biodiversità del suolo" per sensibilizzare sull'importanza dei numerosi e differenti microrganismi presenti nel suolo, necessari per rendere gli indispensabili servizi ecosistemici. "I suoli sono indispensabili per la vita sulla Terra" quindi proteggerli è fondamentale - afferma la FAO - per garantire il futuro dei sistemi agroalimentari e l’equilibrio degli ecosistemi. Se è vero che si registra nel mondo una crescente consapevolezza del valore della biodiversità per la sicurezza alimentare e la nutrizione - rileva l'organizzazione dell'Onu -, in particolare della biodiversità in superficie di piante e animali, non si può dire altrettanto per la biodiversità che si trova sotto i nostri piedi, vale a dire la biodiversità del suolo. Per questo viene ribadito che "la Giornata 2020” è un'occasione per sottolineare che “la biodiversità del suolo può dare una soluzione naturale a molti dei problemi che l'umanità deve affrontare" ma "anche per mettere in luce le iniziative che mirano a preservare e proteggere questo bene".
Vanno aggiunti, per completezza, gli effetti indiretti sulla tenuta idrogeologica del territorio, amplificati da eventi meteorici sempre più estremi nella loro intensità, a cui contribuisce il surriscaldamento globale, come evidenziano, in termini purtroppo oggettivi, le numerose calamità abbattutesi sull’Italia nel 2020 (l’ultima proprio in questi giorni).
Per quanto riguarda i nostri suoli, occorre quindi “rivedere” alcuni luoghi comuni e, soprattutto, prendere atto per tempo di quelle che sono effettivamente le loro attuali condizioni e le aspettative del relativo trend evolutivo. A questo proposito, un recente studio (2018) realizzato per la FAO dal CREA Agricoltura e Ambiente, ha mappato la presenza di carbonio organico nell’intero suolo italiano, evidenziando che l’Italia rischierebbe di “non essere più un Paese fertile”: il 40% del suolo italiano risulta infatti essere carente di carbonio organico, elemento strettamente legato alla fertilità di un terreno.
La fotografia che emerge suggerisce più di un elemento di preoccupazione. In media i terreni italiani hanno una presenza di carbonio organico nell’ordine dell’1%: un valore piuttosto basso visto che un suolo definito fertile ha una percentuale superiore al 3%. Senza allarmismi “mediatici”, un rischio “desertificazione” appare comunque da tenere in seria ed attenta considerazione e monitoraggio (come prospettiva da evitare assolutamente).
Il carbonio organico, che costituisce circa il 60% della sostanza organica presente nei suoli ed è l’indicatore principale della sua fertilità, svolge una funzione importante per molte caratteristiche del suolo. La presenza di sostanza organica favorisce l’aggregazione e la stabilità delle particelle del terreno riducendo l’erosione, il compattamento e la formazione di croste superficiali; fa da legante con le altre sostanze minerali, migliorando la fertilità del suolo e la sua capacità di svolgere funzione “tampone” (sia in senso di variazioni del pH che di equilibrio complessivo del terreno); migliora l’attività microbica e la disponibilità per le piante di elementi nutritivi come azoto e fosforo; contribuisce alla disponibilità idrica e alla degradazione microbica delle diverse matrici presenti, ivi comprese le eventuali sostanze con potenziale effetto inquinante.
Da considerare quindi che la presenza di adeguata sostanza organica nel suolo (ivi compresa la componente “microbiologica” vivente) contribuisce ad attribuire sostenibilità ambientale alle pratiche di un’agricoltura già di per sé caratterizzata, nelle aree più vocate del paese, da un importante ed efficiente impiego di risorse e fattori produttivi.
Dalla mappatura effettuata dal CREA emerge che le zone più a rischio sono proprio quelle considerate più fertili e a maggior vocazione agricola: tra queste la pianura padana e le aree agricole del sud Italia. In pratica proprio le aree più interessate da un’agricoltura “di impresa” condotta anche con l’apporto di fattori produttivi provenienti dalla chimica di sintesi (concimi minerali, fitofarmaci, antibiotici e medicinali in genere).
La presenza di sostanza organica non deve assolutamente essere vista come antitetica e, tantomeno in contrasto, con forme di agricoltura e allevamento caratterizzate da un uso efficiente dei fattori di produzione, essendone anzi il logico e naturale corollario, in una visione che deve vedere l’agricoltura come la prima forma/processo “naturale” di economia circolare sviluppatasi sulla Terra.
“Ridare fertilità” al suolo è possibile, i mezzi per restituire carbonio organico ai suoli impoveriti ci sono (l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, meglio se sottoposti a Digestione Anaerobica, è il principale esempio). Occorre impegnarsi a sottrarre quota parte della CO2 presente in atmosfera e farla assorbire anche dai suoli, cosa che migliorerebbe la qualità del terreno, incrementando anche la componente “microbiologica” e contrasterebbe l’innalzamento delle temperature.
La presenza di materia organica non solo è fondamentale per la salute e la fertilità del suolo – e quindi per assicurare produzioni e sicurezza alimentare in condizioni di efficienza e sostenibilità – ma può contribuire a mitigare i cambiamenti climatici. I suoli del pianeta possono infatti agire come temporaneo accumulo di carbonio, seppure in forme chimiche “labili”, dando il loro apporto a ridurre la presenza di gas serra nell’atmosfera.
Fatta questa generale premessa, vanno poi tenute presenti le caratteristiche del nostro paese, caratterizzato da elevata pressione antropica e scarsità di risorse naturali. La superficie complessiva dell’Italia ammonta a “soli” 300.000 chilometri quadrati con oltre 60 milioni di abitanti (di cui 25 Milioni nel solo Bacino Padano). Dal punto di vista orografico prevale la superficie di territorio collinare (pari al 41,6% della superficie complessiva), seguita da quello di montagna (35,2%) e di pianura (23,2%).
Per SAU Superficie Agricola Utilizzata si intende la superficie agricola utilizzata per realizzare le coltivazioni di tipo agricolo, escluse quindi le coltivazioni legnose e le superfici a bosco naturale (latifoglie, conifere, macchia mediterranea).
La superficie aziendale complessiva rappresenta la Superficie Totale, comprensiva della superficie agricola utilizzata (SAU) e di tutte le altre superfici, es. superficie boscata, piantagioni da legno e le altre superfici aziendali (tare di appezzamenti/ fabbricati e altre superfici non agricole).
La superficie agricola totale in Italia è circa di 16,7 milioni di ettari. Nel 2017, sono poco più di 1,5 milioni le Unità economiche che operano nel settore agricolo, in forma principale o come attività secondaria. La superficie agricola utilizzata (SAU) è di circa 12,8 milioni di ettari, ogni Unità ha in media 8,4 ettari di SAU.
Territorialmente la SAU risulta così suddivisa:
ü Nord: 4,7 Milioni Ha
ü Centro: 2,3 Milioni Ha
ü Sud: 5,8 Milioni Ha
Sotto il profilo produttivo, le aziende agricole italiane occupano 854 mila unità di lavoro (Ula) e realizzano una produzione di 45,4 miliardi di euro, con un valore aggiunto di 25,8 miliardi di euro (ISTAT, 2015)
Riguardo alla sola componente agricola, il valore complessivo della produzione risulta composto per il 52% dalle coltivazioni vegetali, per il 29% dagli allevamenti zootecnici e per il 12% e il 6% dalle attività di supporto e dalle attività secondarie.
Dal punto di vista della distribuzione territoriale, il 49,6% della produzione ed il 47% del valore aggiunto sono realizzati nel Nord del Paese, dove è presente il 25,4% delle aziende agricole nazionali. Nel Sud si localizzano quasi i due terzi (63,2%) delle aziende del Paese che realizzano il 38,7% della produzione ed il 42,3% del valore aggiunto del valore nazionale.
Quelle che operano in regime di “imprese agricola” sono 413 mila (27,3%), mentre le aziende agricole gestite o da imprese che operano in maniera prevalente in altri settori produttivi o da istituzioni pubbliche e da istituzioni non profit sono 86 mila (5,7%). Ammontano a 550 mila (36,3%) le aziende agricole il cui conduttore è una unità economica non attiva, che possono operare occasionalmente per il mercato, mentre le aziende gestite direttamente da persone fisiche (famiglie), sono circa 466 mila (30,7%).
Tra le aziende agricole, quelle con allevamenti sono 242 mila, circa il 16% delle aziende totali.
Dal 1990 ad oggi la riduzione di superficie agricola utilizzata (SAU) è stata del 20% per una media di circa 185 mila ettari annui fra il 1990 e il 2000, di 33 mila ettari annui fra il 2000 e il 2010, di 126 mila ettari annui fra il 2010 e il 2016. La perdita di SAU è prevalentemente avvenuta per il cessare della coltivazione nelle terre meno produttive, le quali risultano poi occupate da boschi e da formazioni vegetali c.d. “colonizzatrici pioniere”, oltre che dalla continua espansione delle aree urbane.
Va da ultimo segnalato, alla luce anche di quanto in precedenza esposto, che dal punto di vista agronomico, l’argomento dei c.d. “terreni abbandonati”, appare più propriamente da riferirsi macrocategorie di tipo sociale, piuttosto che a diretti e, soprattutto, concreti effetti produttivi.
Lo testimoniano le posizioni di “nicchia” in cui versano pur lodevoli iniziative (ispirate anche da altre finalità e valori, al di là di quello meramente “produttivo”), che, per sintesi e facilità di esposizione, è possibile raggruppare sotto il nome di “Banche della Terra”, caratterizzate da “numeri” assai circoscritti, come è facile riscontrare dalla consultazione dei rispettivi siti.
A questo punto risultano disponibili un quadro rappresentativo e un’articolata serie di dati/informazioni che stanno alla base del più vasto tema del rapporto tra “uso del suolo e installazione di impianti fotovoltaici”, propedeutici per un successivo approfondimento, a diverso e più elevato livello, che vede più direttamente coinvolti profili di indirizzo politico-amministrativo.
Evoluzione della Superficie agricola utilizzata (SAU)
Fonte: Elaborazione APAT su dati ISTAT