Per aver contezza dei problemi da superare per conseguire gli obiettivi dell’Accordo di Parigi o del Green Deal europeo penso che il criterio cui attenersi debba essere quello di dire le cose come stanno. Anche se possono dispiacere. Le cose stanno che ‘transizione energetica’ e ‘decarbonizzazione’ non si sono ad oggi materializzati. Nei trascorsi venti anni, il passaggio al dopo-fossili non ha fatto un alcun passo in avanti: col loro peso nei consumi primari di energia aumentato dall’80% all’81% e nella generazione elettrica diminuito di appena 2 punti dal 65% al 63% (dati AIE). Idem per quanto riguarda la decarbonizzazione con l’intensità carbonica (CO2/tep) rimasta stabile nei consumi primari e addirittura aumentata nell’elettricità.

La narrazione dei fatti è quindi totalmente diversa e fuorviante rispetto alla loro dinamica reale. Penso sia necessario, proprio per raggiungere gli obiettivi desiderati, individuarne le ragioni: la straordinaria complessità della transizione energetica, che comporta la sostituzione dell’intero stock di capitale sia dal lato della offerta che della domanda di energia; l’enorme ammontare degli investimenti quantificati da Goldman Sachs in 16.000 miliardi dollari incrementali nel prossimo decennio; la necessità di profondi mutamenti nei comportamenti individuali e collettivi, che è opinabile possano imporsi in via normativa. La conclusione è che transizione/decarbonizzazione sono obiettivi molto più difficili da conseguire di quanto si voglia far intendere.

La crisi economica causata dal coronavirus ha poi peggiorato le cose. In un’accurata indagine di Capgemini sulle maggiori 300 utilities di 15 paesi, il 40% ha dichiarato di essere stata costretta a ridurre i propri impegni nella transizione energetica. Conclusione: nello scenario più realistico, anche se non poco incerto, dell’ultimo WEO dell’Agenzia di Parigi, quello denominato Stated Policies Scenario (che ipotizza che nel 2021 la pandemia sia sotto controllo con l’economia tornata ai livelli pre-crisi e l’attuazione di tutte le politiche climatiche annunciate) l’apporto delle fossili resterà maggioritario anche nel 2040 pur se inferiore a quello attuale.

Anche il petrolio resterà la prima fonte. Se il suo mercato sembra aver raggiunto nel breve termine un relativo equilibrio con prezzi che oscillano sui 40 doll/bbl (rispetto ai 70 di inizio anno) così non può dirsi per il medio termine. Il feroce taglio degli investimenti nell’esplorazione-sviluppo - a livelli circa la metà di quelli di un quinquennio fa - causerà infatti un ‘vuoto’ dell’offerta nei prossimi anni col concreto rischio che se la domanda riprenderà, anche se non ai livelli pre-crisi, possa verificarsi un deficit d’offerta con forte balzo dei prezzi. Ne potrà risentire l’uscita dalla recessione, l’economia dei paesi più deboli, la nostra economia.

La politica non può pensare che il petrolio sia ormai fuori dal gioco dell’energia. Non è così e illudersi del contrario potrebbe essere molto costoso. William Nordhaus, premio Nobel dell’economia nel 2018, ha dichiarato lo scorso anno che “è impossibile raggiungere l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale entro i due grandi centigradi”. Bisogna operare per riuscirci senza trascurare quel che resta centrale nei bilanci energetici mondiali e nazionali: il petrolio.