Tra i principali paesi europei, l’Italia ha il grado più elevato di dipendenza energetica dall’estero e quindi avrebbe tutto l’interesse a promuovere e allargare gli interventi per l’efficienza energetica. Si tratta di interventi che si portano dietro ulteriori benefici: la creazione di nuovi posti di lavoro qualificati; la riduzione di emissioni climalteranti; la riduzione di emissioni dannose per la salute. Infine, considerando che gran parte del valore aggiunto generato rimane localizzato, la promozione dell’efficienza energetica corrisponde ad un equivalente sostegno all’economia nazionale in un momento particolarmente difficile. L’efficienza energetica si qualifica quindi come uno dei settori a cui è associato un maggiore potenziale di doppio dividendo tra ripresa economica e decarbonizzazione. La riduzione dei consumi di energia primaria nell’ordine del 50% e oltre al 2050, prevista nei piani dell’Unione europea e in quelli di molti stati membri, è infatti in grado di coniugare gli obiettivi di transizione energetica e di crescita economica. In particolare per quanto concerne il settore degli edifici e quello industriale.

Il settore delle costruzioni rappresenta circa l’8% del PIL Italiano, è connesso al 90% dei settori economici e si concentra per il 70% sul mercato interno. Si stima inoltre che la sua crescita possa permettere di recuperare mezzo punto di PIL l'anno, avvicinando la crescita italiana alla media europea.

Nonostante negli ultimi anni siano stati introdotti diversi meccanismi di regolazione e di incentivo all’efficientamento, il potenziale di risparmio energetico del patrimonio edilizio nazionale è ancora molto elevato, soprattutto nel comparto residenziale. Per attivarlo è necessaria una programmazione trentennale e misure shock di breve periodo che permettano di sbloccare il processo di efficientamento, tenendo presente che in questo settore lo stato può operare sia come utente/investitore diretto (sugli edifici di sua proprietà) sia come regolatore/incentivatore di interventi di investitori privati.

Per l’impiego delle risorse del recovery fund si individuano come prioritari i segmenti dell'edilizia scolastica e dell'edilizia residenziale pubblica. Essi necessitano di interventi di manutenzione straordinaria da anni, sono tipicamente utilizzati da alcune delle fasce più deboli della popolazione e hanno una rilevante valenza simbolica associata alla crisi COVID-19. Si stima che un piano straordinario per il rinnovamento dell'intero parco scolastico necessiti di circa 40-50 miliardi di euro, mentre quello dell'edilizia sociale pubblica di circa 15-20 miliardi di euro. Sarebbero soldi ben spesi, dal momento che porterebbero a un risparmio energetico annuale di 13,5 e 5,5 TWh rispettivamente. Fermo restando che si innescherebbe una corsa strutturata al rinnovamento dell'intero patrimonio edilizio, basata sulla coniugazione di incentivo, obbligo e informazione.

Nel settore industriale è invece opportuno ridefinire e rivitalizzare i due principali strumenti già presenti nel contesto italiano: i Certificati Bianchi (o Titoli di efficienza Energetica) e il Piano Impresa 4.0, a volte detto anche Piano Industria 4.0 e ora aggiornato a Piano Transizione 4.0.

Alla fine di luglio 2020, Confindustria ha presentato una proposta di riforma dei Certificati Bianchi che include misure di semplificazione e flessibilità nelle tempistiche e prevede il ripristino di modalità e tecnologie che in passato avevano restituito ottimi risultati. Queste proposte vanno sicuramente nella direzione giusta. Ad esse è possibile affiancare la possibilità di trasferire l’attuale obbligo dai distributori di gas ed elettricità ai fornitori finali in base ai volumi di vendita. Tale trasferimento richiederebbe cura in particolare nella fase transitoria ma porterebbe ad eliminare il riconoscimento tariffario lasciando a un puro meccanismo di mercato l’identificazione del prezzo di equilibrio per i Titoli di Efficienza Energetica. Inoltre, avendo i fornitori relazioni dirette con gli utenti finali, potranno proporre pacchetti di servizi che includono la fornitura del vettore energetico e la realizzazione di interventi di efficienza energetica.

Il Piano Transizione 4.0, pur costituendo un passo nella direzione giusta, non è focalizzato sugli obiettivi di decarbonizzazione e di transizione energetica. Gli interventi a supporto della “economia circolare (green economy) e della riconversione produttiva” sono solo una piccola frazione del totale. In questo modo viene alimentata l’idea che l’economia circolare sia un settore limitato dell’economia e non una lente attraverso cui ridefinire tutte le attività economiche. In questo quadro il rischio è di incentivare investimenti in tecnologie non compatibili con la decarbonizzazione, determinando un meccanismo di lock-in dei capitali controproducente. È necessario pertanto che sugli interventi di decarbonizzazione si concentrino da subito maggiori risorse per i settori della Tassonomia, cioè i 70 settori industriali responsabili del 93,2% delle emissioni di gas climalteranti nella UE identificati dal Technical Expert Group on Sustainable Finance. Sia le risorse sia gli strumenti di supporto dovranno essere stabilizzati nel tempo, con aggiustamenti derivanti dalle risultanze di un opportuno meccanismo di monitoraggio e valutazione.

Tutti gli interventi che promuovono l’efficienza energetica vanno inseriti in una strategia di lungo periodo che includa un programma di riforme che elimini gli incentivi dannosi e gli ostacoli alla transizione. Serve una fiscalità energetica, coerente con gli obiettivi di decarbonizzazione e che gli strumenti di incentivazione (detrazioni fiscali e Piano Industria 4.0) non sostengano più interventi e tecnologie non compatibili con la transizione energetica, la decarbonizzazione e la promozione dell’economia circolare.

Il testo è estratto dal capitolo "Efficienza energetica" del rapporto Ossigeno per la crescita - La decarbonizzazione al centro della strategia economica post-Covid che verrà presentato il 22 settembre da REF-E. L’obiettivo del lavoro è dimostrare come la decarbonizzazione offra un’opportunità di rinnovamento del sistema produttivo italiano tale da recuperare gli impatti della crisi, ripianare il debito e superare lo stallo dell’economia nazionale pre-Covid.