Partiamo da un concetto che spesso si dà per scontato. Cosa si intende con il termine inquinamento?
Quando si parla di inquinamento fondamentalmente si sta parlando di concentrazioni elevate in atmosfera di sostanze dannose, che possono avere risvolti negativi sia a livello locale che globale. Tra le varie sostanze che ISPRA tiene sotto controllo vi sono principalmente quelle direttamente correlate alla qualità dell'aria che respiriamo nelle aree in cui viviamo, lavoriamo, trascorriamo le vacanze. Un’eccessiva concentrazione di queste sostanze nell’atmosfera comporta danni di vario tipo, che riguardano la salute, l'ambiente, fino alla conservazione dei monumenti. Le sostanze di cui si parla sono le polveri sottili, gli ossidi di azoto, gli ossidi di zolfo, gli idrocarburi policiclici aromatici, le diossine, etc., la cui concentrazione è dovuta sia alle fonti di produzione delle stesse, sia a fattori come la morfologia del territorio o le condizioni meteo che ne possono causare, o meno, la dispersione. Se allarghiamo la lente a livello mondiale la storia non cambia di molto. Allo stesso modo un'eccessiva concentrazione di gas serra nell'atmosfera terrestre comporta alterazioni a livello climatico e metereologico che ormai tutti, purtroppo, conosciamo. Si tratta anche in questo caso di effetti indiretti dovuti ad un disequilibrio delle sostanze che compongono l’atmosfera, semplicemente su scala globale.
Scendendo nel merito, quali settori in Italia sono responsabili delle emissioni di sostanze dannose?
Il principale elemento da tenere sott'occhio per quanto riguarda l'inquinamento atmosferico è il particolato, le cosiddette polveri sottili, considerate tra le sostanze più dannose in quanto cancerogene e causa di complicazioni polmonari, specie nelle aree urbane e più densamente abitate. Il particolato, tuttavia, è composto da una componente primaria, cioè prodotta da sorgenti dirette, e da una componente secondaria, ovvero generata chimicamente tramite varie sostanze che si aggregano nell'atmosfera. Se si analizza questa seconda categoria si comprende come vi siano alcune sostanze che facilitano e innescano le reazioni che danno luogo all'emissione della componente secondaria. Tra queste: gli ossidi di azoto, gli ossidi di zolfo, i composti organici volatili e l'ammoniaca. È bene tenere a mente che a seconda delle condizioni meteorologiche e morfologiche di un territorio la componente secondaria può essere responsabile tanto quanto la componente primaria. Questo è il caso della Pianura Padana, dove la componente secondaria è responsabile per oltre il 70% dell’inquinamento atmosferico. Venendo alle responsabilità: l'ammoniaca proviene per il 90% dalle attività agricole, in particolare allevamenti e fertilizzanti sia chimici che organici; gli ossidi di azoto provengono per il 50% dal settore dei trasporti, il 25% dagli impianti di riscaldamento e la restante parte da comparti industriali. Mentre per quanto riguarda la componente primaria, il principale responsabile è la combustione della legna, motivo per il quale l'utilizzo dei camini è spesso vietato nelle città o comunque nelle aree a rischio concentrazione di polveri sottili. Anche il riscaldamento domestico, specie le piccole caldaie di vecchia data, può contribuire all’emissione di particolato nei centri urbani. In sostanza c'è bisogno di intervenire su tutti i fronti, dall'agricoltura ai trasporti, dal riscaldamento all'industria.
I trasporti, spesso accusati di essere i principali responsabili delle emissioni, sembrano aver “trovato una quadra” tra prestazioni, emissioni e consumi. È così?
Le normative ambientali e gli investimenti in ricerca e sviluppo da parte del settore automobilistico hanno riscosso risultati indubbiamente positivi dal punto di vista del particolato, con un abbattimento drastico per quanto riguarda le emissioni di PM10 e PM2,5 su tutti i tipi di veicoli. Rimane ancora da vincere, almeno per quanto riguarda i veicoli diesel, la sfida che concerne gli ossidi di azoto, ossia quella componente secondaria che in determinati casi si traduce in maggiore emissioni di polveri sottili. Questo ha una ragione ben precisa. Le normative comunitarie, infatti, hanno portato allo sviluppo di motori che riducono i consumi e le emissioni di CO2 e polveri sottili, ma che per farlo devono lavorare a temperature più alte, producendo quindi più ossidi di azoto. Per cui un Euro5 diesel emette molto meno CO2, PM10 e PM2,5 e consuma meno di un Euro 0 o un Euro 1 eppure produce più ossidi di azoto. Questa problematica, tuttavia, è stata fortunatamente oggetto di attenzione nello sviluppo dei modelli successivi all’Euro 5 e potrebbe essere risolta del tutto con l’avvento degli Euro7 e delle tecnologie oggi al vaglio delle case automobilistiche.
Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro?
La tematica è certamente complessa ma abbiamo i mezzi e la volontà per garantire ai nostri figli un’aria più respirabile a parità di libertà di movimento. Serve uno sforzo congiunto e attento alle diverse componenti del fenomeno e ai diversi responsabili. Dal canto suo il settore dei trasporti fa i conti con un parco circolante che in Italia è di circa 40 milioni di veicoli e che difficilmente si modificherà nel breve e medio termine. Quindi ben vengano le soluzioni che innovano i motori esistenti e che ne introducono di nuovi che si adattano alle diverse condizioni di guida, così come alle diverse esigenze in termini di prestazioni e di Km di percorrenza. Risulta superfluo dirlo, ma la vera sfida si giocherà sul piano della sostenibilità economica, oltre che ambientale.