Lo scenario attuale offre un quadro estremamente sfidante per il settore del gas naturale, sia nella sua componente infrastrutturale che nella vendita. Infatti, gli obiettivi europei declinati nel Piano Nazionale Italiano Energia e Clima, pur se scritti per il 2030, traguardano una visione di completa decarbonizzazione del paese al 2050. Questa visione, stimolata da sensibili pressioni del principale operatore elettrico, sta orientando visibilmente la policy e le attenzioni del Governo e dell’autorità di settore: decarbonizzazione ed elettrificazione sono veicolati come sinonimi e il gas naturale, pur necessario compagno di viaggio nella transizione energetica, risente di una evidente discriminazione sia nella considerazione delle politiche di approvvigionamento che di mantenimento in esercizio, efficace ed efficiente, delle reti di trasporto e di distribuzione.

Il “de profundis” da alcuni celebrato non appare tuttavia ad oggi ineluttabile, anche in considerazione del potenziale e atteso apporto dei gas rinnovabili. In ogni caso, si ha di fronte un orizzonte temporale di almeno 30 anni: il settore si dovrà indirizzare verso un consolidamento per un assetto più efficiente e per fare questo non appare più rinviabile una revisione di quella parte della riforma avviata dal DLGS 164/2000 che ha ostacolato la partenza delle gare.

In primis, la rilevante onerosità per gli enti locali, soprattutto per le stazioni appaltanti, non accompagnata dal corretto riconoscimento di un valore di cessione delle reti di loro proprietà, calcolato con criteri analoghi rispetto a quello dei concessionari uscenti: tenendo conto che le reti comunali sono circa il 10,8% del totale, il criterio vigente (riconoscimento della RAB – Regulatory Asset Base) porterebbe ad un valore di 2,8 miliardi di euro contro i 3,7 miliardi stimati in uno studio che REF-E ha realizzato per ASSOGAS. Tale valore accresciuto viene generato con l’applicazione di una proxy del VIR (Valore Industriale Residuo). Quello di riferimento si basa sulle Linee guida ministeriali (adottate nel 2014, ex DM 226/2011).

Questo approccio, oltre che corretto, si ritiene possa offrire una maggiore motivazione degli enti locali nell’avviare il processo di gara. L’applicazione del medesimo criterio metodologico ai gestori uscenti, seppur portatore di un riconoscimento economico inferiore rispetto al VIR definito nei contratti di concessione - come previsto dalla normativa vigente - consentirebbe di snellire le tempistiche di approvazione da parte di ARERA, riducendone le aree di discrezionalità interpretativa. Darebbe inoltre ai gestori uscenti una ragionevole certezza sul valore di rimborso ed un alleggerimento del contenzioso tra i medesimi e gli enti locali concedenti.

Questo percorso si inserisce nella visione temporale della piena decarbonizzazione al 2050 con l’obiettivo di ARERA di gestire in maniera efficiente il phase-out delle reti, minimizzando il possibile impatto degli stranded costs da riconoscere.

Ciò ci introduce ai temi da un lato di robuste analisi costi benefici per i nuovi investimenti, dall’altro ad un’analisi delle componenti della tariffa finale di distribuzione, per contenere il rischio che volumi decrescenti correlati alla progressiva decarbonizzazione conducano ad un aumento sensibile del peso della tariffa in bolletta. Tale peso per un consumatore domestico oggi è pari a circa il 12% e il costo complessivo della distribuzione ammonta a circa 3,1 miliardi di euro, di cui poco meno di un terzo attribuibili ai costi operativi, la parte restante legata invece alla RAB.  Le attenzioni del regolatore nel recente documento di consultazione DCO 170/2019 e di alcuni operatori sono concentrate sull’omogeneizzazione dei costi operativi differenziati per categorie dimensionali di gestori: pare corretto affrontare il tema con la necessaria gradualità ma appare importante affiancarlo ad una dovuta riflessione sulle sensibili disomogeneità dei valori delle RAB tra operatori. Uno studio commissionato da ASSOGAS a DFC Economics evidenzia come un sistema connotato da livelli di vetustà, qualità e sicurezza delle reti molto omogenei (studio effettuato sulle regioni del centro-nord del paese) presenti livelli estremamente differenziati di RAB: usando, ad esempio, il parametro di metro lineare di rete si ha un valore medio di sistema di 63 euro, con il primo operatore che si attesta sui 103 euro e la media associati ASSOGAS sui 37 euro. Sono state effettuate ulteriori elaborazioni depurando ad esempio le grandi città che, pur riducendo l’ampiezza del differenziale, mantengono comunque un livello di disomogeneità che offre margini di intervento, con i relativi impatti assai maggiori di quelli summenzionati sui soli costi operativi. Si sottolinea, tra l’altro, che tali differenze portano da anni a flussi di cassa sensibilmente diversi che, come si diceva sopra, non trovano giustificazioni in livelli di qualità e sicurezza diversi.

Ovvero, è facilmente dimostrabile che l’utente finale a fronte del medesimo servizio riconosca remunerazioni molto diverse.  L’assetto ottimale del settore, sicuramente basato su un numero di operatori assai inferiore ai poco più dei 200 attuali, è destinato ad una sensibile concentrazione: a tutela del consumatore finale, è importante che questa venga governata attraverso una adeguata valorizzazione del servizio e ad un meccanismo che superi le poco spiegabili disomogeneità di remunerazione dei costi riconosciuti tra operatori.