Con le sue attività l’uomo ha alterato gli equilibri climatici, portando le concentrazioni di gas serra in atmosfera a livelli mai registrati nell’ultimo milione di anni.
Le emissioni antropiche in atmosfera hanno raggiunto i 52 milioni di tonnellate di gas serra all’anno (in CO2 equivalenti, media 2007-2016) con un tasso di crescita che non ha mai rallentato dal 1960. Il mondo si trova quindi in una traiettoria di aumento della temperatura terrestre che può avere impatti disastrosi e non recuperabili sugli ecosistemi e le economie mondiali. Sembrano “i soliti allarmismi”, ma gli scienziati ci allertano da anni, e nel frattempo siamo passati dalle parole ai fatti: gli effetti li stiamo già vivendo sulla nostra pelle.
Per rimanere a livelli sufficienti a garantirci il contenimento dell’aumento di temperatura a 2°C sopra i livelli pre-industriali, i modelli suggeriscono che è necessario ridurre le emissioni globali del 20% rispetto al 2010 entro il 2030, fino ad arrivare ad emissioni negative entro il 2075 (cioè gli assorbimenti di CO2 devono superare le emissioni di tutti i gas serra). Questi livelli sono stati valutati come la temperatura massima di aumento globale che permetta di adattarci a costi sociali, economici ed ambientali accettabili. I cambiamenti quindi ci saranno, cosi come la speranza di poterli gestire, ma questo richiede una profonda transizione verso economie sostenibili e a basse emissioni.
L’ultimo rapporto IPCC sull’interazione territorio e cambiamento climatico (approvato ad Agosto 2019 a Ginevra) mette in guardia sullo stato precario del sistema terrestre, già in evidente stato di sovra-sfruttamento, in un mondo in continua evoluzione climatica, e con una popolazione in crescita esponenziale. Sono stati già osservati gli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi naturali terrestri, il degrado del permafrost, la desertificazione, il degrado del territorio in molte aree ed impatti sulla sicurezza alimentare.
In questo scenario le foreste ricoprono un ruolo chiave, assorbendo dall’atmosfera una parte importante dei gas serra emessi dall’uomo. La CO2, il principale gas serra, viene in parte assorbita naturalmente dagli ecosistemi terrestri (e marini), che attraverso la fotosintesi trasformano la CO2 in tessuti vegetali, utilizzando l’acqua e l’energia solare e liberando ossigeno. Questa capacità di “spugna” fa sì che gli ecosistemi terrestri assorbano oltre un quarto delle emissioni umane, utilizzandole per produrre fusti, rami, foglie e infine facendole arrivare al suolo tramite la decomposizione della lettiera.
Un vero miracolo della vita, che è attualmente sotto minaccia più che mai. Vi sono chiari segnali che le foreste possano rallentare la loro capacità di assorbimento, arrivando al così detto punto di saturazione, anche a causa degli impatti del cambiamento climatico. Inoltre la deforestazione a livello mondiale ha ripreso ad aumentare dopo anni di riduzione, mettendo in serio pericolo il sistema climatico mondiale.
Attualmente le attività di disboscamento, gli incendi, il degrado forestale e le attività agricole (inclusi fertilizzanti e fermentazione enterica dei ruminanti) sono responsabili di circa il 23% delle emissioni totali di gas serra. Quasi la metà di questo valore viene dalla deforestazione (circa 5 miliardi di tonnellate di CO2/anno). L’aumento degli incendi boschivi registrati a livello mondiale negli ultimi mesi aggrava ulteriormente la già instabile condizione climatica, con l’immissione non solo di CO2 in atmosfera, ma anche di altri potenti gas serra come il metano e il protossido di azoto che si creano nel processo di combustione.
Le foreste tropicali sono un fondamentale bacino di biodiversità e assolvono anche ad un importante funzione di regolatore del clima locale, condizionando il clima a livello continentale.
Nel caso delle foreste amazzoniche, ad esempio, le particelle d’acqua che arrivano dall’Oceano Atlantico condensano e cadono sotto forma di precipitazioni sulla foresta. L’acqua che arriva sulle chiome in parte evapora ed in parte viene assorbita dalle radici e riemessa in atmosfera attraverso le foglie: questo ciclo idrologico importantissimo fa sì che le foreste tropicali siano capaci di riciclare l’acqua creando loro stesse il 50% delle precipitazioni. Questo meccanismo raffredda l’aria sia grazie all’energia consumata per il passaggio di stato dell’acqua (calore latente) sia grazie all’azione di schermo delle nuvole, le quali riflettono i raggi solari verso lo spazio. Il ciclo idrologico amazzonico condiziona anche le precipitazioni invernali nel bacino de La Plata, sud Paraguay, Brasile del Sud, Uruguay e l’area centro-orientale dell’Argentina. Recenti studi riportano che una riduzione del 20-25% della superficie dell’amazzonia potrebbe portare alla rottura di questo equilibrio, trasformando progressivamente la foresta in savana. Considerando che, secondo le stime dell’INPE (istituto per la ricerca spaziale Brasiliana), il 17% delle foreste è già andato perduto, l’Amazzonia si trova molto vicino al collasso, con gravi conseguenze anche per l’agricoltura dell’area. Il più minacciato è difatti proprio il settore che è la causa prima di questo degrado. Difatti, le cause principali della deforestazione a livello globale sono legate all’espansione agricola di colture commerciali (cash crops) come la soia (principalmente utilizzata per l’alimentazione animale), l’allevamento di bestiame, la palma da olio, il caffè e il cacao, che contribuiscono all’80% della deforestazione, soprattutto nelle aree tropicali.
Quando i suoli tropicali privati dalla vegetazione forestale vengono esposti alle pesanti precipitazioni tropicali, la conseguente erosione porta ad una rapida perdita dei loro nutrienti (e di carbonio), richiedendo quindi notevoli apporti di concimi chimici con ulteriore impatto ambientale.
L’Europa è innegabilmente uno dei principali importatori di questi prodotti legati ai processi di deforestazione, importando ad esempio il 25% dell’olio di palma mondiale, il 41% di carne bovina, 15% di soia, 25% di gomma, con picchi che raggiungono l’80% per il cacao e il 60% per il caffè. E’ stato stimato che con le sue importazioni l’UE abbia contribuito alla deforestazione di 9 milioni di ettari tra il 1990-2008.
D’altra parte la terra è una risorsa limitata a cui viene chiesto di soddisfare i crescenti bisogni di una popolazione che si prevede possa raggiungere quasi i 10 miliardi nel 2050. E’ necessario pensare a modelli di sviluppo che puntino alla mitigazione dei cambiamenti climatici, tenendo conto della varietà di interessi contrastanti e i limiti fisici ambientali. La protezione delle foreste e la riduzione del degrado forestale sono dunque azioni imprescindibili viste le condizioni drammatiche in cui versano gli ecosistemi naturali. Inoltre è necessario ricorrere al restauro di aree marginali e degradate attraverso rimboschimenti per aumentare la capacità di assorbimento terrestre.
La convenzione ONU sui cambiamenti climatici dal 2014 ha messo in piedi un meccanismo di premiazione per i Paesi in via di sviluppo che dimostrino di ridurre la deforestazione attraverso politiche a livello nazionale, prevedendo la costituzione di sistemi di monitoraggio robusti e fornendo informazioni sulla tutela dei diritti delle popolazioni locali e della biodiversità. Questo meccanismo è denominato REDD+ (Riduzione delle Emissioni da Deforestazione e Degrado forestale, aumento degli stock di carbonio e gestione sostenibile delle foreste) e il Green Climate Fund ha già reso disponibile nella sua prima fase 500.000 dollari per il pagamento dei risultati di riduzione di emissioni tramite azioni REDD+. Questa cifra si aggiunge ad altre iniziative come, ad esempio, quelle della Banca Mondiale (FCPF) e a livello ONU (es.UN-REDD) nonché di singoli donatori (in primis Norvegia, Germania e Regno Unito) che in varie forme sostengono i paesi nel processo REDD+.
Seppur queste iniziative siano state fondamentali per stimolare i Paesi a rafforzare la loro governance forestale, sviluppare sistemi controllo della deforestazione e di monitoraggio delle foreste, da solo il concetto "ti pago se non tagli" non può considerarsi sufficiente. Bisogna creare un approccio sistemico, è necessario innescare meccanismi virtuosi anche da parte dei paesi importatori delle materie prime prodotte dalle foreste (o dai terreni disboscati) di questi Paesi. Bisognerebbe affiancarlo a politiche di controllo della filiera, imporre l'acquisto da parte dei grossi importatori (EU in primis) solamente di prodotti "deforestation free", come già si è provato a fare per l'importazione del legname legale nell'UE attraverso il FLEGT e Due diligence. L'UE si sta timidamente muovendo in questo senso, ma occorrono normative a livello globale per stimolare un commercio sostenibile.
E’ importante adottare al più presto strategie di mitigazione senza incorrere nel rischio di aumentare la competizione per l’uso della terra. Il Rapporto IPCC sulle terre e cambiamento climatico offre delle opzioni con notevoli vantaggi che possono ridurre la pressione sulle risorse come, ad esempio, la modifica della dieta, la riduzione delle perdite alimentari (dal campo al mercato) e degli sprechi (dal mercato al consumatore finale), con questi ultimi che costituiscono fino al 10% delle emissioni globali di CO2. La riduzione del consumo di carne e latticini attraverso diete bilanciate e salutari porta alla diminuzione di due delle principali cause della deforestazione mondiale (soia e pascoli) con un potenziale di mitigazione stimato di 0.7–8,0 GtCO2-eq anno-1 e con indubbi benefici in termini di salute. D’altro canto la riduzione dei rifiuti alimentari e agricoli può ridurre le emissioni di 0,8–4,5 CO2-eq anno-1, con vantaggi per la sicurezza alimentare.
Le concentrazioni di gas serra in atmosfera sono tali che solo attuando tagli rapidi e profondi delle emissioni in tutti i settori si può raggiungere l’obiettivo di contenere l’aumento delle temperature a 2℃ (o meglio 1.5°C) rispetto all’era pre-industriale. Queste riduzioni devono essere necessariamente accompagnate da cambiamenti comportamentali ed alimentari e da una gestione sostenibile del territorio che massimizzi i benefici in termini di mitigazione, adattamento, biodiversità e contrasto al degrado del suolo. I fatti parlano chiaro: o attuiamo una drastica inversione di sistema verso economie a basso impatto e basse emissioni, o gli equilibri ambientali, economici e sociali mondiali saranno seriamente compromessi.