Il fuoco è un fattore naturale che ha modellato la vegetazione terrestre di molti biomi. Il suo controllo da parte dell'uomo ne ha esteso l’influenza oltre i suoi limiti ecologici, offrendo agli esseri umani un potente strumento non solo per il riscaldamento e la cottura dei cibi, ma anche per la protezione, la bonifica e la fertilizzazione del suolo. Secondo le recenti statistiche dell'Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura delle Nazioni Unite (FAO), a partire dagli anni 2000 in tutto il mondo sono andati bruciati mediamente oltre 350 milioni di ettari (ha) all’anno. Altre fonti, sulla base di rilevazioni satellitari stimano addirittura medie annuali tra i 500 e 560 milioni di ettari. La maggior parte degli incendi occorre nelle praterie, nelle savane e nelle terre agricole, ma negli ultimi trenta anni anche le foreste hanno iniziato ad essere sempre di più interessate dagli incendi includendo per la prima volta anche il bioma di quelle tropicali.
Il cambiamento climatico ed il fuoco
Il fuoco influenza i processi globali di chimica dell'atmosfera e ne è a sua volta influenzato in quanto questi sono anche i fattori principali che controllano i suoi regimi e la sua frequenza. È noto che negli ultimi anni si stia registrando un forte aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera e che l’aumento della frequenza delle anomalie climatiche stia cambiando il clima di molte regioni del mondo. Tuttavia, ad oggi, anche se gli effetti sul territorio iniziano ad essere sempre più evidenti ed il recente rapporto dell’IPCC ne certifica la loro rilevanza, non c’è una sola pubblicazione scientifica che indichi che gli incendi di origine naturale stiano aumentando in relazione ai cambiamenti climatici. In altre parole fino ad oggi l’aumento della frequenza degli incendi è dovuta solo al disturbo antropico.
Il caso delle foreste boreali
La regione boreale dell'emisfero settentrionale è ricoperta da foreste che convivono con il fuoco a partire dalla fine dell’ultima glaciazione. In questa regione le anomalie climatiche, con estati più calde e asciutte e stagioni più lunghe senza neve, sono sempre più frequenti. Queste sono le condizioni che favoriscono la severità degli incendi e rendono il loro controllo estremamente difficile. Nelle foreste boreali il fuoco, sotto forma di incendi di chioma o di superfice, si ripete naturalmente ogni 200-500 anni, ed è un elemento che ha permesso nei millenni di accumulare grandi quantità di carbonio nei suoli, ma negli ultimi due decenni le stagioni severe dei roghi si ripetono sempre più frequentemente. Si calcola che in Russia a partire dal 2000 circa 66 milioni di ettari di foreste siano andati in fiamme, mentre in Canada nello stesso periodo si superano i 42 milioni di ettari, e queste stime non includono il 2019 che molto probabilmente segnerà un nuovo record negativo. Ormai circa il 90% degli incendi nelle foreste boreali è di origine antropica e questi altissimi livelli di disturbo stanno innescando dei meccanismi di degradazione della vegetazione e di impoverimento ed erosione dei suoli che non sono più compatibili con la resilienza dei biomi forestali. Nella regione boreale gli incendi sono dovuti principalmente all’incuria ed a comportamenti colposi dell’uomo. I governi della Russia e del Canada dovrebbero investire di più nella prevenzione e nella lotta attiva a questi fenomeni criminali. Inoltre, trattandosi di territori sconfinati, in gran parte disabitati e spesso di difficile accesso, la comunità internazionale dovrebbe offrire aiuti concreti a questi paesi, specie durante le emergenze.
Il caso dell’Amazzonia e delle altre foreste tropicali
Per quanto riguarda gli incendi che colpiscono la foresta amazzonica, si osservano dinamiche del tutto diverse, particolarmente legate al dolo. Qui non basta l’incuria per scatenare l’incendio, ma al contrario ci sono programmi di sviluppo del territorio che prevedono la rimozione delle foreste. La vegetazione naturale che ricopre il bacino del Rio delle Amazzoni, infatti, si è evoluta indipendentemente dal fuoco, per quanto anche quest’ultimo sia spesso legato alla mano dell’uomo. In questa regione, infatti, il fuoco è diventato funzionale nella rimozione della vegetazione arborea - che viene definitivamente eliminata con una serie ripetuta di 3-4 incendi in 2-3 anni -, cosi da favorire la formazione di manti erbosi utili al pascolo dei bovini allo stato brado. Pertanto, non basta lavorare sulla prevenzione, ma sono indispensabili strumenti di pressione economica a livello internazionale e di repressione a livello nazionale.
Questo processo di cambiamento di destinazione d’uso del suolo è ben conosciuto fin dagli inizi degli anni ’90 quando l’agenzia spaziale del Brasile, INPE, iniziò un programma di monitoraggio della deforestazione con dati satellitari: PRODES. Il programma si è sempre distinto per efficenza ed accuratezza, ed è stato sempre caratterizzato da una política di libero accesso ai dati che, per fortuna di tutti noi, si è poi estesa ai dati Landsat della NASA e ai dati Sentinel dell’ESA. Per questo motivo oggi siamo in grado di capire cosa accade in tutto il mondo quasi in tempo reale e volendo avremmo tutti gli strumenti per agire. Anche se purtroppo fino ad ora l’inazione ha avuto la meglio.
In Amazzonia a partire dal 2004 si è assistito ad un periodo di forte riduzione della deforestazione e degli incendi forestali, un trend positivo che subisce una battuta d’arresto a partire dal 2016 quando si registra un nuovo sensibile aumento. Per il 2019 le stime preliminari ci indicano un forte incremento, e si parla addirittura di un raddoppio rispetto al dato del 2018.
Deforestazione nell’Amazzonia Brasiliana dal 1988, secondo le rilevazioni INPE
Fonte: Mongbay
Se ci spostiamo in Indonesia, nel 1997 e nel 2015 nell’isola del Borneo, dove risiedono le foreste più rigogliose della terra, si sono registrate due stagioni catastrofiche degli incendi forestali, nonostante l’impegno ufficiale del governo nella lotta alla deforestazione. In Borneo, come in altre regioni del Sud-Est Asiatico, agli incendi delle foreste spesso seguono le piantagioni di palma da olio che trasformano irreversibilmente il territorio.
Abbiamo ancora tempo per salvare le foreste?
Il clima sta cambiando, ma non è ancora impazzito e noi abbiamo ancora qualche anno per invertire la rotta e usare le foreste e gli alberi nella lotta per la mitigazione del cambiamento climatico. Dobbiamo però cambiare atteggiamento: non dobbiamo più pensare che il problema degli incendi delle foreste sia un problema di natura ambientale o climatico, poiché per il momento si tratta soprattutto di un’emergenza sociale di proporzioni planetarie. Un’emergenza che se non viene contrastata correttamente ed urgentemente può pregiudicare lo sviluppo delle generazioni future.
Gli strumenti per agire sono già tutti in nostro possesso. Nelle regioni boreali un vasto programma di educazione alla prevenzione degli incendi ed un coordinato di sistema di lotta riporterebbe il fenomeno ai sui livelli naturali. Nelle regioni tropicali delle Americhe e dell’Asia, ci vogliono strumenti di pressione a livello internazionale che rimuovano le opportunità economiche oggi legate alla deforestazione. E anche noi cittadini occidentali nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa, per esempio riducendo il consumo di carne e di olio di palma.