Acqua ed energia sono strettamente interdipendenti: in quanto importanti consumatori l’una dell’altra, le scelte compiute in un campo hanno conseguenze dirette o indirette sull’altro. Da un lato, l’energia è indispensabile per l’estrazione, il trattamento e la distribuzione dell’acqua: basti pensare che l’elettricità conta per un 5-30% (stima) dei costi operativi totali delle utilities che operano in ambito idrico. Dall’altro, l’acqua è necessaria per produrre, trasportare e utilizzare quasi tutte le forme di energia. I prelievi di acqua dolce per la produzione di energia contano per circa il 15% del consumo mondiale di acqua, percentuale che è attesa aumentare al 20% entro il 2035 (IEA, 2013, ultimo dato disponibile).
La dipendenza del settore elettrico dalla risorsa idrica crea vulnerabilità e rischi, esacerbati a loro volta dagli eventi climatici estremi indotti dal cambiamento climatico. Periodi di grave siccità o di caldo intenso possono ridurre il rendimento delle centrali termoelettriche – ad alto consumo di acqua – sino a compromettere la capacità del settore di conseguire un adeguato livello di raffreddamento, tali da generare situazioni di blackout. Pertanto, i vincoli di disponibilità idrica rappresentano uno dei principali fattori da prendere in considerazione quando si valuta dove costruire una centrale elettrica e per quale sistema di raffreddamento optare. Esistono sistemi di raffreddamento che non utilizzano l’acqua – ad esempio quelli ad aria – ma i loro costi sono ad oggi proibitivi. Per contro, il cambiamento climatico può anche rappresentare un vantaggio per la produzione elettrica in quelle aree maggiormente esposte ad un aumento delle precipitazioni.
Diversamente dal settore idrico, quello energetico può contare su diverse fonti. L’elettricità può essere generata da fonti fossili tradizionali (utilizzate nelle centrali termoelettriche) ma anche a partire da risorse naturali come il sole o il vento, che non solo presentano una bassa impronta carbonica ma consumano anche poca acqua. Tuttavia, solare ed eolico sono fonti intermittenti e necessitano quindi di essere affiancate da impianti concepiti come base load (carico di base) quali le centrali termoelettriche o idroelettriche che presentano un alto consumo di acqua. Tra le energie rinnovabili merita però una menzione particolare la geotermia che ha il doppio vantaggio di consentire la produzione di energia pulita in via continuativa e di avere una bassa impronta idrica. In particolare, una centrale geotermica a ciclo binario utilizza un sistema chiuso che consente la re-iniezione del fluido geotermico nel sottosuolo una volta raffreddato.
Per quanto riguardo invece il comparto upstream, l’estrazione e la produzione di fonti energetiche non convenzionali sono molto più water intensive di quelle relative al petrolio e gas convenzionali. Sia la tecnica della fratturazione idraulica – nota come fracking – per l’estrazione di shale gas e shale oil, sia le tecniche di perforazione a cielo aperto o in situ per l’estrazione delle sabbie bituminose (tar sand) richiedono un barile di acqua per ogni barile di petrolio o gas prodotto.
Anche l’inserimento di sistemi di cattura e sequestro del carbonio (CCS) - fondamentali nei percorsi di decarbonizzazione che ogni Nazione firmataria dell’Accordo di Parigi si è impegnata ad intraprendere - in una centrale elettrica esistente ha un effetto sul consumo di acqua, in quanto ne richiede una quantità maggiore per il raffreddamento. Secondo alcune stime, l’aumento del consumo idrico per MW di produzione elettrica può arrivare al 90%.
Come anticipato, non è solo la produzione di energia ad avere bisogno di acqua. È vero anche il contrario. La dissalazione dell’acqua e il pompaggio delle forniture di acqua potabile su lunghe distanze possono contribuire a ridurre problemi di scarsità idrica, ma la loro attuazione implica un maggior consumo di energia. La dissalazione dell’acqua di mare è molto più energy intensive rispetto alla produzione di acqua potabile dalle acque di superficie e dalle acque reflue. Inoltre, le due più comuni tecniche di dissalazione hanno entrambe una elevata, benché differente, impronta idrica. Se gli impianti ad osmosi inversa consumano 4-56 kWh per dissalare un metro cubo di acqua trattata, quelli flash a stadi multipli arrivano fino a 21-58 kWh al metro cubo.
Stante questa evidente interdipendenza, sulla quale si potrebbe argomentare a lungo ed in modo più esteso, il settore energetico dovrebbe puntare ad un consumo più efficiente di acqua così come la produzione e la distribuzione della risorsa idrica dovrebbero far perno su un uso più efficiente di energia. Nel primo caso, alcune soluzioni possono essere: un maggior ricorso alla generazione elettrica da rinnovabili o da fonte geotermica che presenta un limitato consumo di acqua; lo sviluppo di serbatoi multi-uso in ambito idroelettrico tali da rendere più efficiente il consumo di acqua rispetto alle dighe tradizionali dedicate alla sola generazione elettrica; la riduzione della domanda di acqua potabile nella produzione di energia utilizzando acque marginali, come i bacini salmastri, o attraverso la coproduzione di acqua durante l’estrazione di petrolio e gas trattando l’acqua in eccesso con la fitodepurazione. Nel secondo caso, si può optare per l’impiego di energie rinnovabili in luogo di quelle fossili per la dissalazione, ad esempio il solare fotovoltaico; aumentare l’uso di impianti di cogenerazione, per la produzione congiunta di acqua dissalata e calore o elettricità; dissalare acque salmastri invece di quelle di mare, a maggior consumo di energia; utilizzare il materiale di scarto come risorsa in sistemi multi-uso, come il recupero dell’energia dalle acque reflue o la produzione di metano dalla digestione anaerobica.
Il nesso acqua-energia è fondamentale in ogni strategia di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Acqua-energia e clima dovrebbero pertanto costituire i tre pilastri in ogni decisione di politica energetica e climatica.