Secondo i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, nel 2017 il numero di persone che non hanno accesso all’elettricità nel mondo è sceso per la prima volta nella storia sotto ad 1 miliardo. Tra il 2016 e il 2017, in particolare, 97 milioni di persone hanno ottenuto l’accesso all’energia elettrica. Un dato che, tuttavia, la stessa AIE definisce impari, dal momento che tre quarti di questi nuovi cittadini energetici si trovano in Asia ed un simile risultato è fortemente dovuto al piano di elettrificazione dei villaggi rurali realizzato dal governo indiano. Non è quindi errato affermare che ormai la povertà energetica intesa come accesso all’elettricità e accesso a risorse per la cottura dei cibi che non siano dannose per la salute sia sempre più una questione legata al continente africano. Per comprendere meglio l’entità del problema, le questioni che frenano lo sviluppo energetico dell’Africa e le possibili soluzioni all’orizzonte ci siamo fatti aiutare dal Professor Romano Prodi, che dal 2008 coordina la Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli e presiede il Gruppo di lavoro ONU sulle missioni di peacekeeping in Africa. Nell'ottobre 2012 è stato anche nominato Inviato Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per il Sahel.

Professore, a guardare i dati dell’AIE, la questione africana sembrerebbe drammatica. Qual è la situazione, quali sono le diverse cause di questo fenomeno, vi sono iniziative volte a contrastare la povertà energetica in Africa?

Inutile girarci intorno: il continente africano, per quanto cresca velocemente, viaggia ancora a livelli bassissimi di sviluppo. E, aldilà dei grafici dell’AIE, che sono di per sé molto esplicativi, basterebbe osservare le famose immagini dai satelliti per capire quanto l’Africa sia di gran lunga l’area più buia del pianeta. Come porre rimedio a questa piaga e con quali fonti energetiche è il problema politico a cui dobbiamo trovare soluzione. Un’arma è senza dubbio la crescita economica, ma occorre fare qualche precisazione. Tra il 2000 e il 2017 l’economia africana è salita ad un ritmo del 4,4%, ben al di sopra di quello globale (3,6%). Tuttavia, quando si parla di economia africana, bisogna sempre considerare che si tratta di un continente ad alta crescita demografica – la popolazione aumenta ad un ritmo del 2,6% annuo rispetto all’1,2% su scala globale - per cui se si guarda alla crescita pro-capite siamo ancora ben al di sotto della media mondiale. Il PIL pro-capite dell’Africa è di soli 6.000 dollari l’anno, anche se con enormi differenze tra i diversi paesi del continente. Nel 2017, ad esempio, si andava dai 700 dollari della Repubblica Centrafricana ai quasi 35.000 dollari della Guinea Equatoriale (Fonte: CIA World Factbook). Ma il quadro non ha solo tinte fosche: la crescita dell’economia africana ha degli aspetti promettenti per il futuro grazie alla presenza di enormi risorse naturali e a paesi che stanno intraprendendo i primi passi in termini di sviluppo industriale. Tra questi c’è sicuramente l’Etiopia che sta vivendo un momento simile a quello che ha attraversato l’Italia alcuni decenni fa. Elementi di speranza, quindi, ci sono, ma bisogna fare i conti con i fenomeni demografici e sociali, in particolare con l’inurbamento, che cresce a ritmi elevatissimi e che potrebbe portare la richiesta di energia nei contesti urbani a livelli difficili da gestire.  

Sempre secondo l’AIE, la globalizzazione ha migliorato le condizioni globali di accesso all’energia e parte del merito va alla generazione distribuita e allo sviluppo delle rinnovabili, soprattutto nei villaggi. L’India, ad esempio, ha raggiunto la quasi completa elettrificazione con un mix di fonti tradizionali e rinnovabili e con investimenti in telecomunicazioni. Pensa che sia un successo replicabile anche in Africa?

Sono convinto che, nei contesti rurali con consumi limitati, i sistemi di energia decentrata - tipicamente solare - saranno la soluzione del futuro. Uno scenario reso possibile già ora grazie al graduale abbattimento dei costi tecnologici del fotovoltaico. In Marocco, ad esempio, sono riusciti ad elettrificare l’intero territorio nazionale senza tralasciare le zone rurali, le quali sono passate dall’avere un tasso di elettrificazione del 18% nel 1990 al 100% di oggi. Tuttavia, come ha affermato la Banca Africana dello Sviluppo, sono pochi i Paesi che come il Marocco hanno raggiunto traguardi ragguardevoli in Africa nel campo delle rinnovabili. E ci sono ancora paesi come la Liberia, il Chad, il Sud Sudan o la Repubblica Centraficana la cui popolazione che non ha accesso all’elettricità supera il 90%, nonostante le condizioni ambientali permetterebbero lo sviluppo del fotovoltaico e di altre fonti rinnovabili decentrate. Il successo del Marocco, con il suo imponente piano di elettrificazione, è replicabile, ma bisogna considerare che questo paese ha un reddito pro-capite più elevato rispetto alla media africana. Portare l’esperienza del Marocco in altri paesi potrà avvenire solo in coerenza con lo sviluppo del tessuto economico locale.

La povertà energetica africana non si può risolvere per via endogena ma attraverso tecnologie, investimenti e la cooperazione internazionale, quindi la politica. Sotto questo profilo il mondo occidentale ha grandi responsabilità. Qual è il suo pensiero in tal senso?

L’Africa è carente in termini di infrastrutture per il trasporto dell’energia. Senza di esse non è pensabile alcuno sviluppo – né industriale né sociale - del Continente. C’è bisogno di enormi investimenti e certamente l’Occidente ha il dovere di impegnarsi in un grande piano di interventi infrastrutturali. Nell’ambito di una maggiore cooperazione internazionale, ritengo auspicabile una maggior collaborazione tra Cina ed Europa, le principali potenze presenti in Africa, le quali hanno le risorse e le competenze per contribuire a migliorare l’attuale situazione energetica. Un ambito importante nel quale si dovrebbe investire, sono le infrastrutture di collegamento tra i paesi africani, dato che l’autonomia e l’indipendenza energetica è difficilmente pensabile in molte di queste realtà. Una rete più ampia e connessa significa energia più accessibile, economica e sicura. Del resto non è un caso che anche l’Unione europea stia investendo da anni nella cosiddetta Energy Union e nelle connessioni tra i diversi stati membri. Ecco quindi che un’altra grande questione da affrontare è lo sviluppo delle dorsali energetiche regionali che servono a dare impulso alle esportazioni e a sviluppare una rete energetica panafricana.

La lasciamo con la domanda più difficile: si può risolvere la povertà energetica in un continente come l’Africa senza contare sulle fonti fossili? Termini come “transizione energetica” e “lotta ai cambiamenti climatici” non sono paradossali per un’area del mondo che subisce e sopporta i cambiamenti climatici generati dai paesi ricchi?

Questo è senza dubbio il nodo più intricato dell’intera faccenda, ma provo a rispondere senza troppi giri di parole: è difficile immaginare di risolvere i problemi energetici dell’Africa senza le fonti fossili, specie se si considerano le riserve presenti nel sottosuolo e sotto i mari in un gran numero di Paesi africani. La dimostrazione più lampante viene dall’Egitto e dal Mozambico, che hanno potuto avviare una nuova fase di sviluppo grazie alle scoperte di gas naturale degli ultimi anni. E questo non deve stupire. Del resto tutte le grandi potenze economiche internazionali sono partite sfruttando le risorse energetiche disponibili entro i confini nazionali: la Germania, l’Australia e la Cina con il carbone, la Russia e l’Iran con il gas; i Paesi del Medio Oriente e, recentemente, gli Stati Uniti, con il petrolio. Al contrario, non è pensabile in questa fase l’uso di piccole unità produttive rinnovabili come soluzione definitiva per tutto il continente. Specialmente per i grandi agglomerati urbani, a differenza dei contesti rurali, le fonti fossili sono imprescindibili per migliorare l’approvvigionamento energetico africano e fare leva sullo sviluppo industriale del continente.

Mi auguro, e dovremmo fare tutto il possibile affinché ciò avvenga, che questa necessità legata al consumo di combustibili fossili sia solo transitoria, e che la transizione non sia troppo lunga.