L’obiettivo, molto sfidante, assunto dal Piano Nazionale Energia e Clima (PNEC) - riduzione a 103,8 Mtep dei consumi finali nel 2030 - consente di innalzare di due punti rispetto all’ultima SEN (dal 28 al 30%) la loro quota coperta da fonti rinnovabili, conservando la produzione, sia elettrica che termica, e il contributo delle FER alla mobilità sostenibile sostanzialmente uguali a quelli indicati dalla SEN.
Il contributo della produzione rinnovabile elettrica passa infatti dal 55% della SEN al 55,4%, obiettivo inferiore a quello suggerito dalla “thumb rule”: una regola empirica, confermata (anche in Italia) dagli andamenti reali, secondo cui la percentuale per la quota elettrica è quasi doppia di quella complessiva. Non a caso, al 28% totale della SEN corrispondeva il 55% per l’apporto delle rinnovabili elettriche, per cui nel PNEC l’obiettivo più probabile dovrebbe essere del 59%.
La riduzione di quasi quattro punti è stata resa possibile replicando quanto è avvenuto nel 2010 col Piano Nazionale sulle Energie Rinnovabili, che al 17% complessivo per il 2030 associò 26,39% per la quota elettrica, mentre a consuntivo questa è salita intorno al 33% (come volevasi dimostrare).
Allora come adesso, la sottostima è stata compensata da un incremento del contributo della produzione termica che, sulla base dei risultati dal 2010 a oggi, si è rivelato clamorosamente irrealistico. Come è noto, a salvare capre e cavoli è stata la correzione di un grosso errore statistico da parte dell’ISTAT, che in una successiva indagine sui consumi energetici delle famiglie ha infatti rivalutato enormemente, rispetto alle stime precedenti, la quantità di biomassa bruciata per produrre calore nel 2010, risultata addirittura del 35% superiore all’obiettivo prefissato per il 2020 sulla base delle stime precedenti.
Proprio l’esperienza pregressa suggerisce che anche l’incremento previsto al 2030 per la produzione termica (+31%) sia sovrastimato, tenuto conto che tra il 2010 e il 2017 è cresciuta pochissimo (+5,7%), in pratica solo per il contributo delle pompe di calore, che anche tra il 2017 e il 2030 dovrebbero coprire l’84% della crescita.
Il più sfidante, tuttavia, è l’obiettivo per il trasporto assunto dal PNEC, dove l’apporto delle FER ai consumi del settore, tenuto conto dei fattori moltiplicativi indicati dalla RED II, dovrebbe passare dal 5,5% al 21,6%. Stupisce pertanto che vi contribuiscano 4,4 milioni di auto ibride e soltanto 1,6 milioni di auto elettriche pure (27% del totale), quando le proiezioni nazionali e internazionali prevedono sistematicamente una percentuale di vetture elettriche pure superiore al 50%. Proiezioni che si basano su una considerazione ovvia: non appena le auto full electric diventeranno competitive (presumibilmente tra il 2023 e il 2025), le ibride plug-in – più costose – non le acquisterà più nessuno.
Il PNEC conferma che per il settore elettrico la potenza addizionale richiesta verrà sostanzialmente fornita dall’eolico che, anche grazie al revamping e al repowering degli impianti esistenti, crescerà dell’88% rispetto al 2017, ma soprattutto dal fotovoltaico, la cui potenza nel 2030 crescerà di due volte e mezzo; incremento probabilmente destinato ad aumentare a circa tre volte, per attivare a coprire con produzione rinnovabile il 59% di quella elettrica.
A ogni modo, va tenuto conto che dieci anni fa gli incentivi generosi per il fotovoltaico hanno attirato soggetti improvvisati (sia sul lato offerta, sia sul lato domanda) e diverse installazioni sono state completate in fretta per evitarne l’entrata in funzione l’anno successivo con incentivi decurtati, riducendo quindi la qualità media degli impianti, con un conseguente degrado annuo della loro efficienza maggiore (più del 2%) di quello meramente fisiologico.
Poiché nel 2009-2013 è stato installato il 90% della capacità fotovoltaica esistente a fine 2017, un simile degrado provocherebbe nel 2030 una perdita di potenza degli impianti realizzati in quel periodo variabile tra il 30% e poco più del 40%. Verso la fine del prossimo decennio saranno però tutti giunti a fine periodo di incentivazione (o ad esso molto prossimi), per cui diventerà conveniente sostituire i moduli installati con altri aventi efficienza significativamente superiore. Sarà dunque necessario un revamping/repowering del fotovoltaico ancora più impegnativo di quello previsto dal PNEC per l’eolico.
Molta attenzione è dedicata dal PNEC all’autoconsumo, ma non si fa alcun cenno all’opportunità di riformare la recente modifica della struttura tariffaria, che rende meno conveniente l’installazione di impianti fotovoltaici, cioè della tecnologia cui viene assegnato il maggior contributo al raggiungimento degli obietti della produzione elettrica rinnovabile.
Sempre per incrementare l’autoconsumo, il PNEC prevede la progressiva e graduale estensione dell'obbligo di quota minima di fonti rinnovabili anche agli edifici esistenti, a partire da alcune categorie, come i capannoni adibiti ad attività produttive e gli edifici del terziario, ma non vengono fornite indicazioni sull’entità e sulla tempistica dell’obbligo.
Considerazioni analoghe valgono per l’implementazione della procedura per consentire agli operatori di mercato di presentare offerte fino a un'ora prima della chiusura del mercato, attraverso la cosiddetta “negoziazione continua”. Si tratta di modifiche che agevolano le negoziazioni in prossimità del tempo reale, riducendo i rischi di sbilanciamento delle posizioni degli operatori e promuovendo la maggiore partecipazione al mercato degli operatori FER che per effetto della non programmabilità degli impianti sono maggiormente soggetti a tale rischio. È una misura che, oltre tutto senza oneri aggiuntivi, favorisce la realizzazione di nuovi impianti FER e che in Italia arriverà comunque con grave ritardo rispetto ad altri paesi europei. Visti gli obiettivi al 2030 per eolico e fotovoltaico, l’indicazione, nella stesura finale del PNEC, di una scadenza per l’attuazione della misura, sarebbe altrettanto essenziale della misura stessa.