La transizione energetica tedesca - “Energiewende” - è internazionalmente riconosciuta come uno sforzo rivoluzionario per avviare una trasformazione low-carbon in una delle principali economie industrializzate. In Germania, la crescita della capacità rinnovabile è stata significativa, con una quota di FER nel mix elettrico che ha raggiunto, nei primi sei mesi del 2018, oltre il 40%. Tuttavia, l’energia rinnovabile ha in gran parte sostituito quella nucleare, il cui phase out completo è atteso entro il 2023. Non ha invece contribuito a sostituire la produzione a carbone, le cui emissioni rimangono particolarmente elevate. Al momento, una Commissione governativa creata ad hoc sta discutendo un piano di uscita dal carbone (estrazione mineraria, generazione elettrica e riscaldamento) e la definizione di una data precisa entro cui implementarlo. Per la Germania, è praticamente impossibile raggiungere i suoi obiettivi climatici se i risultati che emergeranno dalle valutazioni della Commissione non saranno in linea con i “budget” di carbonio fissati dall'Accordo sul Clima di Parigi. E senza un serio impegno a livello nazionale, il ruolo di leader climatico che la Germania ha assunto verrà meno.
Attualmente, la Germania è di gran lunga il paese europeo con il più alto livello di emissioni da carbone. Il governo ha già rinunciato a conformarsi all’obiettivo climatico del 2020 e, allo stato attuale, non esiste una strategia effettiva per raggiungere il target al 2030, rendendo verosimile l’ipotesi di un nuovo fallimento. Ad oggi il settore energetico emette 319 milioni di tonnellate di CO2 all’anno: per rispettare il target di riduzione delle emissioni definito per questo comparto – e in modo non vincolante – dal Climate Action Plan elaborato dal governo nel 2016, le emissioni al 2030 dovrebbero attestarsi a 170 milioni di tonnellate. Si tratta di obiettivi che saranno probabilmente integrati in una Legge sul clima che dovrebbe essere predisposta e ratificata nel 2019. Con oltre 240 TWh prodotti, il carbone (lignite e antracite) contribuisce ancora al 37% della produzione lorda di energia elettrica del paese e al 22% del consumo primario di energia.
L’estrazione di antracite dovrebbe cessare entro il 2018 e il suo consumo è già compromesso dall’aumento dei prezzi dei permessi di emissione regolati dallo schema ETS in ambito UE, che al 31 agosto hanno superato la soglia dei 21 euro/ton. Al contrario, il phase out dalla lignite è percepito come politicamente, economicamente e socialmente difficile, dal momento che alcune aree del paese dipendono in misura massiccia dall’estrazione e dalla combustione di questa fonte fossile, peraltro considerata rappresentativa delle identità culturali locali. Ad ottobre 2018, la Commissione creata ad hoc dovrebbe rendere note le misure da intraprendere per attuare la transizione economica e sociale, mentre i primi risultati in materia di politiche climatiche si attendono per inizio dicembre, in concomitanza con l’avvio della COP24 a Katowice. Il report finale è previsto entro fine anno, indice che la Commissione sta lavorando sulla base di scadenze molto stringenti tanto che alcuni membri della stessa hanno espresso dubbi sul fatto di riuscire a rispettarle. Le 28 persone che la compongono sono rappresentanti del governo, dell’industria, dei sindacati, del mondo accademico, delle regioni e della società civile e sono guidati da ex politici afferenti alle tre regioni del paese maggiormente interessate dal phase out e da un’economista esperta di clima. Questi forum multi-stakeholder sono un modo ormai consolidato con cui affrontare le sfide di una certa rilevanza sociale in un sistema politico orientato al consenso come quello tedesco; in passato sono stati utilizzati, ad esempio, per guidare la graduale uscita dal settore nucleare.
L’accordo di coalizione del governo tedesco prevede già che 1,5 miliardi di euro vengano destinati al cambiamento strutturale e alla transizione verso un’economia low-carbon che interesseranno le regioni carbonifere del paese, aree in cui la transizione è una questione altamente politicizzata. È per questo motivo che il futuro di queste zone - e soprattutto della regione orientale della Lusazia, particolarmente debole sotto il profilo economico - domina il dibattito sul phase out dal carbone. In Germania le transizioni economiche e sociali non sono mai state semplici: negli anni 1990, dopo la riunificazione del paese, nel solo settore della lignite della Germania orientale sono stati persi oltre 100.000 posti di lavoro, durante quello che è stato considerato un cambiamento strutturale di vastissima portata. I rimanenti lavoratori – circa 20.000 - direttamente impiegati nel settore carbonifero sono altamente sindacalizzati e politicamente forti: esercitano quindi una significativa pressione politica per estendere più a lungo possibile l’utilizzo di questa fonte. Inoltre, molti politici temono che, nelle regioni interessate, l'eliminazione del carbone rafforzerebbe ulteriormente il populismo e aumenterebbe il sostegno per il partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD). Pertanto, le comunità interessate si aspettano chiare tabelle di marcia affinché si possano creare prospettive realistiche per garantire posti di lavoro adeguatamente retribuiti e un buon stile di vita. È quindi necessario che il piano di eliminazione del carbone integri sia i requisiti per una Transizione Giusta (secondo l’approccio Just Transition) per i lavoratori e le regioni interessate sia gli impegni climatici della Germania.
Tuttavia, la composizione della Commissione ad hoc sul carbone fa presupporre un phase out definitivo solo verso la fine del decennio 2030 o addirittura nel decennio 2040, il che sarebbe incompatibile con l'Accordo sul clima di Parigi che impone alla Germania di eliminare una parte significativa della sua capacità di generazione da carbone entro il 2030. Esistono, però, altri fattori che potrebbero accelerare il processo di uscita dal settore, quali: l'aumento dei prezzi dei permessi di emissione; le decisioni sempre più frequenti dei grandi investitori, delle compagnie assicurative e degli attori dell'economia reale più propensi ad investire in progetti più sostenibili sotto il profilo ambientale; i costi dei contenziosi; standard europei più severi in materia di inquinamento delle centrali a carbone. Allo stesso tempo, l'industria tedesca delle energie rinnovabili ha già superato di gran lunga quella del carbone: impiega 330.000 persone e ha un peso sul PIL di 17 miliardi di euro che si confronta con i 4,2 miliardi generati dalle attività carbonifere. Tuttavia, occorre sottolineare come il comparto non stia ancora giocando un ruolo chiave nel dibattito sui cambiamenti strutturali ed attualmente soffre una politica governativa che ne sta rallentando la crescita.
Considerati congiuntamente, gli sviluppi delineati stanno minando la credibilità del ruolo della Germania di leader della transizione energetica: le sue capacità di crescita e di innovazione nei settori low-carbon sono ormai inferiori a quelle di altri paesi e la politica adottata sul carbone la isola rispetto a importanti partner internazionali come Italia, UK, Canada e Francia che sono membri attivi della Powering Past Coal Alliance. In sostanza, il paese fatica a conseguire i target concordati di riduzione delle emissioni. Pertanto, il phase out dal carbone è una questione di fondamentale importanza non solo a livello nazionale ma anche internazionale.
Sul primo fronte, è cruciale per la Germania rispettare i suoi obiettivi climatici e orientarsi verso un’economia low-carbon che garantisca buoni posti di lavoro e adeguate prospettive alle regioni interessante dalla politica di phase out. Sul piano internazionale, una politica di uscita dal settore carbonifero ben strutturata potrebbe permettere alla Germania di essere un modello da seguire, dimostrando come una ben pianificata trasformazione industriale sempre più basata su settori low-carbon – in linea con quanto previsto dall’Accordo di Parigi – possa essere gestita anche da un grande paese OCSE con un nucleo industriale strutturato.
Alexander Reitzenstein is a Policy Advisor at Berlin-based think-tank E3G. Felix Heilmann is a Research Assistant at E3G and President of the Oxford Climate Society.
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