Se è semplice prevedere che nel futuro, con l’aumentare della popolazione mondiale e conseguentemente del fabbisogno di energia, cresceranno anche i consumi di petrolio, è meno facile capire in che modo e dove si distribuirà questo aumento della domanda petrolifera. Un esercizio comunque indispensabile per una gestione responsabile del comparto industriale della raffinazione, che è stato fin dal dopoguerra, ed è tuttora, trainante per la crescita economica europea e italiana.

Stando alle più accreditate previsioni internazionali, quelle elaborate dall’International Energy Agency, dai 95,4 milioni di barili al giorno consumati nel 2016, la domanda mondiale di petrolio arriverà a sfondare quota cento milioni di barili al giorno già nel secondo trimestre 2019 per poi superare i 110 milioni di barili al giorno entro il 2040.

Questo aumento, però, non si distribuirà in modo omogeneo nel mondo, anzi. Nelle regioni Ocse, tra cui c’è l’Europa, la domanda subirà un ridimensionamento nel lungo termine, stimato in circa 9 milioni di barili al giorno, che verrà tuttavia più che compensato dal forte aumento dei consumi nei paesi non Ocse, quelli che un tempo erano definiti paesi in via di sviluppo.

In questi ultimi, trainati da India e Cina, la domanda petrolifera sfiorerà un aumento di 25 milioni di barili al giorno grazie all’espansione della classe media, alla forte crescita demografica e al boom economico. E questo nonostante gli sforzi che si faranno per contrastare il cambiamento climatico, da un lato, e la sempre maggiore efficienza energetica di motori e impianti industriali, dall’altro.

Tra il 2035 e il 2040, la crescita della domanda mondiale di petrolio dovrebbe rallentare a 0,3 milioni di barili al giorno, ma più per il minor incremento demografico e per un’inversione del ciclo economico che per gli sforzi di politica internazionale necessari a raggiungere gli obiettivi internazionali affermati negli accordi di Parigi, quelli cioè volti al contenimento dei consumi di fonti fossili per la salute del Pianeta.

Nel lungo termine, più della metà dell’incremento atteso su scala globale sarà guidato dai prodotti leggeri, cioè benzina, nafta e Gpl, i cui consumi al 2040 cresceranno rispettivamente di 3,3, 2,3 e 2,9 milioni di barili al giorno. Al contempo, i consumi mondiali di distillati medi aumenteranno di 6,8 milioni di barili al giorno, di cui 4,1 milioni imputabili al diesel e al gasolio, 2,7 milioni al jet fuel e al cherosene. Sarà il jet fuel il prodotto con i consumi che avranno un tasso di crescita maggiore nei prossimi anni, perché si viaggerà sempre di più in aereo. Cresceranno – anche se di poco – persino i consumi di prodotti pesanti (+0,5 milioni di barili al giorno), tra cui c’è l’olio combustibile (0,2 milioni di barili in più). Su queste previsioni pesa l’incognita “bunker”: dal 2020 le navi non potranno più usare olio combustibile con un contenuto di zolfo superiore al 5% per rispettare le nuove specifiche IMO. Ciò significa che il mercato dovrà assestarsi su altri equilibri e, perlomeno in una fase iniziale, potrebbe esserci un corto di gasolio e un surplus di olio combustibile su scala mondiale.

I consumi per i trasporti su strada aumenteranno di 5,4 milioni tra il 2016 e il 2040, ma non ci sarà crescita nei paesi Ocse, dove al contrario diminuiranno di 7 milioni di barili al giorno. Nei paesi non Ocse invece i consumi di carburanti per veicoli aumenteranno di circa 12 milioni al giorno, così come raddoppierà il parco auto circolante, anche per quanto riguarda i veicoli commerciali.

Come sta rispondendo l’industria della raffinazione a questo scenario in profonda evoluzione? A livello mondiale si sta assistendo a una forte e continua crescita della capacità di raffinazione in Medio Oriente e in Asia, luoghi dove la domanda sta tirando di più. Mentre al contrario, dopo un periodo di forte crisi, le lavorazioni nel vecchio continente sono diminuite: alcuni impianti in Europa e in Italia hanno cessato le attività e sono stati riconvertiti in depositi o bioraffinerie.

Quello che emerge da questo quadro è che l’Europa e l’Italia stanno di fatto lentamente rinunciando alla loro storica e strategica leadership sulla raffinazione a vantaggio di paesi dove sicuramente i consumi oil cresceranno di più, ma dove al contempo i vincoli dettati dalle normative ambientali sono e saranno meno stringenti. Oltre quindi ai danni per l’economia e l’occupazione del Vecchio Continente, se le raffinerie europee continueranno a cedere il passo a quelle asiatiche si rischia di vanificare gran parte dei progressi fatti a tutela dell’ambiente, tecnologici e regolatori. Un vero e proprio paradosso, che in qualche caso estremo conduce all’importazione dall’est di prodotto di qualità non corrispondente agli standard europei, a prezzi sorprendentemente bassi, che giunge nei porti italiani per vie talvolta opache.