Nel recente discorso tenuto a La Sorbonne, Macron non soltanto ha specificato gli obiettivi che un bilancio europeo deve perseguire: “ridurre le divergenze e sviluppare i nostri beni comuni: la sicurezza, la protezione rispetto ai fenomeni migratori, la transizione al digitale, la transizione ecologica, una vera politica di sviluppo e di partenariato e, innanzitutto, la moneta”, ma ha altresì rilanciato con forza l’idea che la produzione di questi beni comuni debba essere finanziata. E a questo proposito ha specificato che “le imposte europee nel settore digitale o ambientale potranno costituire una vera risorsa europea che finanzi le spese comuni”.
L’elemento più importante che emerge dall’intervento di Macron riguarda certamente il rilancio della carbon tax. La transizione ecologica obbligherà a rivoluzionare il modo di produrre e di consumare nonché a trasformare i trasporti, le abitazioni, le industrie, e questo sarà possibile soltanto se sarà imposto un prezzo sul carbonio al fine di consentire un riorientamento profondo dell’economia. Una carbon tax che fissi un prezzo minimo pari a 25-30 euro (come suggerito da Macron) è in grado di fornire nell’UE27 un gettito che oscilla fra 55,5 e 66,5 miliardi di euro (secondo i dati Eurostat, le emissioni di gas a effetto serra per l’UE-27 nei settori che non rientrano nell’ETS ammontano nel 2016 a 2.216,34 milioni di tCO2); sono esclusi dalla base imponibile i settori già soggetti all’ETS, i cui permessi dovranno progressivamente essere aggiudicati attraverso il meccanismo dell’asta – abolendo le quote assegnate a titolo gratuito – con un gettito addizionale che, secondo le indicazioni del Rapporto Monti, dovrebbe ugualmente essere assegnato alle finanze dell’Unione.
Se il tasso di prelievo salirà poi gradualmente fino a 50 euro, come suggerito dai più importanti scienziati che si occupano di Climate Change, il gettito che può essere destinato al bilancio dell’Europa a 27 raggiungerebbe 111 miliardi di euro, con un’incidenza di circa 0,11 euro per litro di benzina. Il prelievo che verrebbe a gravare sulle emissioni di CO2 prodotte in Italia sarebbe pari al 12,5% del gettito totale e ammonterebbe a 13,8 miliardi di euro per un’aliquota di carbon tax pari a 50 euro per tCO2.
L’introduzione della carbon tax sarà politicamente accettabile se le industrie europee più esposte alla mondializzazione saranno messe in condizioni di parità con le imprese concorrenti, che producono in altre regioni del mondo e non devono subire una tassazione ambientale equivalente. Per questo una tassa compensativa alla frontiera sulle importazioni è indispensabile, se si vogliono evitare problemi di carbon leakages e perdita di competitività per le produzioni europee, in modo tale da rendere effettiva la transizione ecologica, avviando al contempo l’Europa verso un nuovo modello di sviluppo sostenibile.
Con l’introduzione della carbon tax verrebbe finalmente avviata la costruzione di una “appropriata capacità fiscale” – come si esprime il Rapporto dei 5 Presidenti delle istituzioni europee – ovvero di una “capacità fiscale comune”, come proposto in un recente paper del FMI. Le risorse assegnate al bilancio europeo dovranno essere usate per la produzione di beni comuni, ma anche per finanziare un Fondo europeo di stabilizzazione al fine di evitare, come è avvenuto in occasione della recente crisi finanziaria, che i processi di aggiustamento si scarichino sui paesi in difficoltà – come nel caso della Grecia - ma anche sulle classi sociali più deboli attraverso una deflazione interna, una riduzione dei salari e una contrazione dei posti di lavoro, già messi a rischio dai processi di delocalizzazione e dalle innovazioni tecnologiche labour-saving. L’aumento delle dimensioni del bilancio finanziato da nuove risorse proprie renderà ancora più urgente una democratizzazione dell’Unione fiscale, con la nomina di un Ministro dell’Economia e delle Finanze che faccia parte della Commissione e sia responsabile di fronte al Parlamento europeo.
* Professore Emerito di Scienza delle Finanze nell’Università di Pavia, Vice Presidente del Centro Studi sul Federalismo di Torino e Presidente della Fondazione Magni per Ayamé (Costa d’Avorio)