Rispetto al 2016, l’anno che si è appena concluso ha presentato un conto più salato agli acquirenti di energia all’ingrosso. I dati sul mercato del giorno prima mostrano differenziali di prezzo PUN spesso dell’ordine di 10 €/MWh tra il 2017 e il 2016, con una punta di circa 25 €/MWh nel gennaio 2017.
In superficie, l’incremento del PUN nell’ultimo anno è solo uno dei possibili risultati del gioco di domanda e offerta, tra l’impennata di importazioni dalla Francia a partire dalla fine del 2016 e la penuria di energia idroelettrica nel corso dell’anno. A ben vedere, però, la dinamica rialzista del PUN fornisce messaggi di particolare significato a fronte dei germi di revisionismo sulla necessità delle politiche di sostegno alla decarbonizzazione.
Il 2017 si è aperto con la sfida posta dalle conseguenze della sospensione cautelativa di 18 centrali nucleari in Francia, disposta a fine settembre 2016 dall’Autorité de Sureté Nucléaire (ASN) per sospetti di un eccessivo contenuto di carbonio nell’acciaio degli involucri. Come discusso in un precedente numero di RiEnergia, la sospensione del nucleare francese ha trasformato il Paese transalpino in un importatore netto nei confronti dell’Italia. L’improvvisa penuria energetica ha generato una pressione sui prezzi dell’elettricità nelle zone di mercato estere limitrofe, aggiungendosi al consueto incremento stagionale della domanda innescato dal freddo. I dati riferiti al gennaio 2017 mostrano che la pressione al rialzo è stata scaricata principalmente sulla zona Nord, in cui il prezzo medio a gennaio 2017 è prossimo agli 80 €/MWh. Possiamo interpretare questa fiammata nei prezzi della zona Nord come un segnale dato dal mercato agli acquirenti di energia elettrica, nel senso di un contenimento dei consumi. Se è vero che il rischio di un disastro nucleare aumenta con l’intensità di utilizzo degli impianti, un prezzo più elevato consente di ridurre il rischio. Peraltro, il segnale è stato attenuato dalla regola di determinazione del prezzo per gli acquirenti, dato dal PUN, che nel fare la media ponderata dei prezzi zonali diluisce l’influenza dei picchi di prezzo locali sulle scelte di consumo.
Riassorbito lo shock del nucleare francese, il mercato italiano dal febbraio 2017 ha dimostrato un elevato grado di integrazione, con la sola eccezione della Sicilia. Il caso dei prezzi siciliani può ormai essere annoverato tra i misteri dell’economia italiana: le prestazioni del cavo non sembrano aver rispettato le previsioni, nonostante il rodaggio del 2016, e manca una chiara spiegazione. Va notato che l’allineamento tra prezzi siciliani e prezzi della penisola, quando si è verificato, non è stato verso il basso ma ha coinciso con incrementi dei prezzi sulla penisola a gennaio (per le conseguenze del nucleare francese) e verso fine anno (per l’aumento del prezzo del gas).
Il differenziale di prezzo sorprende ancor più se si considera che la quota di energia da fonti rinnovabili in Sicilia sia stata stabilmente maggiore che nelle zone Sud, Centro-Sud e Sardegna, con un picco del 51,3% a maggio e percentuali superiori al 40% per buona parte dell’anno. Qualcosa sembra aver frenato il potenziale delle rinnovabili di spiazzare gli impianti più costosi. Il persistere di un differenziale di prezzo, dunque, allude all’incapacità del cavo di far affluire una sufficiente quantità di energia a costi competitivi, anche a causa dei lavori di manutenzione programmata segnalati dalla newsletter del GME nel mese di ottobre 2017.
La carenza di fonti rinnovabili che sembra aver maggiormente colpito il sistema elettrico italiano è una diretta conseguenza del cambiamento climatico, che nell’inverno 2016/2017 ha comportato una riduzione significativa delle precipitazioni, limitando dunque la possibilità di ricorrere all’energia idroelettrica. Tra l’aprile e l’agosto del 2017, notiamo una tendenza al rialzo nei prezzi zonali medi sulla penisola, da circa 42 a circa 55, trainati dalla caduta nella produzione idrica, che nel consuntivo annuale risulterà essere diminuita di circa il 27% rispetto all’anno precedente (dati GME aggiornati al novembre 2017). Oltre ad aver reso l’energia elettrica più costosa, questa tendenza ha avuto l’indesiderato effetto di aumentare la dipendenza del nostro sistema dalle importazioni di fonti fossili, presumibilmente con una crescita delle emissioni climalteranti: la percentuale di elettricità prodotta da impianti a gas è salita al 56,6% su scala nazionale nel novembre 2017, cui si aggiunge un 10% di carbone. Ciò ha creato le premesse per l’ulteriore aumento dei prezzi nei mesi finali dell’anno, in corrispondenza della crescita del prezzo del gas sui mercati internazionali.
In conclusione, la crescita dei prezzi elettrici in Italia nel 2017 fornisce informazioni di rilievo sulle relazioni tra il cambiamento climatico, il peso delle fonti rinnovabili e il ruolo delle altre fonti. La dinamica di inizio 2017 ci ha ricordato che in un sistema sempre più integrato su scala europea, il prezzo dell’energia elettrica incorpora i rischi derivanti da scelte di politica energetica effettuate dai vicini europei. Lo scollamento dei prezzi siciliani dal resto della penisola indica che una elevata percentuale di energia da fonti rinnovabili è condizione necessaria, ma non sufficiente per calmierare i prezzi all’ingrosso, stanti le limitazioni nella rete di trasmissione e il lento rinnovo del parco di generazione. Infine, la penuria di risorse idriche dimostra che il cambiamento climatico è in grado di manifestare i suoi effetti negativi in maniera immediata, nel momento in cui costringe a fare affidamento alle fonti più costose e - paradossalmente - più inquinanti.