Il lago di Bracciano, ottavo per estensione e sesto per profondità tra i laghi italiani, è dopo il Trasimeno e Bolsena il più grande del centro Italia. E’ una riserva idrica essenziale per gli usi civili e agricoli dei tre comuni rivieraschi (Bracciano, Anguillara e Trevignano) e dei comuni dell’intorno ed è anche la loro risorsa turistica fondamentale. Anche per Acea, la multiutility che fornisce acqua alla Capitale, dal 1990 il lago costituisce una risorsa idrica importante in forza della concessione del Ministro dei Lavori Pubblici che consente di prelevare da 1,1 a 5,0 mc al secondo (da 34 a 154 milioni di mc/anno) vincolata però al mantenimento dello zero idrometrico di 161,74 mt/slm; è il livello fissato dal Genio Civile del Tevere (esecutore del contratto) per garantire l’autodepurazione completa di tutta l’acqua, un processo biologico essenziale per la salute ambientale di un bacino lacustre con poco ricambio idrico. E lo zero idrometrico ci serve per capire perché manca l’acqua a Roma.
È il 28 ottobre del 2008 quando il blog Segnali Verdi pubblica un’analisi dei dati meteo dell’Aeronautica Militare nell’area appenninica che, combinati con la stima del bilancio idrico del lago fatta da Enea nel 2003, segnalano tra il ’70 e il 2002 un’evoluzione climatica molto negativa: temperatura media annua aumentata di un grado e mezzo e diminuzione di 90 millimetri nelle precipitazioni che, assieme al prelievo di più di 36 milioni di mc (25 milioni dal lago da parte di Acea e 11 dalle falde per agricoltura e zootecnia), nell’estate del 2003 fanno scendere il livello sotto lo zero idrometrico e che, nel lungo periodo, spiega anche il progressivo scioglimento dei nevai appenninici con un sempre minore apporto di acqua alle sorgenti del Peschiera-Capore, prima fonte idrica di Roma con più dell’80%. L’allarme di allora però cade nel vuoto fino allo scorso novembre quando un Comitato di cittadini lancia una campagna a difesa del lago sceso ormai stabilmente sotto lo zero idrometrico e, a gennaio, i sindaci dei tre comuni coinvolti presentano un esposto alla Procura di Civitavecchia; qui comincia il braccio di ferro con Acea per interrompere o ridurre il prelievo ma l’azienda rifiuta ogni negoziato minimizzando il rischio ambientale e alla chiamata non rispondono neanche le istituzioni direttamente responsabili di Acea e della tutela ambientale: l’ATO2, il Comune di Roma e la Regione Lazio, tutti e tre assenti e silenti.
La situazione esplode quando quest’estate la prolungata siccità in soli tre mesi da maggio a luglio accelera la discesa del livello da meno 1,3 a 1,6 metri sotto lo zero idrometrico riducendo di oltre il 15% la capacità di autodepurazione e rendendo evidenti i danni per le specie animali e vegetali oltreché del paesaggio naturale. La siccità del 2017 non è dunque un fulmine a ciel sereno ma effetto di un andamento climatico erratico e bizzarro che si manifesta da anni con variazioni improvvise, alternando alluvioni e siccità di estrema intensità e senza più regolarità stagionali; una febbre che richiede prima di tutto una gestione massimamente efficiente e conservativa dell’acqua. Con questo criterio va misurata l’azione di Acea in questa emergenza.
Durante questo lungo periodo di crisi idrica del lago, Acea non ha fatto nulla per aumentare la propria disponibilità di acqua. Lo dice il livello abnorme delle perdite annue che è addirittura aumentato dal 39,4% al 44% tra il 2012 e il 2015 passando da 157 a 176 milioni di mc perduti sui 400 milioni di mc immessi nella rete romana: uno scarto di 19 milioni di mc in soli tre anni è un’enormità a paragone dei 31 milioni di mc prelevati dal lago e come indice di inefficienza operativa. E oltre a diminuire le perdite, Acea, in questo lungo tempo, avrebbe potuto ricorrere ad altre due misure per alzare la disponibilità di acqua: aumentare la capacità degli invasi di raccolta dell’acqua piovana e dei serbatoi di stoccaggio dell’acquedotto per massimizzare la raccolta delle precipitazioni sempre più intense e concentrate; riciclare ad uso prevalentemente agricolo l’acqua depurata. Tre tipi di opere realizzabili in tempi brevi e a costi per mc molte volte più bassi delle opere di captazione di nuove fonti di prelievo, risparmiando cosi le riserve idriche. Acea, invece, ha scelto la via più facile aumentando il prelievo dal lago da 25 a 30-35 milioni di mc per compensare la minore disponibilità del Peschiera e dare acqua ad altri 73 comuni oltre Roma.
È per tutto ciò che, quando il 26 luglio la Regione Lazio ordina la riduzione del prelievo da 34 a 6 milioni di mc/anno a partire da agosto e l’interruzione da settembre, la reazione di Acea - che già il 27 luglio ricorre al Tribunale delle Acque Pubbliche contro l’ordinanza “minacciando” di razionare per un milione e mezzo di romani - appare del tutto ingiustificata e un modo per nascondere le proprie responsabilità. Bocciato il ricorso, il Sindaco di Roma fa da scudo ad Acea presentando un secondo ricorso che viene accolto e dal 14 di agosto autorizza l’azienda a prelevare fino a 12 milioni di mc/anno per un altro anno; a dirla cruda, è sconcertante vedere in 15 giorni una sentenza rovesciata dallo stesso giudice così come constatare che per il Comune di Roma la tutela del proprio bacino elettorale vale assai di più della tutela di un bacino idrico grande ma con un elettorato troppo piccolo.
La morale di questa vicenda è amara. All’origine di tutto c’è l’errore in convenzione nel calcolo del prelievo concesso ad Acea che alla prova dei fatti si è dimostrato eccessivo già al livello minimo; evidentemente chi ha fatto quella valutazione non ha tenuto conto dei dati già allora disponibili da enti pubblici qualificati (CNR, ENEA, ISPRA) che avrebbero sconsigliato un prelievo così elevato.
Al secondo posto ci sono il Comune di Roma, con i poteri di azionista di maggioranza che approva il bilancio e sceglie gli amministratori, e l’ATO2 con tutti i sindaci che approvano i piani di investimento e la proposta tariffaria all’Autorità; ambedue avrebbero dovuto chiedere conto per tempo ad Acea dello squilibrio operativo svelato da questa emergenza e di come è stato speso il generoso aumento tariffario del 57,8% ottenuto tra il 2007 e il 2015, visti i risultati. La Regione è terza in quest’ordine di responsabilità perché ha poteri meno incisivi di controllo sull’azienda e perché nell’emergenza ha agito con prontezza a tutela del lago. Tuttavia una domanda è lecita: in questo lungo tempo, i due dipartimenti che presidiano l’ambiente non si sono accorti della persistente sofferenza ambientale del lago?
Seguono a breve distanza le responsabilità dei Ministeri competenti, anche loro silenti fino a che le conseguenze della siccità per l’agricoltura e per gli usi civili e il caso di Roma e del lago di Bracciano non sono esplosi; l’imprevidenza è purtroppo difetto di amministrazione dell’ambiente in tutt’Italia, altrimenti non si capirebbe il persistente fenomeno del dissesto idrogeologico che ci costa 5 mld. di euro all’anno. Subito dopo vengono gran parte degli acquedotti italiani che meritano lo stesso voto di imprevidenza e di inefficienza; basti pensare che la perdita media negli acquedotti è del 40%, in salita dal 2008 e che solo nel 9% degli acquedotti viene svolta sistematicamente la ricerca perdite mentre solo un altro 14% ha in programma di intervenire; appena un quarto è sulla buona strada ed è veramente poco.
Viene per ultima la responsabilità dell’AEEGSI che, nonostante l’impegno nel mettere ordine nel settore, non è ancora riuscita a elaborare un bilancio idrico, un censimento completo di tutti gli operatori e un inventario analitico degli impianti acquedottistici che giustifichi i loro piani di investimento; lungo la strada ha infatti incontrato enormi difficoltà nella rilevazione dei dati dai gestori e dagli ATO, nel coordinamento con le altre strutture amministrative locali e centrali e nella limitazione del proprio campo di azione agli usi civili che copre solo il 20% del consumo totale lasciando fuori controllo gli usi agricoli e industriali e il comparto delle dighe e degli invasi. L’elaborazione di un quadro informativo completo e sistematico dell’intero perimetro delle attività idriche è il punto chiave nel riordino di questo settore. Vale anche qui la massima einaudiana del “conoscere per deliberare” come presupposto per governare con il bilancio idrico l'uso dell'acqua e per estendere a tutto il settore le buone pratiche di gestione industriale di ancora pochi acquedotti; in questo senso la tariffa è lo stimolo più efficace.
Ultim'ora: Acea riduce la pressione notturna risparmiando l'acqua in rete per averne abbastanza di giorno; la manovra rivela che Bracciano non basta e che Acea non ha alternative.