Con una popolazione di poco superiore ai due milioni di abitanti e un prodotto interno lordo (PIL) che nel 2016 si è attestato attorno ai 165 miliardi di dollari, il Qatar guida la classifica dei paesi a PIL pro-capite (a parità di potere d’acquisto) più alto al mondo. Oltre la metà della ricchezza generata dal paese deriva dalle esportazioni di idrocarburi, gas naturale in primis, sui mercati internazionali. Nel settore del gas, le riserve attestate del Qatar ammontano a circa 25 trilioni di metri cubi, e sono concentrate nel giacimento off-shore North Field: esse rappresentano oltre il 14% delle riserve globali provate e piazzano Doha al terzo posto – dietro Russia e Iran – tra i paesi più ricchi di oro blu al mondo. Sebbene spesso in secondo piano, il paese conta anche un’intensa attività in ambito petrolifero: il Qatar è membro dell’OPEC dal 1961 e produce all’incirca 1,8 milioni barili di greggio al giorno (mil. bbl/g), oltre la metà dei quali (1,04 mil. bbl/g) vengono venduti sui mercati internazionali.
Campione globale dell’LNG
Per sfruttare l’abbondanza di riserve di gas naturale a dispetto di una posizione geografica poco funzionale alle esportazioni via gasdotto – il Qatar è una piccola penisola nel Golfo Persico collegata al territorio dell’Arabia Saudita – negli ultimi decenni il paese ha investito in modo massiccio nel nascente mercato del gas naturale liquefatto (GNL). Dopo il primo carico esportato verso la Spagna nel 1997, a partire dagli ultimi anni del 2000 le strategie di crescita della produzione e di rafforzamento della capacità di liquefazione hanno permesso al paese di aumentare le esportazioni verso i ricchi mercati dell’Asia orientale - Giappone, India, Cina e Corea del Sud - che rimangono tuttora i principali importatori di gas qatarino, con una media aggregata di 55 miliardi di metri cubi annui.
L’espansione della domanda globale di gas e la contemporanea crescita delle esportazioni – il 2012 ha segnato il momento in cui la produzione nazionale di GNL ha superato quella di greggio – hanno favorito l’ingresso di grandi compagnie energetiche internazionali nel mercato dell’Emirato. Compagnie quali ExxonMobil, Total, Shell, ConocoPhillips e Mitsui hanno avviato partnership industriali con Qatargas – compagnia fondata nel 1948, di cui Qatar Petroleum è il maggior shareholder – responsabile dei progetti di estrazione, trattamento ed esportazione del gas a livello nazionale. Oggi, il paese dispone di sette ‘trains’ per l’esportazione di GNL, con una capacità totale di 106 miliardi di metri cubi.
Nonostante i rischi legati ai massici investimenti iniziali nelle tecnologie e nei processi di liquefazione, la scelta di Doha appare oggi quanto mai vincente. Dal punto di vista economico-industriale, il Qatar beneficia infatti di un vantaggio comparato in un mercato in rapida espansione – ma con forti barriere in entrata – come quello GNL. Dal punto di vista politico e geostrategico, l’emirato è riuscito a neutralizzare con successo le implicazioni del crollo del prezzo del petrolio –che hanno contribuito a destabilizzare la regione medio-orientale a partire dal 2014 – e a intraprendere una politica estera svincolata dalle linee guida delle grandi potenze dell’area.
Una regione in subbuglio
Proprio quest’ultimo aspetto, tuttavia, potrebbe trasformarsi in un boomerang per il paese. La politica estera qatarina degli ultimi vent’anni, infatti, ha seguito una linea d’azione – se non completamente avulsa – di certo parzialmente indipendente rispetto ai vicini della penisola arabica e membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e lo stesso Qatar). Ne sono testimonianza i legami politici ed economici tra Doha e attori quanto mai disparati e controversi nella regione, tra cui l’Iran, Israele, Hamas, Hizbollah e Fatah.
L’attuale crisi diplomatica e l’embargo al Qatar – messo in atto dai paesi del Golfo alla luce del sostegno di Doha al terrorismo internazionale, e in particolare ai Fratelli Musulmani – hanno fatto inizialmente temere gravi ripercussioni sulla capacità dell’Emirato di esportare sui mercati internazionali. Nella realtà dei fatti, nessun blocco navale è stato messo in atto nei confronti delle gasiere qatarine e, dopo un’iniziale oscillazione, anche i prezzi globali del gas si sono stabilizzati sui livelli pre-scontro. Da un lato, gli stessi Emirati Arabi, chiaramente schierati a favore dell’embargo ma completamente dipendenti dalle importazioni dal Qatar per assicurare l’illuminazione degli sfarzosi grattacieli di Dubai, hanno necessariamente dovuto promuovere un ridimensionamento dei toni della (potenziale) crisi energetica. Dall’altro, le autorità di Doha sono restie a sospendere qualsiasi tipo di fornitura verso il vicino meridionale, tanto per prevenire un’escalation del conflitto, quanto per mantenere alta la propria reputazione di partner energetico nei confronti di paesi consumatori (principalmente membri OCSE) da sempre sospettosi verso l’uso politico dell’arma energetica.
Restano da appurare le conseguenze di lungo periodo della crisi, che rimane tuttora aperta, in una regione che continua a essere luogo di scontri settari giocati sulla linea di faglia tra Arabia Saudita e Iran. L’indecisione strategica degli Stati Uniti sulla questione, materializzatasi con le prime esternazioni del Presidente Trump prontamente mitigate dal Segretario di Stato Tillerson, non contribuisce di certo a favorire processi di composizione delle fratture createsi.
Le implicazioni per il settore LNG
Attualmente, le risposte dei mercati di fronte alla crisi diplomatica del Golfo sembrano essere abbastanza rassicuranti. Se è vero che il Giappone, maggiore importatore di LNG a livello globale, ha paventato la possibilità di non rinnovare alcuni dei contratti che scadranno nel 2021 – mettendo così a repentaglio introiti per 2,8 miliardi di dollari annui per il Qatar – la mossa potrebbe essere soltanto un pretesto per ottenere condizioni commerciali più favorevoli negli anni a venire.
Certamente, le difficoltà politiche qatarine avrebbero potuto spingere i competitor di Doha, tra cui l’Australia e il Mozambico, con maggiore decisione sul mercato. Ma alla luce di questa eventualità, sono state proprio le autorità energetiche dell’Emirato a rilanciare con veemenza la sfida, quasi non curanti delle criticità strategiche che pendono sul paese: raddoppio della produzione di GNL nei prossimi sette anni, giusto per far capire che il Qatar non ha intenzione di perdere il proprio primato di esportatore a livello globale. Di fronte ad una mossa simile, le stesse esportazioni americane – attorno alle quali, in seguito all’elezione di Trump, sono state alimentate molte aspettative – potrebbero faticare a trovare sbocchi economicamente sostenibili.
Quello che si prospetta, pertanto, è una perdurante e potenzialmente crescente condizione di oversupply nel mercato globale del GNL anche per il prossimo decennio. Con Doha pronta a capitalizzare la sua posizione dominante, a prescindere dalle turbolenze che caratterizzano i complessi rapporti con il suo vicinato.
Nicolò Sartori e Pietro Morabito (Responsabile e Tirocinante presso Energy, Climate & Resources Program IAI, Istituto Affari Internazionali)