L’efficienza energetica degli edifici costituisce una criticità e nello stesso tempo un obiettivo di primaria importanza per tutta la società moderna. Nel concetto di efficienza energetica, infatti, convergono numerose esigenze diverse ma egualmente importanti: il contenimento dei consumi, il risparmio economico connesso ai bassi consumi, un minore utilizzo di fonti fossili non rinnovabili, la riduzione dell’impatto ambientale sia in termini di emissioni inquinanti sia in termini di emissioni climalteranti, e non ultima la spinta verso soluzioni tecnologicamente avanzate e quella rivolta all’utilizzo di fonti rinnovabili.
L’Unione Europea è da anni particolarmente sensibile nei confronti delle problematiche energetiche, e la Direttiva 31 del 2010 (EPBD2) fornisce un chiaro esempio di tale sensibilità già dal primo articolo: “This Directive promotes the improvement of the energy performance of buildings within the Union, taking into account outdoor climatic and local conditions, as well as indoor climate requirements and cost-effectiveness”.
Dalle Direttive Europee sull’efficienza energetica in edilizia (la madre di tutte è la Direttiva 91 del 2002) sono nate leggi nazionali e delibere regionali che oggi regolamentano le attività legate alle nuove costruzioni e alle riqualificazioni energetiche del patrimonio edilizio esistente, ivi comprese le procedure di certificazione energetica. I contenuti essenziali di questa legislazione sono sempre più noti anche per i non tecnici, primi fra tutti i semplici proprietari di abitazioni, e comunque per tutti coloro che pagano bollette per riscaldamento, raffrescamento, energia elettrica, etc. Tuttavia, l’utente generico saprebbe definire il concetto di efficienza energetica in edilizia al di là della semplice uguaglianza “efficienza = spendere poco”?
Proviamo ad entrare un po’ nel dettaglio, individuando le componenti principali di un edificio o di un’abitazione che possono contribuire all’ efficienza energetica.
Partiamo dall’involucro. Istintivamente, 99 persone su 100, pensando alla propria abitazione, diranno che l’involucro edilizio è tanto più efficiente quanto più isolante contengono le pareti perimetrali ed eventualmente la copertura. In altre parole, l’utente medio tende ad associare l’efficienza energetica dell’involucro con la capacità di contenere le dispersioni termiche invernali.
Non è sbagliato, ma è giusto solo a metà: i consumi estivi dove li mettiamo? Se in una nuova costruzione o in una riqualificazione energetica inseriamo 14-16 cm di isolante (es. polistirene, poliuretano, etc.) sul lato esterno delle nostre pareti perimetrali e del nostro solaio di copertura, sicuramente le dispersioni di calore invernali verranno minimizzate. Ma cosa succederà nei mesi estivi, soprattutto nelle estati caldissime di questi ultimi anni? L’isolante è un materiale leggero (per dirla in termini tecnici, ha una bassissima inerzia termica) e quindi non aggiunge nulla di significativo in termini di massa alla nostra parete. Questo significa che in estate le nostre pareti perimetrali e il solaio di copertura assorbiranno molto calore molto rapidamente e l’isolante impedirà loro di smaltirlo verso l’esterno. Risultato: il lato interno di ogni parete trasmetterà verso i locali una grande quantità di calore per irraggiamento (più o meno come avere dei pannelli radianti accesi a massimo regime dietro all’intonaco…) e la sensazione degli occupanti sarà quella di trovarsi ad una temperatura persino superiore a quella esterna. Chi ha un impianto di raffrescamento, in queste condizioni consumerà e spenderà d’estate quello che ha risparmiato d’inverno!
La vera efficienza energetica dell’involucro, pertanto, deve comprendere soluzioni per l’isolamento invernale (tradotto in termini tecnici: trasmittanze nettamente al di sotto del limite normativo, per esempio al di sotto di 0.26 W/m2K per la zona climatica E dello scrivente), ma anche soluzioni atte a minimizzare l’irraggiamento solare estivo (schermi, aggetti, ombreggiamenti, chiusure oscuranti, e soprattutto cool roofs e cool colors ove possibile). Inutile dire che, in tutti i casi, un involucro efficiente dovrà prevedere l’annullamento o la correzione di tutti i ponti termici esistenti nella struttura.
L’involucro, in realtà, comprende anche i serramenti, ossia vetri e infissi. Questi vengono spesso trattati a parte, anche perché è più agevole ed immediato sostituire quelli vecchi piuttosto che intervenire con cappotti sull’intera muratura. È peraltro evidente che una reale efficienza energetica dell’involucro non potrà mai essere raggiunta senza ottimizzare le prestazioni dei serramenti. Ecco quindi che, in linea con quanto detto prima, sarà importante installare serramenti a bassa o bassissima trasmittanza per il contenimento dei consumi invernali, ma non si dovranno dimenticare gli impieghi di pellicole selettive (che lasciano passare la luce nella lunghezza d’onda del visibile ma non il calore nella lunghezza d’onda dell’infrarosso termico) per il contenimento dei consumi estivi.
I serramenti, che al giorno d’oggi hanno raggiunto prestazioni tali da essere diventati più isolanti di una muratura degli anni ’60, rappresentano in realtà una fonte di paradosso per ciò che riguarda le dispersioni termiche da ventilazione. In particolare, sostituire vecchi serramenti obsoleti con nuovi serramenti ad elevate prestazioni termiche comporta l’abbattimento di quei ricambi d’aria naturali che, in passato, erano generati dalla non perfetta tenuta degli infissi (i cosiddetti “spifferi”). Con i nuovi serramenti, i locali saranno sigillati ermeticamente, ma questo vantaggio termico (ecco il paradosso) comporterà un ristagno dell’aria all’interno dei locali, che, in assenza di frequenti aperture delle finestre per arieggiare i locali stessi, genererà fastidiosi fenomeni di formazione di condensa e muffe. È facile dimostrare che la vera efficienza energetica connessa ai serramenti, pertanto, può essere ottenuta solo con la contestuale installazione di sistemi di ventilazione meccanica controllata.
Se l’involucro rappresenta la componente edilizia più importante dal punto di vista dei risultati ottenibili in termini di efficienza energetica complessiva di un fabbricato, è altrettanto vero che gli impianti rappresentano la componente che si collocherebbe al secondo posto per impatto globale sull’efficienza energetica, ma decisamente al primo per tutto ciò che riguarda la praticabilità ed economicità degli interventi. In molti casi (ricordiamo che nell’edilizia italiana il rapporto fra ristrutturazioni e nuove costruzioni è all’incirca di 95% contro 5%), gli interventi a cappotto sull’involucro sono difficili (se non addirittura proibiti da vincoli architettonici e urbanistici), costosi, scomodi e invasivi. Al contempo, sostituire una vecchia caldaia e installare organi di regolazione moderni è un’operazione che può essere condotta in tempi rapidi, non è particolarmente invasiva e può offrire tempi di ritorno dell’investimento molto favorevoli.
In termini di efficienza energetica, un impianto di riscaldamento (e di produzione di acqua calda sanitaria) può essere valutato andando a calcolare il cosiddetto “rendimento globale medio stagionale”, che è il prodotto dei quattro sottosistemi fondamentali dell’impianto stesso: generazione (la caldaia), distribuzione (la rete di tubazioni), emissione (le unità terminali, per esempio radiatori) e regolazione (termostati, valvole, etc.). Per un impianto obsoleto, o quanto meno “anziano”, questo rendimento globale può scendere sotto il 50%, mentre un rendimento globale di impianto nuovo o ristrutturato può superare tranquillamente il 90%. Questo significa che, a parità di fabbisogno determinato dall’involucro, nel primo caso i consumi annuali (e quindi i costi) saranno dati dal rapporto “fabbisogno diviso 0.5”, nel secondo da “fabbisogno diviso 0.9”. Non serve Einstein per capire quanto possa essere redditizia una riqualificazione impiantistica con questi numeri. Una buona riqualificazione energetica di un impianto generalmente consiste in una sostituzione di un generatore obsoleto con una nuova caldaia a condensazione e in una contemporanea installazione di organi di regolazione molto moderni (prevalentemente valvole termostatiche sui radiatori e, possibilmente, cronotermostati).
Qualche numero. In Italia il patrimonio edilizio esistente non riqualificato ha consumi energetici specifici annuali, solo per riscaldamento e acqua calda sanitaria, di circa 180 kWh/(m2anno); un edificio riqualificato sia come involucro sia come impianto può stare abbondantemente sotto i 30 kWh/(m2anno). Questo rapporto 6 a 1 vale ovviamente anche per i costi del combustibile e per le emissioni inquinanti e climalteranti.
Riassumendo, la vera efficienza energetica di un edificio viene identificata da un insieme di fattori: consumi e conseguenti costi (invernali ed estivi), qualità dell’involucro e dei serramenti, rendimenti impiantistici e, perché no, comfort e vivibilità. Costruire un edificio nuovo molto efficiente o riqualificare al meglio un edificio esistente è possibile, doveroso e saggio: è evidente che alle buone intenzioni va associata una progettazione corretta.
Dove si collocano in questo panorama le fonti rinnovabili? In realtà un po’ ovunque. L’acqua calda sanitaria può essere prodotta con pannelli solari termici, i pannelli fotovoltaici possono fornirci energia elettrica “pulita” per tutti gli usi domestici, le pompe di calore possono sostituire le caldaie tradizionali sia per il riscaldamento sia per la produzione di acqua calda sanitaria. Al giorno d’oggi, la sensibilità dei legislatori nei confronti dei problemi ambientali ha portato all’emanazione di leggi e decreti in cui l’installazione di impianti a fonti rinnovabili rappresenta un obbligo, non più una scelta autonoma. La valutazione dell’efficienza energetica complessiva (inclusiva cioè di considerazioni economiche e ambientali) legata al maggiore o minore utilizzo di fonti rinnovabili va però al di là della sintesi in poche righe che qui abbiamo cercato di delineare.