Le energie rinnovabili sono oggi uno dei settori con il maggiore potenziale di investimento. Dopo l’adozione e l’entrata in vigore dell’accordo di Parigi sulla lotta al cambiamento climatico, nel mondo ci sarà bisogno di qualcosa come 1.000 mld. di doll. all’anno di investimenti in infrastrutture energetiche a emissioni zero. Il settore, inoltre, è diventato molto più competitivo, in particolare grazie ai progressi tecnologici su solare ed eolico: il costo di produzione degli impianti fotovoltaici, ad esempio, è calato del 20% all’anno negli ultimi cinque anni, e per il 2020 potrebbe essere inferiore a quello di carbone e gas naturale, secondo le stime del World Economic Forum (WEF).
Attualmente, i soggetti (pubblici e privati) che decidono di investire i loro capitali nel settore delle rinnovabili lo fanno finanziando direttamente la progettazione e realizzazione di nuovi impianti ((asset finance) per la produzione e/o la distribuzione di energia: nel 2015, nel mondo sono stati investiti 199 mld. di doll. in questa forma. Si tratta di investimenti diretti nella creazione di nuove infrastrutture, che presentano tre categorie di rischi, corrispondenti alle tre fasi di sviluppo dei progetti: fase pre-investimento, fase di costruzione e fase operativa. Per la fase pre-investimento, i principali problemi sono legati alla redditività: spesso, sottolinea il WEF nel suo manuale per gli investitori in rinnovabili, “le opportunità di investimento sono sparse, isolate, e i progetti non abbastanza ampi per giustificare i costi di due diligence”. Per questo, alcune istituzioni internazionali lavorano alla creazione di veicoli d'investimento che riuniscano diversi piccoli progetti, come la Climate Aggregation Platform gestita dal Development Program dell’ONU.
Nella fase di costruzione degli impianti i rischi sono numerosi ed eterogenei: dall’approvazione del sito individuato all’ottenimento dei permessi necessari (in particolare quelli legati all’impatto ambientale), dalle complessità di progettazione alle complicazioni nella realizzazione che possono allungare i tempi e far lievitare i costi.
Nella fase operativa, infine, i rischi principali sono legati alla performance nella produzione di energia (output in linea con le previsioni in termini di quantità e regolarità), ai prezzi energetici e alla domanda - le cui oscillazioni possono avere un impatto considerevole sui profitti – e, infine, ai possibili problemi di manutenzione.
A fianco dell’asset finance negli ultimi anni si sta affermando un modo diverso di investire nelle rinnovabili, non industriale ma finanziario: private equity e venture capital, investimento in titoli quotati sui mercati azionari ma anche prodotti ad hoc, come project bond e green bond. Tra il 2007 e il 2016, secondo i dati di Ernst&Young (EY), nel mondo sono stati messi sul mercato 95,615 mld. di doll. di obbligazioni verdi dedicate alle energie rinnovabili, di cui quasi 55 mld. nella sola Europa. La domanda da parte degli investitori, sottolinea lo studio, è elevata, sia a causa di un’offerta ancora limitata, sia per l’aumento degli investitori istituzionali che “hanno mandato esplicito di acquistare green bond da parte dei loro clienti o si sono essi stessi impegnati a sostenere il segmento”. I rischi, però, non mancano, sia sul fronte dei profitti sia su quello della reputazione. In primo luogo, anche per le rinnovabili i rendimenti più elevati arrivano dai prodotti con maggiore volatilità, ovvero oscillazione tra alti e bassi nelle performance: le obbligazioni inserite nel Green bond index di S&P, per esempio, hanno una volatilità ferma al 5%, ma nel 2015 hanno offerto un rendimento di appena l’1,6%, mentre gli investimenti azionari nelle società dell’indice NYSE Global solar and wind dal 2013 in avanti hanno garantito ritorni del 10,3% nel solare e del 17,5% nell’eolico, ma con volatilità superiore al 20% in entrambi i casi.
In materia di reputazione, invece, i rischi sono legati principalmente alla cosiddetta “integrità” dei green bond, ovvero il fatto che vadano davvero a finanziare progetti “verdi” e non siano solo un tentativo di greenwashing. Sul mercato esistono iniziative di certificazione su base volontaria, come la Climate Bond Initative, un'organizzazione no-profit che valuta i progetti finanziati secondo una serie di criteri di ecosostenibilità. Ma, soprattutto, spiega l’esperto di EY Mathew Nelson, “L'investitore deve capire in che cosa sta investendo. Deve imparare a fare le domande giuste, capire quali criteri sono applicati ai bond, e investire preferibilmente in quelli in cui i parametri sono applicati in modo appropriato e sono fornite garanzie indipendenti”.