L’11 aprile scorso si è tenuto a Milano il Sustainability Summit di EY in cui sono stati presentati i risultati dello studio “Seize the Change” che da 8 anni EY elabora per fornire il proprio contributo allo sviluppo della cultura della sostenibilità. In particolare, lo studio intende misurare attraverso una serie di approfondimenti il livello di integrazione della sostenibilità nel business delle aziende fornendo in tal modo elementi per comprendere il cambiamento in atto e condividerlo con le aziende stesse.

Rispetto all’anno precedente, il campione di indagine è stato ulteriormente ampliato, raggiungendo 200 aziende, distribuite, come in passato, su 10 settori industriali e su tre livelli dimensionali, ossia aziende con ricavi inferiori a 150 milioni, aziende con ricavi compresi fra 150 e 500 milioni e aziende con ricavi superiori a 500 milioni.

L’analisi è stata condotta su una serie di “verticali” operativi, analogamente a quanto fatto negli anni precedenti: cambiamento climatico, economia circolare, approvvigionamenti, impatto sociale, finanza sostenibile e rendicontazione, nonché su alcuni aspetti più strategici. Fra questi, il concetto di sostenibilità ha avuto una prima rilevanza, definito come la capacità dell’azienda di coniugare la riduzione dei propri impatti ambientali e/o sociali più significativi con il perseguimento di una crescente profittabilità; affermazione che nell’indagine ha incontrato la condivisione della quasi totalità delle aziende intervistate.

Molto interessante e rilevante è il dato secondo cui il 78% delle aziende redigono un piano di sostenibilità rispetto al 69% registrato lo scorso anno, a dimostrazione di una elevata focalizzazione delle imprese sull’argomento. Questo elemento è stato poi confermato dal fatto che per il 62% delle aziende non si è ridimensionato l’impegno sulle attività previste nel piano di sostenibilità a seguito dell’aumento dell’inflazione e del conseguente aumento dei tassi di interesse. Inoltre, sempre in questa direzione, si è registrato che per l’86% delle aziende la sostenibilità è un fattore di vantaggio competitivo, altro elemento che dimostra il livello di consapevolezza delle imprese sul tema e le ragioni per cui l’attenzione rimane solida a prescindere dalle evoluzioni di scenario macroeconomico.

Per quanto riguarda invece l’approccio al cambiamento climatico, lo studio ha consentito di verificare un aumento del 38% rispetto allo scorso anno delle aziende che hanno definito i propri obiettivi ed impegni relativi alla riduzione delle emissioni. Al contrario, risulta stabile il numero di aziende che hanno fatto un intervento in chiave sostenibile sulla propria catena di fornitura; il valore registrato quest’anno è stato del 66%, rispetto al 70% dello scorso anno.

Per quanto riguarda il ricorso a strumenti di finanza sostenibile, si registra che il 45% delle aziende ha fatto ricorso o intende ricorrere a obbligazioni o altre linee di credito di finanziamento legati a parametri di sostenibilità o ESG.

Significativo è anche il dato inerente al ricorso alla misurazione dell’impatto sociale delle iniziative svolte dalle aziende a supporto delle comunità circostanti; se queste metodologie risultano applicate dal 27% delle aziende del primo gruppo (ricavi inferiori a 150 milioni), la stessa percentuale cresce rispettivamente al 44% e al 55% per le aziende appartenenti alle due classi dimensionali più grandi.

Così come fatto per la prima volta nell’edizione dello studio del 2023, anche quest’anno è stato svolto un approfondimento sulla possibile correlazione tra andamento finanziario delle aziende e loro performance di sostenibilità. L’elemento più interessante in questo caso è dato dal fatto che le aziende con performance di sostenibilità più bassa hanno un trend di indebitamento più elevato. Ciò indica che l’investimento iniziale su questo tema è destinato, sia a livello di indebitamento sia di conseguente performance di sostenibilità, a dare i suoi frutti nel medio periodo. Ovviamente questo tipo di analisi, date le sue specificità, avrà degli spazi di maggiore approfondimento nelle prossime edizioni, quando si disporrà di dati man mano più solidi.

Lo studio è stato fortemente focalizzato su fattori operativi e misurabili raccolti nei mesi scorsi e rendicontati nel report presentati nel corso del Sustainability Summit di EY. Pertanto, lo stesso è stato anche l’occasione per condividere alcuni aspetti di natura più politica e macroeconomica riferibile agli ultimi mesi e normalmente non rendicontati, o quantomeno solo in misura minima, nell’ambito dello studio. In questo senso è stata sottolineata la presenza di fattori discordanti sul tema della sostenibilità, ossia da un lato, la crescita di attenzione verso la stessa, alimentata anche dalla prossima introduzione della normativa obbligatoria sulla rendicontazione (CSRD) che coinvolgerà entro due anni oltre 4.000 aziende rispetto alle circa 200 attuali; dall’altro, invece, si è condiviso un certo raffreddamento e prudenza nelle attività di comunicazione in generale da parte delle aziende, evidenziando una sorta di timore e percezione di rischio di green washing, che le aziende desiderano evitare. In generale, da qualche mese si osserva che, nonostante l’esito positivo dell’ultima conferenza sul clima del dicembre scorso a Dubai, si sta imponendo una sorta di negazionismo climatico strisciante, che sembra riportare su un piano politico la questione climatica che, invece, da almeno un paio di anni appariva definitivamente collocata sul piano corretto, ossia quello scientifico. Senz’altro, l’attuale contesto geopolitico è uno dei fattori che ha contribuito a questa tendenza.

In questo contesto, forti anche degli elementi raccolti nella ricerca, il Sustainability Summit è stato l’occasione per ribadire che un approccio integrato alla sostenibilità può non solo contribuire a quella transizione ecologica da cui non si può più prescindere, ma anche essere un elemento su cui oggi le aziende possono basare la sfida della loro competitività nei prossimi anni.