Ogni anno, a partire dalla prima COP di Berlino nel 1995, il mondo si riunisce per decidere come affrontare la sfida del cambiamento climatico. Alla COP21 di Parigi, nel 2015, per la prima volta, vennero assunti impegni vincolanti per limitare il riscaldamento globale entro la soglia di 1,5°C, superata la quale, secondo la scienza, l’impatto del cambiamento climatico risulterebbe catastrofico.
A otto anni da Parigi e nell’anno più caldo sinora registrato dalla rivoluzione industriale, il mondo si è riunito nuovamente, questa volta a Dubai per la COP numero ventotto, per fare un primo bilancio sull’azione globale intrapresa a partire da quegli accordi.
Nonostante le premesse controverse e le caute aspettative che hanno accompagnato la COP emiratina, quest’ultima si è conclusa con un risultato storico: per la prima volta a livello globale si riconosce la necessità di abbandonare progressivamente l’uso di tutti i combustibili fossili. L’accordo di Dubai stabilisce, inoltre, nuovi impegni per triplicare le rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica e rende operativo il nuovo fondo per le perdite e i danni causati dal cambiamento climatico, con l’annuncio di contributi iniziali che ammontano a circa 700 milioni di dollari.
Il testo finale siglato dalle 198 Parti della Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico (UNFCCC) riconosce l’esigenza di “abbandonare (transition away) l’uso dei combustibili fossili in tutti i sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, per raggiungere la neutralità climatica (net zero) entro il 2050, in linea con la scienza”.
Nonostante la comunità scientifica internazionale affermi da decenni che la causa primaria del cambiamento climatico sia lo sfruttamento dei combustibili fossili, per la prima volta un testo negoziale contiene un riferimento esplicito all’uscita da tutte le fonti fossili, riuscendo a conciliare le posizioni più estreme. La formulazione adottata “transition away” si è imposta come una terza opzione rispetto a posizioni più ambiziose, riunite in una coalizione di oltre 120 stati guidata dall’Unione europea e dall’alleanza dei piccoli Paesi insulari (AOSIS), che premevano per un “phase-out”, ovvero l’eliminazione delle fossili, e quelle più ostili di petrostati come l’Arabia Saudita e altri membri OPEC, che avrebbero evitato qualsiasi riferimento alle fonti fossili o preferito un più modesto “phase-down”, ovvero riduzione graduale. Il testo, seppur di compromesso, lancia un segnale politico inequivocabile sulla necessità di interrompere la dipendenza delle nostre economie dalle fonti fossili. L’obiettivo è pianificare l’uscita a partire da questa decade, stabilendo chiari impegni per triplicare le rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica, puntando sulle tecnologie più impattanti ed economiche, come solare, eolico e batterie, che nell’ultimo decennio sono diventate sempre più disponibili e convenienti “grazie ai progressi tecnologici, alle economie di scala, all’aumento dell’efficienza e alla semplificazione dei processi produttivi”. Il testo inserisce anche un riferimento ad altre tecnologie, come nucleare, cattura e stoccaggio di carbonio, idrogeno e combustibili a zero e basse emissioni, considerate però marginali e secondarie, dati i limiti economici e tecnologici di queste soluzioni rispetto alle altre. Di fatto, la COP28 riconosce che la neutralità tecnologica di per sé non esiste, poiché le tecnologie hanno caratteristiche tecniche, economiche e di impatto sociale molto diverse tra loro.
La COP28 indica un chiaro percorso. Tuttavia, la sua reale attuazione richiede piani nazionali in linea con i nuovi obiettivi e impegni finanziari internazionali in grado di sostenere tali azioni e orientare i mercati e le scelte degli investitori. Infatti, senza una traduzione in impegni finanziari concreti e più ambiziosi i risultati di Dubai non saranno sufficienti. Il Rapporto Stern-Songwe mostra che per raggiungere gli obiettivi di Parigi sono necessari mille miliardi di dollari nel 2025 e 2 mila e 400 miliardi di dollari entro il 2030 (un aumento di quattro volte rispetto ai livelli attuali), con investimenti in energia, politiche sociali e del lavoro, adattamento, compensazioni e assicurazioni per perdite e danni, capitale naturale e agricoltura sostenibile.
La COP28 potrebbe rappresentare uno spartiacque non solo per l’azione climatica futura, ma anche come opportunità per ricostruire la fiducia nella cooperazione e nel multilateralismo e ridisegnare gli equilibri geopolitici del pianeta, oggi particolarmente fragili. Questo sarà possibile solo se i risultati raggiunti a Dubai verranno seguiti da una chiara roadmap di azioni e impegni finanziari internazionali concreti. Sono richiesti sforzi più ambiziosi e rapidi da parte di tutti, ma soprattutto da parte delle economie più avanzate, non solo in virtù del principio di responsabilità storica, ma anche grazie alle capacità di leadership e alle risorse economiche e tecnologiche necessarie.
Oltre alla finanza climatica, la grande questione irrisolta rimane l’adattamento, su cui il mondo verrà chiamato a confrontarsi nuovamente alla COP29 di Baku. L’Azerbaijan eserciterà la presidenza a nome dei Paesi dell’Europa dell’Est e avrà il compito di guidare e indirizzare i negoziati il prossimo novembre. Recentemente il governo azero ha annunciato che affiderà la gestione della COP29 al Ministro dell’Ambiente Mukhtar Babayev. Come il suo predecessore Al-Jaber, Babayev ha alle spalle una lunga carriera nell’azienda petrolifera di stato Socar, senza alcuna esperienza però nel campo della diplomazia climatica. Quella di Dubai è stata la sua prima COP. L’Azerbajan, la cui economia si fonda per ben due terzi sul settore del petrolio e del gas, non si è mai distinto per ambizione o capacità di leadership climatica, lasciando seri dubbi sulla buona riuscita di una COP importante, soprattutto sul fronte della finanza.
Date le premesse sulla presidenza azera, e considerato l’attuale contesto internazionale segnato da profonde divisioni, nuove tensioni e interessi geopolitici divergenti, è necessario che le economie più solide, a partire dal G7, assumano la responsabilità di preservare i risultati raggiunti e rilanciare l’ambizione, soprattutto in materia di finanziamenti per il clima. L’Italia, che con il nuovo anno ha ufficialmente assunto la presidenza del G7, è chiamata a esercitare una leadership internazionale capace di promuovere misure coraggiose in questa direzione.
Gran parte di quel mondo che si è riunito alla COP28 e che viene identificato nel cosiddetto Sud globale, chiede da tempo e a gran voce una riforma dell’architettura finanziaria internazionale e strumenti finanziari innovativi che permettano l’accesso alle risorse necessarie. Riconoscere e farsi portavoce di tali richieste all’interno del consesso G7 permetterebbe al nostro Paese di svolgere un ruolo di cerniera tra Nord e Sud del mondo.
L’Italia, anche alla luce del suo rapporto privilegiato con i paesi del Mediterraneo e dell’Africa, potrebbe ambire ad un ruolo di leadership climatica internazionale significativo. Per farlo, tuttavia, dovrà mostrare credibilità e coraggio partendo da politiche nazionali funzionali al raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Proprio durante la COP, lo scorso 18 dicembre, la Commissione europea ha pubblicato la valutazione complessiva dei Piani Nazionali Integrati Energia e Clima (PNIEC), gli strumenti con cui i Paesi dell’Unione traducono gli impegni nazionali verso l’obiettivo dell’Accordo di Parigi in politiche e azioni concrete. Il Governo italiano aveva inviato a Bruxelles la sua proposta di aggiornamento del Piano lo scorso luglio. Nella valutazione della Commissione, emergono diverse lacune, sia rispetto all’ambizione complessiva, sia sull’attuazione delle politiche, che mettono in dubbio la capacità dell’Italia di portare avanti posizioni climatiche ambiziose. Entro giugno 2024 il Governo dovrà inviare a Bruxelles la versione finale del PNIEC: i prossimi 6 mesi sono quindi decisivi per un aggiornamento che tenga conto della valutazione della Commissione e degli impegni presi alla COP28. Qualche giorno fa abbiamo presentato una proposta in questa direzione.
Con il 2024 appena iniziato, l’Italia ha un’opportunità unica per dimostrare una leadership internazionale credibile e forte, partendo proprio dalla diplomazia climatica, la sfida globale più allarmante che l’umanità tutta sta attraversando.