Sebbene sia perfettamente in linea con le nuove politiche di sostenibilità portate avanti dalla Commissione europea, l’idea di un’espansione del sistema EU ETS a nuovi settori come quello del trasporto marittimo non è un’idea neonata: le basi per la costruzione di nuovi framework normativi erano già state teorizzate oltre un decennio fa. Già nel 2009, infatti, in Europa era stato adottato il ‘Climate and Energy Package’. In tale pacchetto l’UE esortava apertamente a fissare dei target di riduzione delle emissioni non solo l’UNFCCC (United Nations Framework Coalition fon Climate Change) ma anche, nello specifico per il settore marittimo, l’IMO (International Maritime Organization). Vi era però un monito: qualora entro il 31 dicembre 2011 non fosse stato raggiunto un accordo, le redini sarebbero tornate in mano alla Commissione. Questa avrebbe, dunque, proposto il proprio pacchetto per il monitoraggio delle emissioni del settore marittimo, con l’obiettivo di farlo entrare in vigore entro il 2013.
L’IMO non è stata in grado di proporre una soluzione entro la scadenza prestabilita ma, tornata quindi la palla in Commissione, anch’essa non è riuscita a rispettare le sue ambiziose tempistiche ponendo in vigore il primo obbligo relativo alle emissioni del settore marittimo solo nel 2018. Era nata quindi la regolamentazione MRV (Monitoring Reporting Verification). Si tratta di un primo sistema obbligatorio di monitoraggio delle emissioni per le navi sopra le 5.000 Gt che toccano porti europei: questo sarebbe stato un primo passo per la poi successiva e ufficiale inclusione del settore shipping all’interno del sistema EU ETS, le cui bozze di legge hanno iniziato a circolare poi nel 2020. Proprio nel 2020, infatti, abbiamo assistito al primo voto favorevole del Parlamento europeo per l’estensione dell’ETS al marittimo. È poi seguito un processo legislativo lungo e travagliato che sarebbe durato tre anni. Solo alla fine dell’aprile 2023 è stato raggiunto l’ultimo traguardo, ovvero l’approvazione del testo da parte dell’ultimo organo legislativo europeo: il Consiglio. Il testo finale viene pubblicato in Gazzetta a maggio ed entra ufficialmente in vigore i primi giorni di giugno di quest’anno, stabilendo l’inizio degli obblighi ETS per il settore shipping al 1° gennaio 2024. Siamo quindi agli sgoccioli.
In pillole, vengono mantenute alcune delle logiche già proposte nel 2009, ovvero di obbligare alla rendicontazione delle emissioni anche parte dei viaggi extraeuropei (50% delle emissioni relative alle tratte da/per porti europei a/da porti internazionali); così come ne vengono introdotte di nuove, ad esempio il ‘phase-in’ del meccanismo. I nuovi obbligati, infatti, entreranno gradualmente nell’ETS, con degli obblighi al 40% per il primo anno, al 70% per il secondo e al 100% dal terzo in avanti. Come anticipato, l’obbligo cade inizialmente sulle spalle delle navi dalle 5.000 Gt che viaggiano e solamente tra i porti europei e la cui partenza/destinazione si trovi all’interno dei confini UE; ma dal 2026 l’obbligo verrà esteso anche alle navi sopra le 400 Gt. Sono previste alcune eccezioni (piccole isole, continuità territoriale, attracco per solo rifornimento o riparazioni, etc.) e vengono mantenute le stesse penalità degli industriali per la ‘non-compliance’, ovvero la multa di 100 € (indicizzata all’inflazione) per ogni EUA non consegnata all’UE. Per gli armatori, però, vi è un’ulteriore possibile penalità: ordini di espulsione o confische delle navi possono essere sancite per chi risulta inadempiente per più di due anni consecutivi.
Le regole di funzionamento del meccanismo e del calcolo degli obblighi sono forse la parte più semplice da comprendere quando si parla di applicazione alla singola nave; la tematica si complica però quando si affronta l’argomento relativo alla responsabilità. Se per il settore industriale la gestione di un impianto stazionario tendenzialmente rimane in capo ad un unico soggetto per lunghi periodi di tempo, per quanto riguarda il settore marittimo la singola nave passa sotto la responsabilità di soggetti diversi in periodi di tempo molto più ristretti. La molteplicità dei soggetti potenzialmente obbligati è variegata per il settore marittimo: raramente è l’armatore ad operare direttamente la propria nave, bensì questa possa essere data in gestione a ship manager, operatori commerciali, charterer, noleggiatori, etc. . Ognuno di questi diversi soggetti si assume la responsabilità di operare la nave per il periodo di tempo nel quale la utilizza e con responsabilità diverse, prendendo quindi decisioni critiche riguardo le politiche di navigazione, di rifornimento, di marcia, di percorso etc. Queste variabili, ca va sans dire, provocano di conseguenza livelli di emissioni estremamente mutevoli e, conseguentemente, obblighi ETS difficilmente prevedibili.
L’UE, conscia di voler evitare potenziali intoppi legislativi, come quelli incorsi durante la legislazione per il settore aviation, simile in certi frangenti a quello marittimo, ha introdotto regole chiare. È stato stabilito che il soggetto responsabile per l’ETS sarà appunto quello che si è assunto i doveri e le responsabilità di controllo della nave (così come stabilito nell’Annex I del Regolamento (CE) No 336/2006 di Parlamento e Consiglio europei. Questo implica che nei casi di contratto a ‘time chartering’, ovvero la cessione della nave dall’armatore per un determinato periodo di tempo di medio termine, sarà lo stesso charterer a farsi carico delle responsabilità ETS, mentre per i contratti cosiddetti ‘spot’, ovvero noleggi a breve termine anche solo per un singolo viaggio, la responsabilità rimarrà in capo al proprietario della nave o a chi la gestisce (es. ship manager). Qui si apre un mondo ancora molto nebuloso per quanto riguarda la futura contrattualistica tra i diversi attori in gioco. Alcuni standard internazionali come BIMCO suggeriscono, ad esempio, alcune clausole da inserire nei nuovi contratti di time chartering: dovrebbe essere il charterer a completare direttamente le operazioni di hedging sui mercati ETS (e quindi a ottimizzare le coperture facendo le giuste scelte strategiche di acquisto) e poi consegnare le quote direttamente all’armatore con cadenza regolare affinché possa far fronte ai suoi obblighi ETS. Non è ancora chiaro, però, se sarà questo il nuovo standard di mercato: gli attori dello shipping pare siano ancora incerti su quali saranno le future best practice. A supervisionare che tutti gli adempimenti in ambito ETS siano svolti senza intoppi e ad elargire le eventuali sanzioni sarà l’autorità nazionale dello stato in cui l’azienda è localizzata in Europa o, in caso di aziende extraeuropee, lo stato verso il quale viene compiuto il più elevato numero di viaggi.
Certo è che l’aggiunta di questa nuova fetta di mercato al sistema ETS produrrà indubbiamente i propri effetti sulle dinamiche globali di domanda e offerta, già dal breve periodo. Dobbiamo tenere bene a mente che il 2026 è alle porte e che tale anno coincide sia con la fine del periodo di phase-in per lo shipping, con lo speculare phase-out delle allocazioni gratuite agli industriali e con l’introduzione della misura di CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism). Sebbene il cap delle emissioni abbia natura ‘adattiva’ per la fase IV del meccanismo ETS (risulta variabile in base ai dati reali), il settore marittimo rappresenterà una consistente nuova fetta di domanda: tale domanda di permessi, a regime, andrà a rappresentare il 16% di quanto attualmente viene allocato alle industrie già obbligate all’ETS (proiezione effettuata con gli ultimi dati MRV disponibili al 2021, e il cap di allocazione EUA all’industria stazionaria per lo stesso anno). In un mercato costruito affinché i suoi prezzi si muovano tendenzialmente al rialzo nel lungo periodo, la circostanza corrisponde a buttare benzina sul fuoco.
Responsabile di circa il 3% delle emissioni globali (Stima AIE) e con una crescita stimata tra il 50% ed il 250% entro il 2050, era solo questione di tempo prima che l’Unione Europea regolamentasse ufficialmente il settore del trasporto marittimo, mentre si trova già al lavoro per ampliare il framework di policy anche a quello del trasporto su strada (con il cosiddetto ETS 2 attualmente in fase di revisione). L’obiettivo legislativo europeo è quindi chiaro: stimolare il mercato interno delle emissioni per incentivarne la riduzione e spingere verso la decarbonizzazione, considerando l’inclusione (seppur parziale) dei viaggi internazionali via mare così come le altre misure protezionistiche tipo la CBAM; l’UE sicuramente fornisce un esempio non da poco sull’opinione pubblica affinché anche altri paesi inizino ad affrontare l’argomento in maniera seria.