Un parco circolante di veicoli solo elettrici (BEV, battery electric vehicles) non risponde alle regole di mercato e tantomeno ad obiettivi ambientali, se non in modo parziale.  Esso risponde invece ad una quota, limitata, della domanda di trasporto stradale e ad una quota, polarizzante, dell’offerta industriale. Ora vediamo i perché. Il movente è la recente delibera del Parlamento europeo che determina che tutti i veicoli immatricolati dal 2035 riducano la CO2 del 100% rispetto al 2021. Qual è, innanzi tutto, l’obiettivo reale della delibera del Parlamento Europeo?  Poiché si persegue l’eliminazione delle emissioni di CO2 per tutti i veicoli immatricolati in Europa e, come assai noto, la CO2 non è una sostanza inquinante, a meno che non sia concentrata ad elevatissimi livelli, ma contribuisce all’effetto serra, l’obiettivo sembrerebbe il contenimento dell’effetto serra.  Al contempo, poiché tutti i combustibili - bruciati nei veicoli - emettono CO2, seppure alcuni in minima quantità, eliminando la CO2 si eliminano anche i combustibili.

Tuttavia, come noto, non è affatto detto che l’obiettivo d’azzerare le emissioni di CO2 emesse a livello locale da un motore termico o a combustione interna (MCI) - e non potrebbe essere altrimenti poiché la delibera si riferisce al parco di autoveicoli - non ne aumenti le emissioni a livello globale, anzi! Quindi, considerando che tale delibera ha un movente o perlomeno un sapore nettamente ambientale, tale obiettivo ambientale è assai debole per non dire degno di una bocciatura se a dichiararlo fosse uno studente universitario.

Per quale motivo potrebbero aumentare le emissioni di CO2 nella catena energetica complessiva? Presto detto, perché:

  1. dipendiamo in UE molto da combustibili fossili ed i trasporti usano derivati dal petrolio per oltre il 90% dell’energia impiegata, consumando un terzo dell’energia prodotta a livello UE;
  2. risparmiando in questa sede i calcoli, sovente il WTW* dell’energia per un BEV è superiore a quello di un termico, soprattutto se riferito al ciclo di vita (Life Cycle Assessment, LCA); nel ciclo di vita sono peraltro comprese materie prime (Litio, Nickel, Cobalto, Terre rare, Rame,…) in quantitativi forse superiori alla disponibilità terrestre se si pensa ai numeri del BEV richiesti, a meno che non si abbandoni l’auto;
  3. facendo due calcoli sul rendimento della catena energetica risulta inoltre quanto segue.  

Un confronto di rendimenti

Da un lato, il rendimento di un motore termico per autotrazione supera il 40%, nei casi migliori il 45%. Questi valori sono tipici di un veicolo che circola senza grandi impedimenti; in città – con la regolazione semaforica, il traffico talvolta inteso, la ricerca del parcheggio nonché le manovre per la sosta medesima - il motore termico lavora nelle zone della sua mappa a più basso rendimento: anche sotto al 20%, ad esempio 17-18%; per rendere disponibile un combustibile all’utente finale, indicativamente il rendimento del processo che lo porta fino al consumo è di circa 1:6; pertanto, fatta 100 la quantità di energia primaria, con il motore termico alle ruote ne avremo circa un terzo.

L’alternativa del motore elettrico comporta produrre energia presso una centrale; se questa è termica, di nuova generazione, si può pensare ad un rendimento attorno al 40-44% (cicli a vapore e gas), mentre con cicli combinati può arrivare sopra al 55% (quasi al 56-60%, al massimo). A questo valore va sottratto il rendimento della distribuzione della corrente elettrica, stimabile attorno al 6-7%, quello della ricarica pari a qualche unità percentuale e fino a circa 10% in funzione della medesima (con cavo o senza cavo, statica o dinamica), quello elettrochimico della batteria e poi quello del motore elettrico (es. 88-90%), oltre al processo energetico a monte della centrale termica: siamo sicuramente sotto al 30% di rendimento complessivo o lì attorno.

Il BEV quindi non vince affatto nei confronti di un MCI in termini di rendimento energetico complessivo, e di conseguenza di emissioni globali, figuriamoci nei confronti di un powertrain ibrido, i cui consumi sono sensibilmente più bassi, in funzione dell’architettura e del modo d’impiego dell’autoveicolo. Diverso sarebbe il caso di fonte energetica rinnovabile o nucleare, verso le quali la delibera del Parlamento forse inconsapevolmente spinge, ma in tal caso occorre fare i conti con i tempi di attuazione e la sensibilità della popolazione.

La sostenibilità nell’accezione completa

Avendo compreso che l’obiettivo ambientale, per quanto distinguibile, è fallace, il concetto di sostenibilità nel quale questo s’inserisce prevede altre due dimensioni: quella economica e quella sociale e qui evidentemente casca l’asino, perché non ci siamo socialmente parlando: un bagno di sangue in termini di posti di lavoro di quella che è stata per decenni - ed è tutt’ora, seppure con un ruolo in parte ridotto - l’industria delle industrie in Europa, che ha trainato l’economia, di tutti i tipi, anche quella delle costruzioni d’infrastrutture viarie.

Perché economicamente non ci siamo? Perché il costo di una ricarica è interessante se questa è ordinaria (anche detta erroneamente lenta): 20-25 o poco più centesimi di €/kWh; ma ciò ha un senso se si dispone di una ricarica privata: non c’è “il cronometro”; mentre si riposa o si lavora la batteria si ricarica, per lo meno nella conciliabilità tra 5-8 ore disponibili ed una batteria da 8-15 kWh, come quelle di un veicolo ibrido plug-in.

Nel contesto italiano è comunque presente un “piccolo problema”: da una disamina di dati del catasto, emerge che esistono in Italia 15.727.153 posti auto in edifici privati, sia stalli singoli sia come garage: il numero di garage privati - ammesso che siano facilmente equipaggiabili con una postazione di ricarica (che può costare, progetto incluso, circa 6’000 Euro) – andrebbe a coprire solo 39,59% del parco circolante. Alla luce dei risultati delle simulazioni basate sulla teoria delle code e delle caratteristiche dei punti di ricarica (potenze installate) su suolo pubblico nonché dei veicoli elettrici emerge una vita quotidiana insostenibile per gli utenti delle auto. Anche postulando un enorme dispiegamento di punti di ricarica accessibili a tutti, tale processo richiede una programmazione piuttosto rigorosa degli impegni quotidiani per far sì che il veicolo soddisfi il bisogno di mobilità, e non basterebbe sui grandi numeri. La ricarica eseguita ad alta potenza consente apparentemente maggiore libertà; tuttavia, porta in dote costi elevati in termini d’installazione delle infrastrutture e della ricarica stessa (oggi tra i 50 ed 80, anche oltre, centesimi di €/kWh), più del doppio rispetto al BEP sul rifornimento (38-40 cent di €). Alternativa: lunghe piste di ricarica induttiva in movimento lungo le strade.

Veniamo ora all’analisi dell’utenza: tralasciando le imprecazioni che un BEV fermo per basso SOC (stato di carica) alla batteria (coda inattesa, freddo, caldo elevato,…), comporta prima di essere rimesso in moto in un suolo extra-urbano generico, un mercato di BEV non è scalabile, alla stato delle cose, e non c’è oggi motivo per vedere  cambiamento sostanzialmente. L’utenza, finché è bassa può essere soddisfatta. Quando cresce, non regge. 

Su un edificio sede della Commissione europea (Berlaymont building) è scritto: Free movement (v. figura), ma d’altronde ciò è anche dichiarato nel Libro Bianco dei Trasporti e forse in molti altri contesti. Spiace scriverlo pubblicamente: di free nella promozione al 100% dei BEV c’è ben poco. 

Berlaymont building

Possibili congetture

Alla fine qualcuno si domanda: ma perché tutto ciò? O per fanatismo ambientale, ma con basi tecnico-scientifiche molto incomplete, oppure per un ragionamento ben più economico-finanziario, che segue.

  1. Il mercato dell’auto è ormai saturo da 15-20 anni in UE, pertanto è stato inevitabile proiettarsi verso un mercato più del ricambio, della manutenzione e del ricambio dell’auto incentivato da un rinnovamento in chiave energetico-ambientale (motori Euro 5, Euro 6…) nonché tecnologica (ADAS, veicolo connesso..).
  2. Ma questo non basta, il mercato del lavoro ha un’inerzia e il mercato dell’auto è stato per circa 60 anni l’industria trainante in UE. Per salvare il mercato della produzione (e dei lavoratori, con le famiglie) qualcuno ora spinge per una rivoluzione che porti a sostituire pesantemente il parco, ed ecco la parola magica “elettrico”, che “salva tutto e rapidamente”.
  3. Così facendo si rovesciano sul mercato fior di incentivi, forse si solleva dalle acque l’industria dell’auto, ma nel bruciare la paglia (alias: “BEV per tutti”), ci si indirizza in pochi anni a fare quasi morire l’auto oltre all’industria europea stessa (subordinata così alla Cina), perché non più rispondente alla domanda vera del largo mercato, ma solo di un mercato specifico, se non di nicchia.
  4. Cosa fare allora? Dichiarare apertamente (costruttori, utenza e politica) che l’auto deve essere meno usata (logica anche del MaaS, Mobility as a Service) ma deve continuare a soddisfare sia l’offerta sia la domanda; pertanto tale auto deve essere flessibile e soddisfare i requisiti ambientali, nonché sanitari, specie nelle città (direttiva UE 50/2008 sulle concentrazioni di inquinanti ammesse);
  5. Quindi? Auto più care (non importa! Basta che ci sia moderazione), l’inibizione alle auto realmente inquinanti in circolazione dal 2035 (ad esempio da Euro 0 ad Euro 4, forse Euro 5); ammissione in produzione futura di sole auto dotate di motori Euro 6, eventualmente 7 (se passa), tutte elettrificate (non elettriche!) nonché anche fuel-cell e BEV (che copriranno una percentuale più o meno bassa dell’utenza, in base al soddisfacimento della domanda).

Soluzione?

Si limita la delibera del Parlamento laddove il problema si pone realmente: nelle aree urbane, definibili anche con geofencing; questo rinnovato obiettivo è raggiungibile sia con powertrain ibridi (non plug-in) con taglio dell’uso del MCI ad esempio sotto ai 30 km/h avvalendosi di un elettrico con batteria in tali fasi del moto, sia con ibridi plug-in e sia con BEV (tutti tracciabili, attenzione, per le necessità di accoppiarli alle ricariche) ma anche con biocombustibili laddove la CO2 emessa sia almeno equivalente a quella associabile nel processo di preparazione dei medesimi. Fuori città: liberi tutti, purché i motori siano almeno Euro 6 ed evoluzioni possibili al 2035, guardando nei fatti alle emissioni di anidride carbonica nel ciclo di vita, e non per finta.

Il BEV si presta bene al concetto di servizio (il MaaS) perché l’auto la si userebbe perlopiù per integrazioni con altre modalità di trasporto e questo - a parere dello scrivente - ha un senso. Tuttavia ciò si accoppia con un pezzetto del mercato: il resto sono soluzioni di auto con powertrain ibridi.

Se così non si farà (alias, BEV per tutti), probabilmente si abbondonerà gradualmente l’auto e fallirà gran parte dell’industria europea dell’automobile, senza avere forse alternative industriali significative in EU, importando auto cinesi o anche fabbricate altrove da industrie europee e non: bella forza, e ci rimetterebbe la nostra capacità di “fare”, di produrre.

Un invito

La testa orientata al cielo ma i piedi ben saldi a terra, nelle questioni ambientali, economiche e sociali.

 

*Il WTW (well to wheel) è un indice energetico assoluto, la cui funzione è rendere confrontabili tra loro combinazioni di diverse tecnologie propulsive e diversi carburanti, o vettori energetici (idrogeno ed elettricità, che una volta prodotti sono considerabili alla stregua dei carburanti), ottenuti dalle più svariate fonti primarie. Esso quantifica l’energia necessaria per rendere disponibile un carburante nel “serbatoio”, in senso lato, di un mezzo partendo dalla fonte primaria (well), e l’energia usata per eseguire lo spostamento vero e proprio del mezzo stesso.