Lo scorso 23 marzo, il “consorzio” di associazioni che prende il nome di Rinascimento Green ha presentato alla Camera dei Deputati il proprio “Progetto di lustro”, un dossier che contiene cinque priorità di azione e progetti immediatamente cantierabili, per decarbonizzare alcuni settori industriali, favorire l’inclusione e giustizia sociale, costruire un Paese resiliente. A distanza di una settimana, la coalizione di cui fanno parte, tra gli altri, Legambiente, Slow Food e ARCI, lancia le prime due assemblee per il clima su scala regionale, in Emilia-Romagna e Calabria. Ne abbiamo parlato con Annalisa Corrado, portavoce di Rinascimento Green e dell’associazione Green Italia.

Durante la presentazione del piano di transizione in cinque anni, ha parlato di urgenza. Eppure le politiche climatiche dell’Unione europea e dell’Italia non hanno mai vissuto un periodo così florido. Cosa manca?

Siamo molto indietro. Ed è bene ricordarcene. In Italia, ad esempio ancora nessuno ha avuto il coraggio di mettere mano a questioni complesse e di prospettiva quali, ad esempio la rimodulazione dei “sussidi alle attività dannose per l’ambiente”, oppure alla semplificazione delle procedure di valutazione ed autorizzazione degli impianti di produzione di energia alimentati da fonti rinnovabili, che, ancor più del delirante singhiozzo o dell’assenza di incentivi, ha paralizzato il settore negli ultimi anni.

Però va detto che anche dal fronte delle fonti fossili si è gridato allo scandalo rispetto all’ultimo Piano Nazionale per l’Energia e il Clima…

Il PNIEC è un ottimo esempio di come si sia costruito un piano al 2030 su obiettivi già vecchi, che con tutta evidenza si sarebbero dovuti rivedere al rialzo (come poi, per fortuna, è successo), che manca totalmente di ambizione e di visione. La costruzione di una strategia a medio e lungo termine dovrebbe essere coerente in primis con gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050, e non certo limitarsi a portare a casa la sufficienza, rispetto al compito affidato dall’Unione Europea. Un’altra grande assenza nel PNIEC è una pianificazione corredata di strumenti concreti e concordata nel dettaglio con le istituzioni preposte e con i territori, supportata da campagne informative e di partecipazione delle cittadine e dei cittadini. Non si è tenuto conto che vi sono alcuni aspetti della transizione che devono necessariamente passare dal coinvolgimento e responsabilizzazione della società civile, dei consumatori, di quelli che troppo spesso chiamiamo elettori dimenticandoci un giorno dopo le elezioni che potrebbero essere anche, con sommo vantaggio personale e collettivo, dei prosumer. Si pensi ad esempio all’economia circolare o alla gestione dei rifiuti ma anche dell’accettabilità delle tecnologie green (che dovranno essere installate con un ritmo del tutto inedito fino ad ora, lavorando alacremente perché si affermino le soluzioni più sostenibili). Sono temi che non si possono dare per scontati, in particolare in un Paese come l’Italia, in cui le molteplici aggressioni ai territori e le speculazioni hanno prodotto una diffidenza elevatissima nella cittadinanza.

Che invece spesso si arenano nelle secche della sindrome Nimby?

La sindrome Nimby non vive di vita propria ma trova un perfetto alleato nella politica di basso profilo, che cerca consenso immediato e rimanda tutto al mandato successivo. La politica spessissimo ha preferito cavalcare il consenso popolare piuttosto che fornire soluzioni reali e concrete, che pure esistono ma che vanno chiaramente identificate e poi spiegate con coraggio e con pazienza. Le assemblee sul clima servono anche a formare un elettorato più consapevole, capace di tirare le orecchie alla politica pigra o irresponsabile. Senza alzare barricate, ma argomentando con dati, esperienze, scadenze.

Il Ministero per la Transizione Ecologica sembrava finalmente accendere un faro importante su un’urgenza più volte richiamata dal mondo ecologista. Che idea si è fatta?

Sono stata tra le prime persone a gioire pubblicamente di novità importanti come la creazione di un ministero della transizione ecologica, che rendesse anche definita plasticamente l’urgenza e la strategicità di costruire davvero un’uscita dall’attuale modello di sviluppo. Per quanto mi riguarda, auspicavo una centralizzazione di competenze maggiore. Chiediamo da anni, in tal senso, una cabina di regia in seno alla Presidenza del Consiglio che coordini gli assi strategici della transizione, dall’energia, all’industria, dalle infrastrutture per mobilità e trasporti all’agricoltura e all’allevamento, passando per il turismo, la ricerca etc., mantenendo ovviamente centrali i temi più strettamente ambientali, come quelli della natura, della tutela attiva della biodiversità e del capitale naturale del Paese. La rivoluzione verde che serve per rispettare gli accordi di Parigi e decarbonizzare le nostre economie e società entro il 2050, del resto, è una operazione mai vista di trasformazione completa e rapida di tutte le nostre abitudini. Non si può più sbagliare un colpo, e l’assenza di strategia e di coordinamento dei vari assi di azione sarebbe un errore irreparabile. E un ministero nuovo può essere necessario, ma non certamente sufficiente.

Sono questi i motivi che vi hanno spinto ad “assemblare” la rete di Rinascimento Green?

Il motivo principale è che siamo davvero molto lontani dal poterci rilassare, come società civile e come associazioni, nell’idea che il nuovo corso europeo - che pure è fondamentale e lodevole - come per magia ci porti fuori dallo stagno in cui l’assenza di visione e lungimiranza ha portato questo Paese. Il secondo motivo era la necessità di dare un segno tangibile di alleanze nel segno di un orizzonte che preoccupa tutte le realtà che hanno aderito a questo progetto. Viviamo in un paese che avrebbe moltissime carte da giocare anche sul piano industriale e della competitività internazionale, proprio cavalcando competenze ed eccellenze legate alla transizione ecologica e all’economia circolare. Non possiamo rassegnarci allo status quo o al corso degli eventi voluto da chi ha una visione personalistica di brevissimo termine e votata all’incoerenza.

A cosa si riferisce quando parla di incoerenza?

Tanto per cominciare l’Europa stessa non è ancora davvero coerente nelle sue molte funzioni con l’obiettivo dichiarato. Basti pensare ad una PAC ancora tutta orientata al sostegno dell’agricoltura e dell’allevamento intensivi. C’è poi il tema dei trattati di commercio internazionali, che rischiano di spalancare le porte alle peggiori pratiche predatorie con l’ecosistema e con i diritti civili su scala internazionale, come se quello che accade oltre i confini europei non ci riguardasse più di tanto.

Per quanto riguarda l’Italia, invece, penso al PNRR che dovrebbe essere, in tal senso, una linea tracciata verso una direzione forte e chiara, con adeguata indicazione degli strumenti di implementazione, delle necessarie riforme, del necessario potenziamento della PA, per non parlare di elementi chiari e trasparenti di obiettivi misurabili e modalità di verifica del loro raggiungimento. Al momento, anche qui, siamo lontanissimi. Basti pensare, una su molte, che manca completamente il capitolo “città”, come se non fossero proprio le città il laboratorio principale per iniziare a costruire la transizione.

In questo quadro come si inseriscono le assemblee sul clima?

Le assemblee saranno la dimostrazione di come si possa coinvolgere la società civile anche su temi complessi e delicati come quelli della transizione. Un primo passo, che fortunatamente ha trovato il plauso e il sostegno delle istituzioni locali, verso la diffusione di cultura ampia e trasversale, che metta le persone nelle condizioni tanto di capire le minacce dei grandi sconvolgimenti, quanto di comprendere che le soluzioni esistono e possono essere, pertanto, pretese, è sempre più importante e cruciale. Siamo, in sintesi, tutti convocati per questa sfida epocale ed inedita. Nessuno si senta escluso (cit.).